Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25468 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. I, 10/10/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 10/10/2019), n.25468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui distinti ricorsi, entrambi recanti il n. 29348/2016 r.g.,

proposti da:

EDILBITUGLASS S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), – incorporante, per

fusione, la PROTEX S.R.L. – con sede in (OMISSIS), in persona

dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

B.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in

calce al ricorso, dall’Avvocato Claudio Trovato, con il quale

elettivamente domicilia in Roma, alla via Monte Zebio n. 28/S,

presso lo studio dell’Avvocato Gaetano Alessi.

– ricorrente –

e

SOCIETA’ PEGASO S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, B.M., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Claudio Trovato, con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla

via Monte Zebio n. 28/S, presso lo studio dell’Avvocato Gaetano

Alessi.

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., in amministrazione straordinaria (cod. fisc.

(OMISSIS)), in persona dei commissari liquidatori, Dott.ssa

S.C.R., Dott. M.D. ed Avv. L.S.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al

controricorso, dagli Avvocati Stanislao Aureli e Michele Aureli,

nonchè dall’Avvocato Prof. Alberto Caltabiano, con i quali

elettivamente domicilia presso lo studio dei primi due in Roma, alla

via Ortigara n. 3.

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale condizionato proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in amministrazione straordinaria, e FALLIMENTO

(OMISSIS) S.P.A., come rispettivamente rappresentati e difesi;

– ricorrenti incidentali –

contro

EDILBITUGLASS s.r.l., come sopra rappresentata e difesa;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI CATANIA depositata il

10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/09/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto dei

ricorsi, principale e successivo, e l’assorbimento di quello

incidentale condizionato;

udito, per entrambe le ricorrenti, principale e successiva, l’Avv. G.

Alessi, per delega dell’Avv. C. Trovato, che ha chiesto accogliersi

i propri ricorsi;

udito, per la parte controricorrente e ricorrente incidentale

condizionata, l’Avv. M. Aureli, anche per conto dell’Avv. Prof. A.

Caltabianco, che ha chiesto rigettarsi gli avversi ricorsi, e, in

via subordinata, accogliersi il ricorso incidentale condizionato

proposto contro Edilbituglass s.r.l..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 18 luglio 1999, la (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria citò in giudizio, innanzi al Tribunale di Catania, la Protex s.r.l. assumendo che: i) con rogito del 26 gennaio 1995, le aveva venduto alcune unità immobiliari ivi compiutamente descritte; ii) il prezzo della vendita era stato indicato nella misura complessiva di Lirev 1.361.000.000, il cui pagamento era stato regolato mediante: iia) accollo, da parte dell’acquirente, di quote di capitale, rate arretrate ed interessi di mutui diversi, garantiti da ipoteche, sui beni venduti; iib) cessione, da parte della Protex s.r.l. ed in favore della (OMISSIS) s.p.a., di un credito dalla prima vantato verso la Proter s.r.l.; iic) compensazione con altro credito vantato dall’acquirente verso la venditrice; ild) pagamento in danaro ed eventuali forniture per il residuo importo; iii) la (OMISSIS) era stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Catania con sentenza del 2 marzo 1996, e, successivamente, sottoposta ad amministrazione straordinaria giusta decreto del Ministero del Tesoro del 26 marzo 1996; iv) l’atto di disposizione sopra descritto doveva dichiararsi inefficace, L. Fall., ex art. 67, comma 1, nn. 1 o 2, sussistendone i relativi presupposti di legge, peraltro compiutamente argomentati; v) il menzionato atto dispositivo doveva comunque revocarsi ai sensi della L. Fall., art. 66 e art. 2901 c.c., ricorrendone la scientia fraudis (in capo ai contraenti) e reventus damni.

1.1. Costituendosi in giudizio, la Protex s.r.l. dedusse l’improponibilità della revocatoria fallimentare da parte della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria; l’inopponibilità dell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto l’adempimento di un debito scaduto, alla stregua dell’art. 2901 c.c., comma 3; l’infondatezza delle avverse pretese.

1.2. Con successiva citazione del 22 marzo 2001, la (OMISSIS) s.p.a. convenne, innanzi al medesimo tribunale, la Thesi Italia s.r.l. e la Pegaso s.r.l., resesi, medio tempore, acquirenti dalla Protex s.r.l. degli immobili già oggetto dell’indicato rogito del 26 gennaio 1995, prospettando la revocabilità di tali acquisti e chiedendo che l’adito tribunale dichiarasse che l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta nei confronti della Protex s.r.l., nell’ambito del primo giudizio, pregiudicava gli acquisti della Thesi Italia s.r.l. e della Pegaso s.r.l..

