Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25479 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 01/10/2020, dep. 12/11/2020), n.25479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34108-2019 R.G. proposto da:

S.G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA MERCEDE 11, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SINISI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE CHIRIATTI, MARIA

AUGUSTA ANELLI;

– ricorrente –

contro

SA.GI.GA., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati GIUSEPPE DIVANO, ANDREA GIULIANI;

– resistente –

contro

O.J.;

– intimata –

per regolamento di competenza avverso il provvedimento del TRIBUNALE

di VERCELLI, depositata il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO, che chiede il

rigetto del ricorso.

La Corte:

 

Fatto

OSSERVA

quanto segue.

1. Con atto di citazione del 29 novembre 2016 S.G.R. conveniva davanti al Tribunale di O.V.J. e Sa.Ga.Gi. agendo per querela di falso in via principale. Si costituiva il Sa.Ga., tra l’altro eccependo incompetenza territoriale del Tribunale adito a favore del Tribunale di Chieti.

Il giudice istruttore, sciogliendo riserva, emetteva in data 14 maggio 2019 un’ordinanza con cui, “ritenuta la propria competenza”, decideva sulle istanze istruttorie. Lo S. depositava un’istanza di cancellazione della causa dal ruolo ex art. 38 c.p.c., comma 2, per propria adesione all’eccezione di incompetenza territoriale; alla successiva udienza dell’8 ottobre 2019 il giudice istruttore rigettava l’istanza, affermando tra l’altro che l’eccezione di incompetenza territoriale era “stata superata dall’ordinanza” del 14 maggio 2019.

2. Lo S. ha chiesto regolamento di competenza, chiedendo a questa Suprema Corte di annullare l’ordinanza dell’8 ottobre 2019 e di regolare la competenza “indicando come esclusivamente competente il Tribunale di Chieti”, vista l’adesione dell’attuale ricorrente ex art. 38 c.p.c., comma 2, all’eccezione in tal senso del convenuto, tempestivamente proposta.

Si è difeso con memoria ex art. 47 c.p.c., u.c., il Sa.Ga., eccependo in primo luogo l’inammissibilità del ricorso per non definitività del provvedimento impugnato e, in secondo luogo, sostenendo l’infondatezza del ricorso.

Il Procuratore Generale, ritenuto che il ricorso sia inammissibile non essendo stato proposto avverso atto decisorio, ha chiesto “il rigetto del ricorso”.

Sia lo S. sia il Sa.Ga. hanno depositato memoria.

3.1 Prima di affrontare direttamente l’oggetto del ricorso, è il caso di riassumere perchè si rapporta in modo ampio e preciso al contenuto del ricorso stesso – la memoria dello S., nella parte in cui dichiara di fornire una “confutazione delle posizioni assunte dalla difesa del sig. Sa.Ga. e dal Pubblico Ministero”.

Si contesta che il ricorso sia inammissibile per natura non decisoria del provvedimento impugnato, invocando la giurisprudenza di legittimità (già nel ricorso “ampiamente discussa”) “che limita l’esperibilità del regolamento necessario di competenza verso quei provvedimenti che si pronunciano sulla sola competenza in via definitiva e decisoria, nel cui novero si ritrovano certamente quelli emessi all’esito dello svolgimento della formale fase decisoria del processo, inaugurata dall’atto della precisazione delle conclusioni”.

Richiamando, allora, quanto già evidenziato nel ricorso, con particolare riguardo, per un’asserita “precisa aderenza al caso di specie”, Cass. 14223/2017, si rammenta che la giurisprudenza di questa Suprema Corte affianca “al caso tipico di provvedimento definitivo e decisorio sulla competenza” anche l’ipotesi, più sfuggente in termini descrittivi ma non meno frequente, “dell’ordinanza che non sia rettamente ed effettivamente decisoria e definitiva sulla competenza, ma che tale appaia, sulla base della condotta oggettiva tenuta e del convincimento soggettivo espresso dal giudice che la stessa ha pronunciato”.

