Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25463 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2018, (ud. 29/05/2018, dep. 12/10/2018), n.25463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27411/2011 R.G. proposto da:

A.G., rappresentato e difeso da se stesso, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Roberto Masiani, in Roma,

Piazza Adriana n. 5, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Sicilia n.

192/17/2010 depositata il 30 giugno 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 maggio 2018

dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo

dichiararsi inammissibile il ricorso e, in subordine, infondato;

uditi l’Avv. Roberto Masiani, per delega dell’Avv. A.G. e

l’Avv. Paolo Gentili per l’Agenzia delle entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti di A.G., Avvocato, con riferimento ai redditi del 1998, in base ai “parametri” di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 184, individuando maggiori compensi pari a Lire 119.409.000, con maggiore imposizione ai fini Irpef, Irap ed Iva.

2. Proponeva ricorso il contribuente evidenziando, tra l’altro, che aveva conseguito rilevanti compensi in anni successivi al 1998, quindi in anni diversi a quello in cui erano stati sostenuti i relativi costi.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso cadendo in errore però in ordine alla quantificazione dei ricavi (Lire 265.868.000) e sull’anno di imposta (1996).

4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello principale del contribuente, in quanto il compenso per Lire 67.570.000 di competenza del 1998 era stato, in realtà, incassato nel 2000 ed in quest’ultimo anno dichiarato, e l’Avvocato era titolare di pensione, con riduzione del maggior reddito accertato del 30%.

5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente, che depositava memoria.

6. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce che “la sentenza impugnata è illegittima: per violazione di legge, avendo disapplicato o applicato erroneamente le norme di legge appresso specificate…A. Violazione di legge: Nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione. Nullità dell’avviso di accertamento impugnato per mancanza della prova su cui si fonda la pretesa tributaria. Nullità dell’avviso di accertamento per falsa ed errata applicazione della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 181, commi 3 e segg.. Nullità dell’avviso di accertamento per violazione degli artt. 2727 c.c. e segg., nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54”.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “difetto e insufficiente motivazione, nonchè illogicità” della sentenza che “è priva di motivazione in relazione alla decisione di ridurre l’imponibile accertato del 30%”. Secondo il ricorrente, in realtà, la sentenza della Commissione regionale avendo riconosciuto che la somma di Lire 67.570.000 (in realtà Lire 73.062.000), di competenza dell’anno 1998, era stata effettivamente incassata solo nell’anno 2000 (in realtà nel 2001), ed in quest’ultimo anno dichiarata, avrebbe dovuto annullare completamente l’avviso di accertamento, in quanto i maggiori redditi per il 1998, dopo la necessaria correzione connessa alla classificazione dei beni strumentali, era di Lire 53.630.000, somma inferiore a quella di Lire 73.062.000 conseguita negli anni successivi per l’attività svolta però nel 1998.

2.1. Il ricorso per cassazione è inammissibile per tardività.

Invero, nella memoria del 15-5-2018 lo stesso ricorrente ha ammesso di aver notificato il ricorso per cassazione oltre il termine “lungo” annuale di cui all’art. 327 c.p.c..

In effetti, la sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata, (192/17/2010) è stata depositata il 30-6-2010.

Pertanto, per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 2 e art. 2963 c.c., comma 4, il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini: in tal caso, infatti, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1 e della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Ne consegue che si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale (Cass.Civ., 4 ottobre 2013, n. 22699).

Pertanto, il termine annuale viene calcolato prima dal 30-6-2010 al 30-6-2011, con l’aggiunta, poi, dei 46 giorni della sospensione feriale, sì da giungere sino al 31 luglio 2011, con l’ulteriore aggiunta dal 16 settembre 2011 (quindi applicando la doppia sospensione dei termini) di ulteriori sedici giorni, fino al 1 ottobre 2011.

Il ricorso per cassazione è stato, invece, spedito per la notifica solo il 28-10-2011, quindi dopo che il termine per l’impugnazione era inesorabilmente spirato.

Il ricorrente giustifica la propria condotta processuale, in quanto il dispositivo della sentenza della Commissione regionale gli sarebbe stato comunicato l’1-72010, mentre la sentenza non sarebbe stata “disponibile” e “conoscibile” fino al 28-7-2010, tanto che il difensore il 27-7-2010, dopo che aveva “ricevuto l’ennesima risposta verbale che la copia della sentenza non poteva essere rilasciata neanche in fotocopia informale, in quanto tutti gli adempimenti non erano stati ancora completati”, aveva presentato lo stesso giorno istanza formale, con la necessità il giorno successivo di “percorrere nuovamente i 250 Km…che separano Ragusa da Catania”, con il rilascio solo in data 28-7-2010, della copia della sentenza per uso studio, “dopo aver compiuto tutti gli adempimenti interni all’ufficio”.

Pertanto, dovrebbe tenersi conto, per il ricorrente, sia della circostanza che “la prova sulla verità di quanto rappresentato può essere desunta…dalla notorietà della situazione…”, sia dalla mancata eccezione sulla intempestività del gravame da parte della Agenzia delle entrate.

Tali giustificazione sono rimaste del tutto prive di riscontro, in quanto non risulta in alcun modo che la prassi seguita dalle Commissioni tributarie regionali fosse quella narrata nella memoria, nè vi è la prova delle richieste verbali del legale nel corso di tutto il mese di luglio del 2010. Nè rileva, la mancata eccezione di tardività da parte della Agenzia delle entrate, trattandosi di questione di puro diritto rilevabile d’ufficio dal giudice.

Neppure rileva la sentenza delle Sezioni Unite citata dal ricorrente nella memoria scritta (Cass. Civ., Sez.Un., 22 settembre 2016, n. 18569), che riguarda altra e diversa fattispecie. In tal caso, infatti, si è affermato che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, il giudice deve accertare – attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.

Nel caso di specie, neppure si allega che sulla sentenza della Commissione tributaria regionale siano state apposte due diverse date, anzi è lo stesso ricorrente ad affermare che la “minuta” è stata depositata il 30-6-2010 ed il “dispositivo” è stato comunicato l’1-7-2010. Inoltre, sulla sentenza della Commissione tributaria regionale in atti la data della pubblicazione è il 30-62010, mentre la data della pronuncia è l’8-4-2010.

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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