1.2.1. La Thesi Italia s.r.l., costituendosi, dedusse l’inammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare verso il terzo acquirente; l’inammissibilità delle azioni revocatorie, fallimentare ed ordinaria, comunque esperite per decorrenza del termine quinquennale di prescrizione; l’improponibilità e/o l’infondatezza della revocatoria ordinaria; il difetto di integrità del contraddittorio per la mancata evocazione in giudizio di Protex s.r.l.. La Pegaso s.r.l., a sua volta, eccepì l’inammissibilità dell’azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, nn. 1 e 2; l’infondatezza dell’azione revocatoria ordinaria, per carenza dei presupposti dell’art. 2901 c.c.. Entrambe le convenute chiesero ed ottennero, inoltre, di chiamare in causa la Protex s.r.l. perchè, in subordine, rispondesse per l’eventuale danno da evizione.

1.3. Con sentenza del 15 maggio 2009, n. 2548, il Tribunale di Catania: i) dichiarò inefficace, L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, l’atto dispositivo del 26 gennaio 1995 tra la (OMISSIS) s.p.a. e la Protex s.r.l.; revocò, ex art. 2901 c.c., l’atto di compravendita stipulato, il 2 febbraio 1999, tra la Protex s.r.l. e la Pegaso s.r.l., limitatamente agli immobili già oggetto del predetto atto del 26 gennaio 1995; iii) condannò la Protex s.r.l. alla restituzione, in favore della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria, del controvalore degli immobili oggetto del trasferimento alla Thesi Italia s.r.l., pari ad Euro 231.954,98, oltre interessi; iv) condannò la Pegaso s.r.l. al rilascio, in favore della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria, degli immobili oggetto dell’atto di compravendita del 2 febbraio 1999 intercorso con la Protex s.r.l.; v) condannò la Protex s.r.l. al pagamento, in favore della Pegaso s.r.l., di Euro 427.998,16, oltre interessi, ed a tenere indenne quest’ultima dalla condanna alle spese in favore della (OMISSIS) s.p.a.; vi) respinse ogni altra domanda e regolò le spese processuali.

1.4. La Corte di appello di Catania, adita, con autonomi gravami, dalla (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria, dalla Pegaso s.r.l. e dalla Protex s.r.l., riuniti gli stessi ex art. 335 c.p.c. e disattese le sollevate questioni pregiudiziali, con sentenza dell’11 novembre 2015, n. 1698, accolse parzialmente quello della prima e, per l’effetto, condannò la Protex s.r.l. al pagamento, in suo favore, di Euro 343.166,02, oltre interessi, a titolo di frutti civili degli immobili per i quali era rimasta soccombente nella revocatoria fallimentare, nonchè di Euro 4.050,70 a titolo di canoni mensili per gli stessi a far data dal mese di gennaio 2007 fino all’effettivo rilascio dei beni e fino al versamento del tantundem. Confermò, per il resto, la decisione impugnata.

1.4.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) fece propria la giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di compatibilità del D.L. n. 26 del 1979, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 95 del 1979, sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, con le norme comunitarie, e giudicò corretto il richiamo alla immediata applicabilità del mutamento di cui alla L. n. 273 del 2002, art. 7, alla cui stregua (OMISSIS) s.p.a. doveva ritenersi comunque immessa ex lege nella fase liquidatoria; ii) opinò, con riferimento alle doglianze di Protex s.r.l. e Pegaso s.r.l. contro l’avvenuto accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare avverso il rogito del 26 gennaio 1995, da un lato, che la (da loro) lamentata omessa statuizione sulla restituzione del prezzo costituiva, in realtà, domanda nuova, come tale inammissibile in appello ex art. 345 c.p.c.; dall’altro, che l’intero negozio era stato assoggettato all’azione revocatoria, senza che potesse effettuarsi alcuna arbitraria distinzione tra corrispettivo anomalo e non, con conseguente effetto pieno dell’inefficacia dell’atto dispositivo contemplato dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, che andava, dunque, unitariamente considerato; iii) escluse la possibilità per il terzo tenuto a restituire il bene o a pagarne il controvalore, a seguito di accoglimento dell’azione L. Fall., ex art. 67, di poter effettuare la compensazione con la somma pagata per l’acquisto, in quanto le due posizioni debitorie differivano nei soggetti verso i quali era intervenuto l’obbligo; iv) osservò essere orientamento del tutto consolidato della Suprema Corte quello secondo cui la revocatoria fallimentare investe l’atto di consegna di un bene determinato, sicchè l’accoglimento della relativa domanda implica l’obbligo di restituire il bene medesimo e, quindi, in caso di impossibilità, l’obbligo di pagare una somma di denaro corrispondente al suo valore, senza necessità di alcun mutamento della domanda, perchè la revocatoria postula la reintegrazione del patrimonio del fallito; v) richiamò, quanto all’azione revocatoria nei confronti degli aventi causa del primo acquirente, i principi sanciti da Cass. n. 10066 del 2008 e da Cass. n. 4945 del 1987; vi) affermò che, malgrado nel caso di vittorioso esperimento dell’azione revocatoria ordinaria da parte dei creditori non si faccia luogo a restituzione del bene, tuttavia, tale principio era stato tradizionalmente affermato soltanto laddove l’attore vittorioso in revocatoria fosse una parte privata, non trovando, invece, applicazione per l’ipotesi in cui l’attore vittorioso in revocatoria ordinaria conseguente a revocatoria fallimentare fosse il curatore fallimentare, attesa la peculiare funzione riconosciuta dalla legge a quest’ultimo soggetto; vii) fece propri, infine, quanto alla domanda di risarcimento danno della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria verso la Protex s.r.l., i principi resi da Cass. n. 6991 del 2007, da Cass. n. 14098 del 2009 e da Cass. n. 27230 del 2009.

