Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25467 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 12/10/2018), n.25467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20300/2011 proposto da:

MEZZA LUNA DI P.M.M. & C. SNC, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato MICHELANTONIO PLACENTINO con studio in SAN

GIOVANNI ROTONDO VIA PLACENTINO 11 (avviso postale ex art. 135)

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 481/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST.

della PUGLIA, depositata il 16/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PLACENTINO che si riporta ai

motivi di ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.O., con ricorso del 14.11.2006, impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale l’Agenzia delle Entrate di Manfredonia, contestava l’omesso versamento di ritenute IRPEF per Euro 13,433.00 sul costo complessivo del lavoro, sia per quattro lavoratori non registrati che per un quinto, risultato regolarmente iscritto prima dell’accesso della G.d.F. e, comunque, in relazione al quale sussistevano i presupposti per l’accertamento. Tale accertamento scaturiva a seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Manfredonia, la quale aveva constatato che nella società Mezza Luna di P.M. e C. snc, della quale l’ O. era rappresentante legale, nell’anno 2004, vi era la presenza di quattro lavoratori in nero, non iscritti, cioè, al libro matricola, nè in altri registri a fini previdenziali o infortunistici.

Il ricorrente eccepiva che: a) l’atto era illegittimo, perchè le ritenute sarebbero state determinate indiscriminatamente dal 1.1.2004 e non dalla effettiva data di inizio della prestazione; b) in ogni caso nulla sarebbe dovuta, in quanto le somme che avrebbe dovuto versare il datore di lavoro erano inferiori alle somme da dedurre D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 11, la cd. no tax area; 3) altri uffici (direzione provinciale del lavoro. Inps ed Inail) avrebbero notificato verbale di accertamento congiunto non per tutti i lavoratori, ma solo per due di essi e per un periodo inferiore a quelli sul quale era stato calcolato l’accertamento emesso dall’Agenzia.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate chiedendo che fosse dichiarata la legittimità del proprio operato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Foggia accoglieva il ricorso, rilevando che la sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005 aveva annullalo la normativa in esame nella parte in cui fissava una presunzione di inizio del rapporto di lavoro in nero dal primo gennaio dell’anno, e, considerato anche che i lavoratori assunti avevano reso dichiarazioni inerenti l’inizio successivo del rapporto lavorativo, e che, comunque, vi sarebbe stata una deduzione fissa di Ero 3.000.00 cadauno, che avrebbe comunque compensato le somme non versate: Accoglieva il ricorso, stabilendo che fosse dovuta solo la somma di Lire 258,00 a titolo di sanzione amministrativa.

Avverso questa sentenza interponeva appello l’Agenzia delle Entrate osservando che le dichiarazioni dei lavoratori non potevano essere sufficienti a far ritenere provato l’inizio del rapporto di lavoro successivamente al primo gennaio, e che era illegittima la compensazione con le deduzioni spettanti alla quale aveva fatto riferimento la sentenza.

La Commissione Tributaria Regionale. della Puglia con sentenza n. 0481/25/10 accoglieva l’appello ritenendo che era onere del datore di lavoro dimostrare che il rapporto di lavoro era iniziato in una data successiva a quello indicata dall’Ufficio e tale prova era mancata.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Mezza Luna di P.M.M. & C. snc con ricorso affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso la società Mezza Luna di P.M.M. lamenta Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione degli elementi probatori, circostanze e risultanze processuali formalizzati ed evidenziati dal ricorrente negli atti difensivi di Primo e Secondo Grado tali da invalidare l’efficacia del convincimento posto a base del provvedimento impugnato, per manifesta violazione dell’art. 2700 c.c., art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., in correlazione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia avrebbe omesso di valutare le prove non legali (i CUD ed i calcoli con cui è stata dimostrata l’integrale compensazione tra deduzioni spettanti e ritenute dovute sull’ammontare dei redditi di lavoro dipendente: Avrebbe omesso altresì di valutare le prove legali: i verbali della Direzione del lavoro INPS ENAIL.

1.1. – Il motivo è infondato.

Va qui premesso che questa Corte ha affermato che: “in tema di sanzioni amministrative per l’impiego di lavoratori non regolarmente denunciati, l’irrogazione della sanzione prevista dal D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, conv. in L. n. 73 del 2002 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, conv. in L. n. 248 del 2006) non richiede, da parte dell’Amministrazione, alcun onere di dimostrare l’effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare, essendo sufficiente il mero accertamento dell’esecuzione di prestazione lavorativa da parte di soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria. E’, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva durata della prestazione lavorativa per evitare che l’entità della sanzione pecuniaria sia determinata “ex lege”, “per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione” ((v. SU n. 23206 del 2009 nonchè, Cass. n. 21778/2011).

Pertanto, nel caso in esame, correttamente l’Ufficio finanziario ha ritenuto che il rapporto di lavoro irregolare oggetto del presente giudizio, aveva avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione, cioè dall’inizio dell’anno fino all’agosto del 2004.

1.1.a) la presunzione, di cui si è appena detto, poteva essere superata solo da una sufficiente prova contraria posta a carico del datore di lavoro, che però è mancata.

Come ha precisato la CTR della Puglia le dichiarazioni rese dalle persone assunte in nero non potevano essere ritenute prova esaustiva “(…), proprio per la loro particolare pozione, non potevano essere ritenute di tale valore probante da essere sufficiente a fondare un giudizio positivo in ordine alla tesi difensiva di merito prospettata (….)”. Come già ha affermato questa Corte: ad assolvere l’onere probatorio a carico del datore di lavoro in ordine alla durata del rapporto di lavoro, non bastano le dichiarazioni dei lavoratori (Cass. n. 1960/2012), ma occorre una prova positiva (e con documenti di data certa) dell’effettiva durata del rapporto di lavoro.