La memoria, inoltre, afferma di introdurre pure un “argomento non toccato in ricorso” per esercitare difesa dalla eccepita inammissibilità del regolamento di competenza evincibile tanto dalla difesa di controparte quanto dalla requisitoria del Procuratore Generale, in riferimento all’art. 225 c.p.c.: trattandosi di processo relativo a querela di falso e quindi sottomesso a decisione collegiale anche in primo grado, ex art. 225 c.p.c., comma 1, l’ordinanza, essendo stata emessa dal solo giudice istruttore, “non potrebbe strutturalmente rivestire le caratteristiche del provvedimento apparentemente decisorio e definitivo sulla competenza”.

E’ vero che per l’azione di querela di falso in via principale, e non incidentale, il giudice decidente deve essere collegiale, come si evince dal combinato disposto dell’art. 50 bis c.p.c., comma 1, n. 1, e art. 221 c.p.c., comma 3, nonchè dall’art. 225 c.p.c..

Comunque, a quel che ne desume il Sa.Ga., cui sostanzialmente si associa il Procuratore Generale, oppone appunto il ricorrente che l’art. 50 quater c.p.c. (“Le disposizioni di cui agli artt. 50-bis e 50-ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice. Alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l’art. 161, comma 1”) “prevede l’invalidità di detti provvedimenti”, limitando però la conseguenza di tale invalidità al paradigma dell’art. 161 c.p.c., comma 1, id est al principio di conversione dei motivi di nullità e motivi di impugnazione: ergo, il provvedimento che avrebbe dovuto essere pronunciato da un collegio ed è stato invece erroneamente pronunciato da un giudice monocratico, come nel caso de quo, se non è impugnato, passa in giudicato. Se non fosse stato tempestivamente proposto, pertanto, il regolamento necessario di competenza avverso il provvedimento in esame, questo sarebbe passato allora in giudicato, estromettendo definitivamente dal thema decidendum ancor vivo nel processo la questione della competenza e quella della nullità propria del provvedimento medesimo. Il che significa che l’attribuzione al collegio del potere di decisione sulla domanda di querela di falso “non ha come giuridica conseguenza quella dell’inammissibilità” del mezzo di impugnazione come prospettata da controparte e dal Procuratore Generale.

3.2 Quest’ultimo argomento prospettante, in sostanza, la non incidenza dell’attribuzione al giudice collegiale della potestà decisoria in ordine alla competenza territoriale per la causa di querela di falso è suggestivo tanto quanto privo di sostanza. Esso, infatti, si regge in toto sul presupposto che il provvedimento emesso sia comunque un provvedimento decisorio: è proprio la natura decisoria che, infatti, consente di passare in giudicato. Ma allora si deve ritornare al reale nucleo della questione, che, non a caso, è quello già affrontato nel ricorso: la natura, decisoria o non decisoria, dell’ordinanza dell’8 ottobre 2019 oggetto di impugnazione, perchè è questo soltanto che rileva.

3.3 Ben consapevole di ciò, il ricorso ha appunto dedicato un’ampia illustrazione di quella che definisce la natura “definitiva” dell’ordinanza. Richiama l’insegnamento giurisprudenziale per cui, “accanto all’ipotesi tipica” del rispetto delle formalità di rito proprie della fase decisoria, sussiste l’ulteriore ipotesi in cui il giudice abbia “univocamente manifestato di aver inteso definitivamente risolvere avanti a sè la correlativa questione”, come recita il celebre intervento nomofilattico di S.U. ord. 29 settembre 2014 n. 20449 – reso necessario dalla novellazione, operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che aveva categorizzato il provvedimento decisorio sulla competenza da sentenza in ordinanza, così oggettivamente consentendo, soprattutto nelle cause affidate al giudice monocratico, l’insorgere di potenzialità di incertezza -. Dalla motivazione di tale intervento nomofilattico il ricorrente attinge che non è impugnabile con regolamento di competenza l’ordinanza con cui il giudice, senza previamente invitare le parti alla precisazione delle conclusioni anche di merito, “disponga la prosecuzione del giudizio davanti a sè dopo aver affermativamente delibato il tema della competenza”, residuando però l’eccezione del caso in cui sia lo stesso giudice a qualificare il provvedimento come decisorio, “in termini di assoluta 5 oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità”, come qualora “conclami il convincimento (pur in sè erroneo) di poter decidere definitivamente la questione”. Queste caratteristiche il ricorrente le ravvisa nell’ordinanza impugnata, invocando anche arresti delle sezioni semplici che sono stati pronunciati sulla scorta dell’intervento delle Sezioni Unite (si tratta in effetti di un ampio filone: tra quelli massimati cfr.Cass. sez. 6-2, ord. 23 marzo 2015 n. 5817; Cass. sez. 6-3, ord. 22 ottobre 2015 n. 21561; Cass. sez. 6-2, ord. 12 ottobre 2016 n. 20608; Cass. sez. 6-3, ord. 20 gennaio 2017 n. 1615; Cass. sez. 6-1, ord. 10 febbraio 2017 n. 3665; Cass. sez. 6-3, ord. 7 giugno 2017 n. 14223; Cass. sez. 6-3, ord. 7 marzo 2018 n. 5354). Tra questi si rinviene Cass. sez. 6-3, ord. 7 giugno 2017 n. 14223, che, secondo il ricorrente, rivestirebbe “la precisa aderenza al caso di specie”.

