Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25484 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9875-2018 proposto da:

D.L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA MAZZINI 27 C/O

lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, presso lo studio dell’avvocato

SALVATORE TRIFIRO’, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1782/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.

MARGHERITA MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Milano con la sentenza n. 1782/16, in sede di giudizio di rinvio disposto dal Giudice di legittimità, per quel che in questa sede rileva, aveva confermato la precedente statuizione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane spa e D.L.D., con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far tempo dal 8.5.2003 e condannato la società al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, liquidata nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in considerazione delle dimensioni dell’impresa e della gravità della violazione.

Avverso detta statuizione il D.L. proponeva ricorso affidato a tre motivi, anche coltivati da successiva memoria, cui resisteva con controricorso la società Poste.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 8, (art. 360 c.p.c., n. 3), per non aver, la corte territoriale, considerato gli altri criteri richiamati nell’art. 8, quali il numero dei dipendenti, l’anzianità di servizio e le condizioni personali delle parti, per la determinazione della indennità in questione.

2) Con il secondo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, sempre in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32, e alla L. n. 604 del 1966, art. 8, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per la omessa considerazione dei criteri sopra richiamati, la cui applicazione era stata espressamente richiesta dal ricorrente nella memoria di costituzione nel giudizio di merito.

Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto si fondano sulla mancata osservanza di tutti i criteri previsti dall’art. 8 richiamato, risultano inammissibili; il primo anche infondato.

Preliminarmente deve osservarsi che questa Corte ha chiarito che “In materia di sindacato della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla misura dell’indennità di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, in caso di illegittima opposizione del termine al contratto di lavoro, la determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo è censurabile – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria.”(Cass.n. 1320/2014).

Inammissibile risulta quindi il motivo inerente la violazione di legge, come proposto dalla parte ricorrente, poichè escluso dalla possibilità impugnatoria della statuizione relativa alla determinazione della indennità in questione.

Deve peraltro soggiungersi che i criteri indicati dal richiamato art. 8, (e quindi dall’art. 32, comma 5), non richiedono una concomitante valutazione da parte del giudice, trattandosi di indicatori previsti dal legislatore per svolgere una valutazione indennitaria che ben può trovare piena soddisfazione solo in taluno di tali indicatori che riescano a realizzare la giusta personalizzazione del ristoro nella singola fattispecie in esame (con riferimento alla personalizzazione del danno si veda Corte Cost. sentenza n. 194/2018). Pertanto la valutazione della corte territoriale, ancorata alle dimensioni dell’impresa ed alla gravità delle violazioni, risulta coerente alle previsioni delle disposizioni inerenti la quantificazione e rispettosa dei criteri ivi contenuti.

Il secondo motivo risulta conseguentemente assorbito dalla inammissibilità e infondatezza del primo e comunque inammissibile per la mancata allegazione e prova della decisività delle omissioni denunciate.

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e L. n. 794 del 1942, art. 24, del D.M. n. 127 del 2004, artt. 1, 4, 5, 6, del D.L. n. 1 del 2011, D.M. n. 140 del 2012 e D.M. n. 55 del 2014, per aver, la corte territoriale errato nella determinazione delle spese processuali dei gradi di merito e di legittimità. Deduce parte ricorrente la mancata indicazione della parte liquidata relativa ai compensi degli avvocati e la conseguente impossibilità di controllare l’effettiva corrispondenza delle somme liquidate con le tabelle tariffarie in vigore nonchè la mancata applicazione delle tariffe in vigore al momento della diverse sentenze intervenute nel processo.

Preliminarmente si rileva che “La liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini” (Cass. n. 14542/2011).

Posta la ammissibilità della censura ed i limiti della possibilità della stessa, con riferimento al merito deve osservarsi che ” In tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari, in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, in presenza di una nota spese specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può rideterminare globalmente i compensi in misura inferiore a quelli esposti, ma deve motivare adeguatamente l’eliminazione o la riduzione delle singole voci” (Cass. n. 18905/2017). Nel caso in esame la corte milanese non ha indicato l’entità dei compensi e i criteri utilizzati così non consentendone il controllo di adeguatezza e congruità. Il motivo deve quindi ritenersi fondato e cassata la sentenza con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla corte territoriale perchè decida in conformità ai principi enunciati, oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e rigetta gli altri due motivi; con riguardo al motivo accolto cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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