2. Avverso la fin qui descritta sentenza, la Pegaso s.r.l. e la Edilbituglass s.r.l. (incorporante per fusione la Protex s.r.l.) hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione, affidati ad otto motivi (vi sono, infatti, due motivi indicati con lo stesso numero V) affatto identici in entrambi i ricorsi, resistiti dalla (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria e dalla curatela fallimentare della medesima società, le quali hanno congiuntamente depositato controricorsi riferiti a ciascuno dei suddetti ricorsi (contro quello della Edilbituglass s.r.l. è stato altresì promosso ricorso incidentale condizionato), nonchè memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che i ricorsi di cui si è detto vanno riuniti ex art. 335 c.p.c., e che le circostanze, segnalate nei controricorsi della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria e della curatela fallimentare della medesima società, concernenti l’avvenuta dichiarazione di fallimento di quest’ultima, il 19 luglio 2016, e la successiva revoca di tale pronuncia, con decreto del 16 dicembre 2016, si rivelano irrilevanti nell’odierno giudizio di legittimità, che è caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 4514 del 2019; Cass. n. 25603 del 2018; Cass. n. 27143 del 2017; Cass. n. 7477 del 2017).

2. I motivi dei distinti ricorsi della Pegaso s.r.l. e della Edilbituglass s.r.l. (incorporante per fusione la Protex s.r.l.) sono, come si è anticipato, assolutamente identici, sicchè possono riportarsi, e parimenti scrutinarsi, una sola volta.

3. Il primo di essi, rubricato “Violazione di legge – Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia – Motivazione insufficiente ed illogica Erroneità della sentenza – Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 96 del 1979 – Inesperibilità della revocatoria fallimentare nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria”, ascrive alla corte distrettuale di aver erroneamente confermato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’amministrazione straordinaria della (OMISSIS) s.p.a. ad avvalersi del rimedio di cui alla L. Fall., art. 67, non compreso tra quelli indicati dalla L. Fall., art. 201, applicabile all’amministrazione straordinaria predetta giusta il rinvio operato dal D.L. n. 26 del 1979, art. 1, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 95 del 1979, per quanto non diversamente stabilito in esso, alla L. Fall., artt. 195 e segg..

3.1. Tale doglianza è infondata.

3.1.1. Posto, invero, che la procedura di amministrazione straordinaria della (OMISSIS) s.p.a., apertasi per effetto del decreto del Ministero del Tesoro del 26 marzo 1996, deve ritenersi regolata dalle disposizioni di cui al D.L. n. 26 del 1979, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 95 del 1979, essendo il D.Lgs. n. 270 del 1999, entrato in vigore solo successivamente, è sufficiente ricordare che questa Corte ha già ripetutamente chiarito che il commissario designato ai sensi dell’art. 1 del D.L. predetto, una volta insediato di fatto nella carica, assume il potere rappresentativo della società in amministrazione straordinaria e, pertanto, può esercitare i poteri ad essa correlati in nome e per conto della società, ivi compreso l’esercizio delle eventuali azioni revocatorie, tra cui quella fallimentare (cfr., ex multis, Cass. n. 9453 del 2016; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 17200 del 2014; Cass. n. 13244 del 2011).

4. Il secondo ed il terzo motivo di ciascun ricorso, rubricati, rispettivamente, “Erroneità della sentenza – Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 96 del 1979 e dell’art. 2901 c.c.. Incompatibilità dell’amministrazione straordinaria e della revocatoria fallimentare con l’ordinamento comunitario”, e “Violazione di legge Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia – Motivazione insufficiente ed illogica – Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. c) – Erroneità della sentenza – Inesperibilità della revocatoria fallimentare nell’ambito della fase conservativa della procedura di amministrazione straordinaria – Sua persistenza”, assumono, sostanzialmente, l’erroneità della statuizione impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha confermato la decisione del giudice di primo grado in ordine alla piena compatibilità con il diritto comunitario dell’azione revocatoria fallimentare esperita nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria prevista dalla L. n. 95 del 1979, ed all’ammissibilità dell’introduzione della medesima azione nella fase conservativa.

