Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2548 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 25/11/2019, dep. 04/02/2020), n.2548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29609/2018 proposto da:

A.M.A., elettivamente domiciliato presso l’avv. Livio

Neri che lo rappres. e difende, con procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il

23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2019 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione territoriale di Milano, con provvedimento notificato il 12.9.15, respinse l’istanza presentata da A.A.M., cittadino del Ghana, avente ad oggetto il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, di quelle sussidiaria ed umanitaria; avverso tale decisione, l’ A. propose ricorso innanzi al Tribunale di Milano che, con ordinanza emessa il 4.5.16, lo rigettò. L’ A. propose appello; si costituì il Ministero dell’Interno.

Con sentenza emessa il 23.2.2018 la Corte d’appello di Milano rigettò l’impugnazione, osservando che: l’appellante non aveva specificamente criticato la motivazione della sentenza, sollevando censure generiche e vaghe, senza neppure allegare situazioni personali relative all’allontanamento dal Ghana, idonee a legittimare la protezione internazionale; il Tribunale aveva comunque rilevato che dall’esame dei rapporti UNCHR non si desumevano indicazioni di non respingimento o di una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato giustificanti la protezione sussidiaria; non erano state allegate situazioni di particolare vulnerabilità individuale apprezzabili ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, essendo al riguardo irrilevante l’attività lavorativa documentata.

Ricorre in cassazione l’ A. con due motivi.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo è denunziata la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4,11,14, in merito alla sussistenza del fondato timore di subire persecuzione o un danno grave nella regione di provenienza, deducendo l’inapplicabilità dell’art. 8 della Direttiva 2011/95/UE, in quanto la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto generico il motivo d’appello concernente il profilo dell’attendibilità del ricorrente in ordine alla vicenda narrata, avendo essa evidenziato che il ricorrente avrebbe potuto sfuggire al paventato pericolo raggiungendo la moglie in altra regione del Paese. Con il secondo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, nonchè la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, art. 10 Cost., comma 3, art. 8 della Convenzione Cedu, per non aver la Corte d’appello esaminato, ai fini del permesso umanitario, la specifica situazione del ricorrente, privo di proprietà e di redditi in Ghana – senza possibilità di essere accolto dai parenti, tutti fuggiti dal Paese o irreperibili – omettendo dunque di formulare il giudizio di proporzionalità rispetto alla situazione in cui verserebbe in caso di rimpatrio, senza neppure tener conto dell’integrazione raggiunta in Italia, anche attraverso l’attività lavorativa.

Non si è costituito il Ministero.

Il primo motivo appare inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto in maniera esaustiva l’inattendibilità del racconto del ricorrente, il quale aveva allegato situazioni che non legittimavano il riconoscimento dello status di rifugiato.

Invero, in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine (Cass., n. 15794/19).

Pertanto, alcun ulteriore approfondimento istruttorio incombeva sul giudice di merito.

Inoltre, il motivo tende al riesame dei fatti in ordine alla protezione internazionale.

Quanto alla protezione sussidiaria, ferma l’inattendibilità del ricorrente, la Corte territoriale ne ha escluso i presupposti sulla base dei rapporti UNHCR citati. Al riguardo, è irrilevante il riferimento all’art. 8 della direttiva n. 2011/95/UE – di cui si è allegata l’inapplicabilità perchè non recepita dallo Stato Italiano, in quanto la possibilità di raggiungere la moglie in altra regione del Ghana ha costituito un argomento per avvalorare il giudizio di non credibilità del ricorrente, formulato dal Tribunale e confermato dalla Corte d’appello, nell’ambito di una cornice motivazionale che escluso i presupposti sostanziali legittimanti la protezione sussidiaria.

Il secondo motivo è inammissibile per non aver il ricorrente allegato specifiche, individuali situazioni di vulnerabilità, anche alla luce dell’orientamento per cui, la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass., n. 3681/19).

Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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