Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2547 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. I, 03/02/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 03/02/2010), n.2547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.L., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. CANDIANO Mario, elettivamente

domiciliato nello studio dell’Avv. Giuseppe Picone in Roma, Viale

Parioli, n. 50;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Bari depositato il 17

ottobre 2006.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 4 maggio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” P.L. ha proposto ricorso per cassazione il 10 luglio 2007 sulla base di tre motivi avverso il decreto della Corte d’appello di Bari, depositato il 21 giugno 2007, con cui la Presidenza del Consiglio dei ministri veniva condannata al pagamento ex L. n. 89 del 2001, di un indennizzo di Euro 5.000,00 per l’eccessivo protrarsi di un giudizio innanzi al TAR Puglia in materia di annullamento del provvedimento di diniego di rilascio di concessione in sanatoria. La Corte di merito compensava le spese.

La Presidenza del Consiglio non ha resistito con controricorso.

La Corte d’appello ha accolto la domanda nella misura sopra indicata avendo accertato una irragionevole durata di anni sei, dopo aver fissato in tre anni il periodo di durata ragionevole. In ordine al quantum dell’indennizzo, la medesima Corte ha valorizzato le seguenti circostanze, riduttive del parametro CEDU: lo scarso interesse mostrato dalla parte rispetto alla domanda (essendo stata l’istanza di prelievo depositata solo nel 2004, a fronte di un giudizio iniziato nel 1996); l’esito del giudizio (infondatezza della domanda); il contenuto della domanda.

I primi due motivi – con cui si censura il quantum dell’indennizzo liquidato a titolo di danno non patrimoniale – sono manifestamente infondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè, appunto, in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340). In particolare, la Corte di Strasburgo, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v. le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

La Corte di merito, nel commisurare l’entità dell’equa riparazione a titolo di danno non patrimoniale, non ha superato la soglia del discostamento ragionevole dagli standard elaborati dalla Corte di Strasburgo, ma correttamente ha dato rilievo – con una motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici – allo scarso interesse mostrato dalla parte rispetto alla domanda (essendo stata l’istanza di prelievo depositata solo nel 2004, a fronte di un giudizio iniziato nel 1996), all’esito del giudizio (infondatezza della domanda) ed al contenuto della domanda. Il ricorrente con il motivo di ricorso finisce con il richiedere, inammissibilmente, una rinnovata valutazione degli elementi di fatto ponderatamente valutati dal giudice del merito.

Appare altresì manifestamente infondata la censura afferente alla necessità di liquidare l’indennizzo con riferimento alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole, senza che ciò determini dubbi di legittimità costituzionale (Cass., Sez. 1^, 13 aprile 2006, n. 8714; Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14).

Manifestamente fondato appare, invece, il terzo motivo, perchè la pronuncia sulla compensazione delle spese è affidata ad una motivazione illogica (mancata opposizione alla domanda da parte dell’Amministrazione, rimasta contumace in giudizio)”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio;

che il Collegio non condivide le critiche in parte mosse con la memoria illustrativa alla relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., giacchè le circostanze di fatto valorizzate, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici, dal giudice del merito consentono di derogare (sia pure in misura ragionevole, come nella specie è avvenuto) allo standard medio di liquidazione del danno non patrimoniale;

che il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione alla censura accolta e, sussistendo i presupposti di cui all’art 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito: fermo restando l’accoglimento della domanda del ricorrente nei termini già decisi dalla Corte d’appello con la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quest’ultima va condannata al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo, che si compensano per il presente giudizio nella misura di due terzi in ragione del rigetto della maggior parte dei motivi;

che le spese vanno distratte in favore del difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso, cassa il decreto impugnato limitatamente alle spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento delle spese processuali – nell’intero quanto al giudizio di merito e per 1/3 in relazione a quello di cassazione, compensandosi la restante parte -, spese distratte in favore dell’Avv. Mario Candiano, e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 928,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 450,00 per onorari ed Euro 378,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nella misura, ridotta per effetto della disposta parziale compensazione, di Euro 285,00 (di cui Euro 35,00 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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