4.1. Tali censure, esaminabili congiuntamente perchè connesse, sono inammissibili ex art. 360-bis c.p.c..

4.1.1. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare l’ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 8974 del 2019; Cass. n. 3871 del 2019; Cass. n. 21481 del 2017; Cass. n. 18540 del 2014; Cass. n. 23655 del 2012; Cass. 10208 del 2007), che qui si condivide e si intende ribadire, secondo cui il D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 aprile 1979, n. 95, sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (qui, come si è detto, applicabile ratione temporis), è incompatibile con le norme comunitarie – in base alle sentenze della Corte di giustizia della Comunità Europea 1 dicembre 1998, C-200/97, e 17 giugno 1999, C-295/97, all’ordinanza della stessa Corte 24 luglio 2003, C-297/01 ed alla decisione della Commissione 16 maggio 2001, n. 2001/212/CE – non nella sua totalità, ma esclusivamente in relazione a disposizioni che prevedano aiuti di Stato non consentiti ai sensi dell’art. 87 (già art. 92) del Trattato CE, tra i quali non può farsi rientrare la previsione dell’azione revocatoria, essendo priva del requisito della specificità, sotto i due profili della selettività e della discrezionalità, che, alla stregua delle decisioni della Corte di giustizia sopra richiamate, caratterizzano gli aiuti di Stato vietati. Nè costituisce aiuto di Stato la stessa apertura della procedura di amministrazione straordinaria (senza la quale neppure è prospettabile l’esercizio dell’azione revocatoria), sotto il profilo che la continuazione dell’impresa, con sacrificio di creditori principalmente pubblici, ed altri vantaggi, con oneri supplementari a carico dello Stato o di enti pubblici, conseguano necessariamente all’ammissione alla procedura: infatti, nell’amministrazione straordinaria disciplinata dalla citata L. n. 95 del 1979, la continuazione dell’impresa, seppure ipotesi normale, non è conseguenza necessaria dell’apertura della procedura, mentre gli altri vantaggi a carico di risorse pubbliche, individuati dalla sentenza della Corte di giustizia 17 giugno 1999, possono essere disapplicati senza incidere sulla possibilità di una gestione liquidatoria (solo in funzione della quale si giustifica l’azione revocatoria) della medesima procedura.

4.1.2. A tanto deve, peraltro, aggiungersi che, come già ritenuto da questa Corte, l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla L. 3 aprile 1979, n. 95, non integra un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87 (ora 92) del Trattato CE, trattandosi di procedimento attivabile ordinariamente nel corso della procedura fallimentare, senza che rilevi la distinzione tra fase conservativa e fase liquidatoria, onde ricavarne che l’azione revocatoria non comporta aiuti alle imprese sotto il profilo di un finanziamento forzoso unicamente se esercitata nella seconda fase, atteso che l’azione revocatoria, anche quando esercitata durante la fase conservativa, è diretta a produrre risorse da destinare alla espropriazione forzata a fini satisfattori, di tutela degli interessi dei creditori. Nè rileva che il bene recuperato con l’azione revocatoria non sia destinato immediatamente alla liquidazione ed al riparto tra i creditori, poichè è sufficiente che esso concorra con gli altri beni a determinare il patrimonio ripartibile al termine del tentativo di risanamento (cfr. Cass. n. 8974 del 2019; Cass. n. 17200 del 2014).

4.1.3. Le odierne doglianze, ripercorrendo le argomentazioni già offerte nelle precedenti statuizioni e ritenendole non condivisibili, non offrono argomentate ragioni che inducano ad una riconsiderazione del riportato orientamento di legittimità oramai consolidato.

5. Il quarto motivo di ciascun ricorso, rubricato “Violazione di legge Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia – Motivazione insufficiente ed illogica – Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. c) – Erroneo accoglimento della revocatoria fallimentare, violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2 e dell’art. 2901 c.c.”, assume che l’argomentazione della corte distrettuale, laddove aveva condiviso l’avvenuto accoglimento, in prime cure, della domanda L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, era illogica e non adeguatamente motivata, giacchè non aveva tenuto nella dovuta considerazione che il prezzo pattuito tra le parti era addirittura superiore al valore del compendio immobiliare per come stimato dal CTU e regolarmente riscosso dalla (OMISSIS) s.p.a.. Sostiene, inoltre, che, quanto alle modalità di pagamento, si era altrettanto illogicamente ritenuto che il corrispettivo fosse stato in buona parte regolato con mezzi anomali, senza tenersi conto, così inficiando la motivazione, dell’indubbio rilievo delle residue quote di capitale di mutui diversi, garantiti da ipoteche iscritte sui beni compravenduti, sicchè non poteva essere conseguita alcuna lesione delle ragioni creditorie. Evidenzia, sotto altro profilo, che la sentenza impugnata, nell’imporre gravose restrizioni, aveva, ancora una volta illogicamente, ignorato i rilevanti esborsi effettuati e la non meno gravosa assunzione di mutui particolarmente onerosi. Essi avrebbero dovuto essere nuovamente posti a carico della società in amministrazione straordinaria e portati comunque a deconto di qualsivoglia indennizzo costituito in capo alle società convenute.