1.1.b) La CTR della Puglia non poteva ritenere, neppure, prova esaustiva le attestazioni contenute nei processi verbali di accertamento emessi da altri competenti organi previdenziali INPS, INAIL, Verbali della Direzione provinciale del lavoro), perchè i verbali di questi altri organi amministrativi (previdenziali ed assicurativi) si limitano a sanzionare le infrazioni previste dalla legge senza la necessità di determinare l’inizio e/o la durata del rapporto di lavoro. Solo il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, collega immediatamente la sanzione alla durata del rapporto di lavoro. Sicchè, quale che fosse, l’indicazione contenuta nei verbali degli altri organi amministrativi cui ci si riferisce, non può avere il rigore di una prova in ordine alla durata del rapporto di lavoro irregolare. Senza dire che, comunque, i verbali degli altri organi non possono che avere lo stesso valore probatorio del processo verbale di costatazione redatto dalla Guardia di Finanza, la quale, dovendo considerare che l’eventuale accertamento effettuato dagli altri organi amministrativi non solo non vincola l’Ufficio finanziario ma non ha, neppure, la capacità di impedire un accertamento più ampio e/o escludere la presunzione di legge.

Pertanto, la sentenza impugnata va confermata per quanto non sembra che sia incorsa nei vizi denunciati neppure sotto il profilo della valutazione dei dati acquisiti al processo.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inosservanza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 1, art. 2, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 11 (T.U.I.R.), L. n. 212 del 2000, art. 8, comma 1, in correlazione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente la Commissione Tributaria Regionale della Puglia non avrebbe tenuto conto che i lavoratori irregolari avevano svolto la loro attività lavorativa nell’arco di tempo giugno agosto 2004 che per le retribuzioni ad ognuno spettante la ritenuta fiscale da effettuare era inferiore all’importo spettante a titolo di deduzioni, pertanto, effettuata la compensazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, art. 11 T.U.I.R., L. n. 212 del 2000, art. 8, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, tra deduzioni e ritenute residuava come imposta zero.

2.1. – Il motivo è infondato.

Va qui precisato che il principio generale del codice civile sulla compensazione come modo di estinzione dell’obbligazione è stato recepito dal legislatore tributario con la L. 27 luglio 2000, n. 212 e costituisce una novità significativa perchè anteriormente l’obbligazione tributaria non ammetteva tra i modi estintivi quello della compensazione: l’ostacolo era ravvisato con chiarezza dalla dottrina nella indisponibilità del credito tributario, nel R.D. 22 maggio 1924, n. 827, art. 225 e nell’art. 1246 c.c., n. 3), in cui si fa divieto di compensare i crediti impignorabili, come sono i crediti che derivano da rapporti di diritto pubblico e quindi quelli di natura tributaria.

Nessun dubbio, dunque, che la compensazione avrebbe potuto operare nel caso in esame sempre che il contribuente avesse agito correttamente.

2.2. – Epperò, nel caso in esame, invece, è stato acclarato che il ricorrente si avvaleva di manodopera non in regola con la normativa vigente e, dunque, i proventi dallo stesso corrisposti erano sottratti a qualsiasi imposizione fiscale. Sicchè, da un verso sarebbe solo un’illazione, per altro teorica, ritenere che le somme dovute sarebbero inferiori a quelle spettanti per deduzioni; per altro, non vi sarebbero validi motivi per negare all’Amministrazione finanziaria di contestare le violazioni in materia di sostituto di imposta (l’effettuazione delle ritenute fiscali) per il solo fatto ipotetico che in capo al sostituto fossero per la stessa causa maturati dei crediti. Senza dire che la compensazione non opera automaticamente ma su richiesta e, dunque, il contribuente (attuale ricorrente) avrebbe dovuto comunicare di aver effettuato le ritenute fiscali sui redditi corrisposti ai propri operai, di aver maturato dei crediti per deduzioni fiscali e, dunque, che non avrebbe effettuato alcun versamento giovandosi della compensazione.

Piuttosto, nel caso in esame, sono totalmente assenti i presupposti della “ipotetica” compensazione, e, come ha avuto modo di precisare la CTR della Puglia, “(…) per altro, in sentenza si fa un generico riferimento ad una certezza aprioristica del fatto che le somme dovute sarebbero inferiori a quelle spettanti per deduzioni, circostanza assolutamente non provata in fatto e totalmente irrilevante ai fini della decisione (…)”.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia palese contrasto ed incompatibilità del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 42, con l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 (espressamente riconosciuto e richiamato dall’art. 6 del Trattato di Lisbona, ratificato con L. 2 agosto 2008). Il ricorrente considerato che l’atto di accertamento oggetto di contezioso non sarebbe stato preceduto in sede procedimentale dal rispetto del principio del contraddittorio che per la normativa tributaria italiana sarebbe facoltativo (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32) e che tale norma si appalesa incompatibile con l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea espressamente recepita all’art. 6 del Trattato di Lisbona, chiede il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di giustizia CE perchè si pronuncia sulla compatibilità o meno del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 42, con l’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea recepito dall’art. 6 Trattato di Lisbona.

3.1. – La richiesta non può essere accolta perchè nel caso in esame il principio del contraddittorio è stato rispettato sia in sede di verifica che in fase di accertamento posto che del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, sono informati al principio del contraddittorio in sede di accessi ispezioni e verifiche.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.600,00 più spese prenotate a debito e oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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