3.4 In realtà, quest’ultima pronuncia invocata non è affatto pertinente, in quanto in essa viene riconosciuta la decisorietà di un provvedimento che, dopo esserne stato pronunciato in tema di competenza un altro, viene a sua volta pronunciato previo però invito esplicito alle parti di precisare le conclusioni, così manifestamente e inequivocamente assumendo la decisorietà.

Al contrario – e così può ora affrontarsi la questione della natura dell’ordinanza qui impugnata – ciò non è avvenuto nel caso in esame.

Al giudice istruttore, all’incipit dell’udienza dell’8 ottobre 2019 destinata ad interrogatorio formale e conferimento di incarico a consulente tecnico d’ufficio, il difensore dell’attuale ricorrente si rivolge per insistere “nell’istanza di adesione alla competenza territoriale indicata da parte convenuta nei propri scritti difensivi, come da memoria deposita (sic) in data 8 ottobre 2019”; controparte si oppone; il difensore dell’attuale ricorrente replica facendo “presente che si tratta di dirimere una questione in via definitiva”. L’ordinanza qui impugnata viene allora verbalizzata come segue:

“Rilevato che l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte convenuta è stata superata dall’ordinanza di Questo Giudice del 14. 05. 2019, sulla base anche delle deduzioni e delle difese di parte attrice sul punto; rilevato altresì che Questo Giudice si è già dichiarato competente a conoscere della controversia e che il relativo provvedimento non è stato impugnato secondo le forme di legge; rilevato, in ogni caso, la parte attrice (sic) ha aderito alla competenza territoriale di questo giudice; P.Q.M. rigetta l’istanza depositata in data 8. 10. 2019 e dispone procedersi oltre”.

Si è dinanzi, ictu oculi, ad un provvedimento ordinatorio, che non assume alcuna decisione sulla eccezione di incompetenza territoriale, bensì si limita a manifestare l’avviso che un precedente provvedimento – quello del 14 maggio 2019 – sarebbe stato decisorio tant’è che avrebbe potuto/dovuto essere “impugnato secondo le forme di legge”, e altresì a rilevare che la parte attrice “ha aderito alla competenza territoriale di questo giudice”.

Consapevole di questa evidente criticità rispetto alla sua prospettazione, il ricorrente ha tentato di spostare la natura decisoria sulla questione dell’adesione, ai fini dell’art. 38 c.p.c., comma 2. Ciò tuttavia non è effettuabile, poichè, pur introducendo il riferimento all’adesione l’espressione “in ogni caso”, è più che evidente che il reale fondamento dell’ordinanza non è affatto la constatazione dell’adesione, quanto piuttosto – e ben lo si evince dalla pur concisa parte precedente – nel riferimento al provvedimento che sarebbe stato decisorio al punto da necessitare l’impugnazione, e quindi, ad avviso del giudice istruttore, non essendo “stato impugnato” sarebbe già passato in giudicato. Ed ovvio è ritenere che un’adesione a quel che è (secondo il giudice istruttore) già passato in giudicato non abbia incidenza alcuna.