5.1. Tale doglianza, laddove prospetta un vizio motivazionale, è inammissibile, facendo riferimento ad una nozione di tale vizio (omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia/motivazione insufficiente ed illogica) non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 10 novembre 2015), atteso che tale mezzo di impugnazione, oggi, lungi dal consentire di denunciare una motivazione insufficiente e/o contraddittoria e/o illogica, ovvero il mancato esame di un punto decisivo della controversia, concerne esclusivamente l’omesso esame di “un fatto decisivo per il giudizio” che sia stato “oggetto di discussione tra le parti”, peraltro con i relativi, specifici oneri di allegazione sanciti da Cass. SU, n. 8053 del 2014.

5.1.1. In particolare, costituisce un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); il) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

5.1.2. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); li) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).

5.1.3. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”.

5.1.4. Non rispondendo, allora, l’argomentazione del vizio motivazionale come oggi prospettato nel motivo in esame, ai suddetti principi, esso va giudicato inammissibile.

5.2. Analoga sorte merita la censura di violazione di legge contenuta nel medesimo motivo.

5.2.1. Essa, invero, concerne, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio, senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

5.3. Entrambe le ricorrenti, peraltro, sembrano voler sostenere che la condanna restitutoria avrebbe dovuto riguardare soltanto la parte di corrispettivo per la quale sarebbe stato convenuto un mezzo anomalo di pagamento.

5.3.1. Un siffatto assunto, però, non può condividersi, posto che l’atto con cui – come nella specie – viene realizzata una datio in solutum, ove dichiarato inefficace per effetto di revocatoria, lo è nel suo complesso, con conseguente obbligo del soccombente di corrispondere l’equivalente pecuniario del bene consegnato qualora esso non sia più restituibile. Del resto, come già chiarito da questa Suprema Corte, in tema di revocatoria fallimentare, l’estinzione della precedente passività come scopo ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tale fine utilizzati, secondo lo schema del “collegamento funzionale”, conferisce all’operazione complessivamente realizzata un carattere anormale, in tali termini qualificandosi anche l’atto terminale, di per sè neutro, di estinzione del debito con conseguente presunzione semplice di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore così soddisfatto. Se, dunque, la si colloca nella categoria dei mezzi indiretti per conseguire il risultato economico della datio in solutum, compiuta attraverso il collegamento dell’acquisto del bene e della compensazione del credito originario col pagamento del prezzo, sia pure parziale, nessun dubbio sussiste sulla (ricorribilità della) fattispecie configurata dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2 (cfr. Cass. n. 12644 del 2011; Cass. n. 193 del 2001; Cass. n. 3710 del 1984; Cass. n. 6675 del 1981; Cass. n. 5138 del 1980).

5.4. Va ribadito, infine, che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non è ammessa compensazione tra il debito (cd. verso la massa) per le restituzioni conseguenti all’accoglimento della revocatoria fallimentare ed i crediti verso il fallito spettanti al soccombente in revocatoria, essendo la compensazione consentita solo tra i debiti ed i crediti scaturenti da rapporti direttamente intercorsi con il fallito (cfr. Cass. n. 30824 del 2018; Cass. n. 2912 del 2000).

6. Il quinto motivo di ciascun ricorso, rubricato “Errore di diritto Violazione della legge (L. Fall., art. 67) – Inesistenza della prova della scientia decoctionis – Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. c)”, ascrive alla corte catanese di aver errato laddove ha ritenuto che la Protex s.r.l. non aveva fornito alcun elemento in ordine alla sussistenza della inscientia decoctionis, tenuto conto del regime dell’onere probatorio del requisito soggettivo dell’azione revocatoria fallimentare delineato nella L. Fall., art. 67, comma 1. Si assume che quel giudice non aveva adeguatamente valutato alcune circostanze (la sede in Roma della convenuta; la notoria consistenza del patrimonio immobiliare della (OMISSIS) s.p.a., ultracapiente rispetto al montante di qualsivoglia protesto bancario e tale da non potersi ritenere scalfita dalla vendita dei modesti immobili de quibus) ed aveva altresì negato il dovuto rilievo alla prosecuzione dei rapporti inter partes, pur in carenza di qualsivoglia argomentazione sul punto. Si afferma essere giuridicamente illogico che un soggetto imprenditoriale che sia a conoscenza della decozione della controparte, dopo aver messo in sicurezza un proprio credito convenendo mezzi di pagamento asseritamente anomali, abbia ritenuto di esporsi nuovamente, per pura filantropia, in misura pari ad un terzo circa della stessa somma. Altrettanto, poi, dovrebbe dirsi ove si ritenesse, anche solo in ipotesi, che gli ulteriori rapporti inter partes siano stati assunti al fine di assicurare alla (OMISSIS) s.p.a. l’esecuzione di opere e forniture tali da garantire la prosecuzione delle attività di impresa.

