Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25480 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 199-2019 proposto da:

ORCHIDEA SAS DI E. E G.B. & C., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 52, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO GRASSETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato SILVIO

D’ANDREA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LIMIDO COMASCO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MATTEO GIUSSANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3142/8/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 09/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RITA

RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1.-. Il Comune di Limido comasco ha notificato atti di accertamento, per la TARSU, alla società ricorrente il 26 settembre 2011. Sono divenuti definitivi e quindi il Comune in data 25 ottobre 2013 ha notificato atto di ingiunzione per i suddetti tributi oltre interessi al tasso legale. A detta ingiunzione non è seguita la esecuzione forzata, e in data 14 luglio 2016 il Comune ha notificato altro atto di ingiunzione per il pagamento oltre che della Tarsu per gli stessi anni 2007, 2008 2009 per la somma di Euro 5.550,34 pretesa a titolo di spese accessorie di riscossione.

La società ha impugnato detta ingiunzione rilevando che la somma di Euro 5.550,34 non è dovuta e che l’ingiunzione è comunque tardiva perchè notificata oltre il termine previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 163, dovendo considerarsi un nuovo titolo esecutivo e non la mera riproduzione del precedente titolo notificato nel 2013.

Nel giudizio di primo grado il Comune ha rinunziato alla richiesta della somma di Euro 5.550,34 e la CTP ha respinto il ricorso affermando che la seconda ingiunzione è una reiterazione della prima. Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la contribuente e la CTR della Lombardia con sentenza depositata in data 9 luglio 2018 ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che la seconda ingiunzione avesse la funzione di atto di precetto, reiterato per la perdita di efficacia del primo atto di ingiunzione notificato nel 2013.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente affidandosi a un motivo. Resiste con controricorso il Comune. Assegnato il procedimento alla sezione sesta, su proposta del relatore è stata fissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., notificando la proposta e il decreto alle parti.

Diritto

RITENUTO

che:

3.- Con il primo e unico motivo del ricorso, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2, comma 1, e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1 comma 163; afferma che l’atto notificato il 14 luglio 2016 è un atto sostitutivo e non meramente riproduttivo di quello notificato nel 2013 avente una diversa causa petendi con una diversa somma richiesta; il Comune avrebbe infatti modificato l’oggetto dell’atto con la introduzione dell’ulteriore importo non dovuto di Euro 5550,34.

Il motivo è infondato.

I fatti sono pacifici: in particolare non è in discussione che la prima ingiunzione di pagamento notificata il 25 ottobre 2013 riguardasse la Tarsu anni 2007,2008, 2009 e quindi fosse tempestiva rispetto ad un atto di accertamento notificato il 26 settembre 2011 e non opposto.

La questione controversa è se è la seconda ingiunzione di pagamento notificata in data 14 luglio 2016 possa considerarsi una reiterazione della prima ingiunzione, nella sua funzione di precetto, ovvero un atto differente.

La società assume che il secondo atto è completamente diverso dal primo avendo una diversa causa petendi per l’inserimento (illegittimo) della una somma Euro 5550,34 e per una diversa motivazione

Il motivo è infondato.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 163, prevede che nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo L’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto (Cass. 12263/2007). Pertanto il Comune notificando l’ingiunzione di pagamento in data 25 ottobre 2013 ha assolto all’onere di notificare il titolo esecutivo tempestivamente; contestualmente l’atto aveva anche la funzione di precetto, e quindi con efficacia limitata all’arco temporale di i giorni 90. Infatti, anche nell’ambito della disciplina speciale della riscossione coattiva delle entrate patrimoniali prevista dal R.D. n. 639 del 1910, trova applicazione la regola generale in materia di esecuzione forzata dettata dall’art. 481 c.p.c., secondo cui il precetto diviene inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione (6448/2003). L’ingiunzione il 14 luglio 2016 non è – come pretende la parte – un nuovo titolo esecutivo, ma ha la solo funzione di precetto (rinnovato) come correttamente ritenuto dalla CTR.

Si tratta infatti del medesimo tributo per gli stessi anni (e quindi della stessa causa petendi) e pertanto una volta notificato tempestivamente il titolo esecutivo il Comune ha assolto all’onere a lui imposto a pena di decadenza dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 163, e può notificare l’atto avente funzione di precetto contestualmente o successivamente; nè può dirsi che l’ente creditore una volta notificato il titolo esecutivo abbia l’obbligo di rinnovare detta notifica ogni tre anni perchè si tratta appunto di decadenza, che è evitata dal compimento dell’atto, e non di atto interruttivo della prescrizione. Una volta evitata la decadenza, la scelta dei tempi per procedere all’esecuzione forzata è rimessa all’ente creditore, che può attivarsi quando e come ritiene opportuno purchè nel termine di prescrizione del credito.

La circostanza che sia stata aggiunta la somma di Euro 5.550,34 è irrilevante per un duplice ordine di motivi. In primo luogo perchè non è preclusa al creditore la rinnovazione del precetto per l’intero importo del credito e fino alla totale estinzione dello stesso, purchè egli non chieda, col precetto successivo, spese, compensi ed accessori dei precetti anteriori, in quest’ultima ipotesi, essendo il nuovo precetto illegittimo, tuttavia, solo per tali voci e non per l’intero (Cass.19876/2013). Inoltre, anteriormente alla sentenza di primo grado il Comune ha rinunciato alla pretesa per la somma di Euro 5.550,00 che così risulta automaticamente espunta, in autotutela, dal precetto stesso.

Peraltro la società conclude il suo ricorso affermando che “qualora il Comune avesse semplicemente reiterato il medesimo atto ovvero in mancanza della maggiore pretesa di Euro 5550,34 non vi sarebbe stata alcuna necessità di controversia, come espressamente manifestato dalla società ricorrente”. Nonostante questo, dopo la rinuncia da parte del Comune a pretendere il pagamento della predetta somma, la società ha comunque proseguito nella contesa e proposto appello.

Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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