3.5 E’ stato dunque impugnato, inammissibilmente, un provvedimento non decisorio, in quanto la sua reale sostanza è il riferimento ad un altro provvedimento, quello del 14 maggio 2019, in relazione al quale non può certo intendersi proposto il presente ricorso, che, infatti, ha espressamente indicato come suo oggetto quello dell’8 ottobre 2019. Il che conduce il ricorso, appunto, all’inammissibilità.

Per mera completezza, quindi, si rammenta che alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte i provvedimenti di natura ordinatoria, in quanto revocabili o comunque inidonei a incidere sulla decisione della controversia, non assumono la sostanza di provvedimenti decisori – formalmente sentenze dapprima, e dopo la riforma della L.69/2009 formalmente ordinanze, ut supra già ricordato – in ordine alla competenza (specificamente sulla tipologia di provvedimento in esame v. Cass. sez. 3, 5 marzo 1976 n. 740, Cass. sez.2, 18 febbraio 1999 n. 1377 e la già citata Cass. sez.6-3, ord. 7 giugno 2017 n. 14223). Per assumere una siffatta sostanza nel rito ordinario occorre, appunto come già si rilevava, che le parti – per esercitare pienamente il diritto al contraddittorio – siano invitate dal giudice a precisare le conclusioni. Se ciò non accade, e in ultima analisi proprio per tutelare il diritto di difesa non pienamente esercitato, il provvedimento si confina appunto nella natura ordinatoria, onde la sua rimane esclusivamente una funzione di impulso dinamico nella sequenza processuale, nel senso che questa proceda – anche mediante istruttoria, se necessaria – tendenzialmente (ovvero se le parti perseverano nella controversia) fino a un provvedimento decisorio.

Diversamente opinando, d’altronde, ovvero ritenendo ammissibile adire questa Suprema Corte per qualsivoglia provvedimento presente nella sequenza processuale che attenga, talora pure implicitamente, alla competenza, pur non essendo sotto tale profilo stabilizzante in quanto revocabile dallo stesso giudice che lo emette – e nel caso di specie, come si è visto, l’ordinanza non è stabilizzante proprio perchè, secondo il giudice istruttore, la stabilizzazione sarebbe stata già raggiunta con un’ordinanza precedente e non oggetto di impugnazione -, il regolamento necessario di competenza diverrebbe, attuando un’evidente eterogenesi dei fini, uno strumento, per così dire, d’inciampo della sequenza processuale, perchè, in conflitto evidente con il principio del processo in ragionevole durata, aprirebbe le porte anche a sospensioni defatigatorie abusando dello strumento soprassessorio di cui all’art. 48 c.p.c. – e comunque prive di giustificazione. La natura decisoria, d’altronde, non può essere conferita al provvedimento dalla Suprema Corte; e comunque l’ontologica instabilità del provvedimento stesso non consente, anche in riferimento al generale paradigma del presupposto decisorio per il ricorso alla Cassazione come giudice civile di legittimità, di chiedere l’intervento del giudice nomofilattico quando l’applicazione, appunto, della legge non genera effetti che occorre impedire divengano permanenti, onde non sussiste necessità di garantire la valenza della norma, id est non si è configurata alcuna esigenza di nomofilachia.

3.6 Il ricorso, in conclusione, assorbito ogni altro profilo, deve essere dichiarato inammissibile ad ogni effetto di legge.

Il ricorrente, per soccombenza, va condannato a rifondere a controparte le spese processuali del presente giudizio, le quali – non essendo in caso di regolamento di competenza applicabile alcuno dei criteri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5 trattandosi di giudizio che ha rilievo meramente processuale (cfr. Cass. sez. 6-1, ord.4 settembre 2018 n. 21613) – devono rapportarsi al valore indeterminabile della causa (v. Cass. sez. 6-3, ord. 14 gennaio 2020 n. 504) e pertanto liquidate come da dispositivo.

Si rileva D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello occorrente per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2500, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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