6.1. Anche questa censura è inammissibile perchè, come si è già detto con riferimento al precedente motivo, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU, n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6.2. Va qui solo aggiunto che la corte a quo, dopo aver condiviso le conclusioni della sentenza appellata quanto al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla Protex s.r.l. circa la sua inscientia decoctionis (cfr. pag. 25 – 26 della decisione oggi impugnata) nell’azione L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, proposta nei suoi confronti, ha poi ampiamente dato conto (cfr. pag. 30-31 della medesima decisione), con riguardo alla ritenuta malafede delle società subacquirenti contro cui era stata esperita l’azione revocatoria ordinaria, delle circostanze indiziarie dedotte dalle parti. In definitiva, posto che l’accertamento di fatto circa la sussistenza, o meno, del requisito dell’elemento psicologico delle azioni predette compete al giudice del merito, cui spetta, peraltro, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, l’odierno assunto di entrambe le ricorrenti si risolve, sostanzialmente, nell’inammissibile (alla stregua di quanto si è già detto) tentativo, da parte loro, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge.

7. Il sesto motivo di entrambi i ricorsi (benchè in essi riportato nuovamente come quinto), rubricato “Erroneità della sentenza – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. – Inesperibilità dell’azione revocatoria ordinaria – Carenza dei presupposti – Erroneo accoglimento delle revocatoria contro il terzo subacquirente ritenuto in mala fede – Inesistenza dell’eventus damni”, imputa alla corte distrettuale di aver errato laddove non ha fatto applicazione del principio secondo cui “alla revocatoria fallimentare ordinaria (così, testualmente, alla pag. 30 del ricorso della Pegaso s.r.l. ed a quella n. 25 del ricorso della Edilbituglass s.r.l.. Ndr) è applicabile quanto disposto dall’art. 2901 c.c., penultimo comma, secondo il quale non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto”. Si assume, altresì, che pure avendo detta corte confermato che la prova della mala fede del terzo subacquirente incombesse sull’attore, aveva, poi, erroneamente ritenuto che tale onere fosse stato assolto attraverso la semplice esibizione dei protesti cambiari gravanti sulla (OMISSIS) s.p.a.. Inoltre, nemmeno era stata valutata l’effettiva natura dell’operazione posta in essere attraverso l’atto di compravendita.

7.1. Anche questa censura è, nel suo complesso, insuscettibile di accoglimento.

7.2. Giova immediatamente premettere che costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., ex aliis, Cass. n. 2423 del 1996; Cass. n. 18195 del 2004; Cass. n. 10066 del 2004; Cass. n. 27320 del 2009; Cass. n. 13273 del 2018) che, per il combinato disposto della L. Fall., art. 66, comma 2 e art. 67 e dell’art. 2901 c.c., comma 4, nel fallimento (ma altrettanto è a dirsi, per evidente identità di ratio, per l’amministrazione straordinaria delle gradi imprese in crisi) l’azione revocatoria è esperibile dal curatore non solo nei confronti del primo acquirente dal fallito, ma anche nei confronti degli aventi causa da quest’ultimo, quando siano acquirenti in mala fede, ma in questo caso si è sempre di fronte a una azione revocatoria ordinaria che ha come necessario presupposto l’esercizio della revocatoria fallimentare (L. Fall., art. 67) nei confronti dell’atto del fallito, che è all’origine della catena dei trasferimenti, e la conseguente dichiarazione di inefficacia di tale atto. Peraltro, mentre nella revocatoria L. Fall., ex art. 67, la mala fede del primo acquirente deve individuarsi nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge fallimentare, rendono revocabile l’atto compiuto dal fallito, la mala fede del primo subacquirente consiste nella consapevolezza del vizio di revocabilità che inficiava l’atto di trasferimento originario, ossia la consapevolezza che l’immediato acquirente dal fallito al momento del primo atto della serie era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito medesimo; e la malafede dei successivi subacquirenti va individuata nella consapevolezza non solo delle condizioni di inefficacia del primo atto compiuto dal fallito, ma anche di quelli di tutti gli atti interposti e intermedi. Quanto alla prova, mentre la revocatoria fallimentare è sorretta dalle presunzioni ivi sancite, per i subacquirenti, la cui responsabilità è fondata dell’art. 2901 c.c., comma 4, la dimostrazione della consapevolezza della revocabilità sia del primo atto, sia degli atti successivi, costituisce onere probatorio gravante sull’attore. Ne consegue che il curatore fallimentare (e, quindi, il commissario straordinario, in ipotesi di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) non può giovarsi del più favorevole regime probatorio ai sensi della L. Fall., art. 67, ma è tenuto a dimostrare la malafede del subacquirente, secondo le regole dell’onere della prova dell’azione revocatoria ordinaria (cfr. Cass. n. 18370 del 2010 e Cass. n. 19918 del 2017, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 13273 del 2018).

7.2.1. Orbene, nella specie, in primo luogo, non è chiaro – attesa l’equivocità della dicitura “revocatoria fallimentare ordinaria” – se la pretesa mancata applicazione del principio di cui all’art. 2901 c.c., comma 3, debba riferirsi all’azione L. Fall., ex art. 66 e art. 2901 c.c., piuttosto che a quella L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, esercitata dalla (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria contro la Protex s.r.l.: nel primo caso, infatti, la questione sarebbe affatto irrilevante (e la relativa doglianza inammissibile per difetto di interesse), posto che la corte distrettuale nemmeno ha preso in considerazione tale azione avendo confermato l’accoglimento della pretesa dell’attrice sotto il diverso profilo della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2. Nella seconda ipotesi, invece, sarebbe sufficiente, al fine di escludere la fondatezza della censura, il rinvio a Cass. n. 3905 del 2009, secondo cui, “qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall’obbligato mediante una prestazione diversa, consistente nel trasferimento di una res pro pecunia, va riconosciuta la ricorrenza di una datio in solutum, con il conseguente assoggettamento ad azione revocatoria fallimentare, a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2), indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il suddetto trasferimento e, quindi, anche quando il trasferimento medesimo sia effetto di un valido contratto di compravendita, che evidenzi l’indicato intento dei contraenti, per la mancata corresponsione del prezzo di vendita”.

7.2.2. Quanto, poi, alla ritenuta sussistenza, da parte della corte etnea, nel terzo subacquirente dalla prima acquirente dalla (OMISSIS) s.p.a., dell’elemento psicologico di cui all’art. 2901 c.c., nonchè dell’eventus damni, l’odierna doglianza si risolve nuovamente, come si è già visto in relazione al quinto motivo, nell’inammissibile tentativo di trasformare, surrettiziamente, il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

8. Il settimo motivo di entrambi i ricorsi (benchè in essi riportato come sesto), recante “Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Ultrapetizione – Violazione e falsa applicazione L. Fall., art. 67 – Violazione art. 2901 c.c. – Violazione art. 2092 c.c.”, lamenta che, malgrado l’assenza di specifica domanda in tal senso nei confronti sia del primo acquirente che dei successivi subacquirenti, la sentenza impugnata aveva confermato a carico della Protex s.r.l. la restituzione dei beni venduti, ovvero, a carico di quest’ultima e nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria o della Pegaso s.r.l., il risarcimento del danno per tantundem. Si assume, inoltre, che l’assenza di un effetto restitutorio conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria esclude la debenza di un immediato risarcimento.

8.1. Tale censura è complessivamente infondata.

8.1.1. Costituisce, invero, principio ripetutamente enunciato da questa Corte che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria (ordinaria o) fallimentare del negozio stipulato dal debitore poi fallito non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, nè alcun effetto direttamente traslativo nei confronti dei creditori, bensì soltanto l’inefficacia dell’atto rispetto ai creditori procedenti, rendendo il bene alienato, o comunque oggetto di atti dispositivi, assoggettabile all’azione esecutiva, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta disposizione (cfr., ex multis, Cass. n. 2154 del 1984, Cass. n. 8962 del 1997, Cass. n. 8419 del 2000, Cass. n. 17590 del 2005, tutte richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 31277 del 2018).

8.1.2. La conclusione non può mutare per il solo fatto che, nel caso di specie, la sentenza che ha accolto la domanda di revocatoria proposta dalla (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria ha anche condannato l’acquirente alla “restituzione” dell’immobile in favore di detta società (statuizione confermata dalla corte di appello catanese). Invero, tale capo della decisione non può essere interpretato come condanna alla retrocessione del bene alla procedura, posto che, così inteso, risulterebbe in palese ed insanabile contrasto con la statuizione di revoca (e dunque di mera inefficacia nei confronti della massa dei creditori) dell’atto di vendita.

8.1.3. Come già chiarito da questa Corte (cfr. Cass. n. 17590 del 2005, richiamata dalla più recente Cass. n. 31277 del 2018), la condanna restitutoria assume, piuttosto, carattere derivativo della pronuncia di accoglimento della domanda revocatoria, sanzionando l’obbligo da essa nascente di porre il bene nella piena disponibilità della massa.

8.1.3.1. Infatti, a differenza che nell’azione revocatoria ordinaria, il cui vittorioso esperimento consente al creditore istante di aggredire solo successivamente, con esecuzione individuale, il bene oggetto dell’atto revocato, l’accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dall’acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori (cfr. Cass. n. 3757 del 1985; Cass. n. 2936 del 1978), sicchè si giustifica l’affermazione di questa Corte secondo cui, ove la revocatoria fallimentare investa l’atto di consegna di un bene determinato, l’accoglimento della relativa domanda implica l’obbligo di restituire il bene medesimo e, in caso d’impossibilità, comporta, quale effetto implicito e senza necessità di mutamento della domanda, l’obbligo di corrispondere l’equivalente pecuniario del valore del bene (cfr. Cass. n. 22008 del 2007).

8.1.3.2. L’acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne determina, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c., a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore (cui compete l’amministrazione del patrimonio del fallito, anche per quanto concerne i beni sopravvenuti), ovvero, nella specie, all’analogo organo (commissario straordinario) dell’amministrazione straordinaria, il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa. In altri termini, la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito (o, come nella specie, sottoposto ad amministrazione straordinaria) derivante dal positivo esperimento dell’azione revocatoria fallimentare in tanto si realizza in quanto il bene che ne sia stato oggetto sia recuperato attraverso la sua restituzione; ne consegue che per la produzione di tale effetto non è necessaria un’esplicita domanda, perchè il suo perseguimento è compreso necessariamente nel petitum originario.

8.2. A tanto deve soltanto aggiungersi che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, oggetto della domanda di revocatoria fallimentare non è il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità ad esecuzione e, quindi, la liquidazione di un bene che, rispetto all’interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore; ne consegue, non solo che la condanna al pagamento dell’equivalente monetario ben può essere pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, in ogni caso in cui risulti impossibile la restituzione del bene, ma anche che la relativa domanda può essere proposta per la prima volta nel giudizio d’appello, in quanto non nuova, ma ricompresa implicitamente nell’azione revocatoria stessa (cfr. Cass. n. 26425 del 2017; Cass. n. 11440 del 2014; Cass. n. 14098 del 2009).

9. L’ottavo motivo di entrambi i ricorsi (benchè in essi riportato come settimo), rubricato “Violazione e falsa applicazione anche sotto il profilo della motivazione insufficiente ed illogica. Accoglimento della domanda di risarcimento del danno nei confronti della Protex s.r.l.”, lamenta, infine, la non condivisibilità e l’asserita erroneità giuridica dell’accoglimento dell’azione risarcitoria nei confronti della Protex s.r.l. Si afferma, esclusivamente, che “sotto tale profilo, non può non rilevarsi l’illogicità manifesta della sentenza laddove ha accolto la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento dell’immobile. E’ palese, invero, che la società abbia trasferito a terzi il godimento degli immobili e che, pertanto, gli effetti restitutori connessi all’accoglimento dell’azione revocatoria non possano farsi risalire, con riferimento al caso in esame, al momento della domanda giudiziale, bensì a quello di conclusione del negozio”.

9.1. Tale censura è complessivamente inammissibile, oltre che in ragione dell’estrema genericità dell’argomentazione che la sorregge, perchè, ove veicolante un vizio motivazionale, si sarebbe chiaramente al di fuori del perimetro operativo del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come già precedentemente delimitato; mentre, quanto al preteso vizio di violazione di legge, oblitera totalmente che quest’ultimo deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo.

10. Il rigetto di entrambi i ricorsi principali determina, infine, l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato della sola parte controricorrente al ricorso della Edilbituglass s.r.l..

11. I ricorsi della Pegaso s.r.l. e della Edilbituglass s.r.l. (incorporante per fusione la Protex s.r.l.), dunque, vanno respinti, restando tenuta ognuna di esse al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della rispettiva parte controricorrente, ex art. 97 c.p.c., comma 1, prima parte, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico di ciascuna di dette società ricorrenti, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stati i ricorsi proposti il 12 dicembre 2016), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi, riuniti ex art. 335 c.p.c., della Società Pegaso s.r.l. e della Edilbituglass s.r.l. (incorporante per fusione la Protex s.r.l.) e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato della parte controricorrente al ricorso di quest’ultima. Condanna le menzionate società al pagamento, ciascuna in favore della rispettiva parte controricorrente, delle spese processuali, che si liquidano in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di ciascuna ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il proprio ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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