Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25458 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. I, 10/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 10/10/2019), n.25458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14537/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallimentare

B.F., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Francesco Ruvolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Lucrezio Caro 62, presso lo

studio dell’avvocato Sabina Ciccotti, rappresentata e difesa

dall’avvocato Fabrizio Guerrera, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 370/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/06/2019 da Dr. DOLMETTA ALDO ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso;

udito l’avvocato Francesco Ruvolo per il ricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito l’Avvocato Fabrizio Guerrera per il controricorrente, che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con ricorso del maggio 2012, la s.r.l. (OMISSIS) e il suo creditore s.r.l. (OMISSIS) hanno sporto reclamo L. Fall., ex art. 18 nei confronti della sentenza con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, revocato il decreto di apertura del concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 173, ha dichiarato il fallimento della società (OMISSIS).

La Corte di Appello di Messina ha respinto il reclamo, con sentenza depositata il 16 maggio 2013. Avverso questa (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, che è stato articolato in cinque motivi.

2.- Respinto il primo motivo di ricorso, la sentenza 19 febbraio 2016, n. 3325 ha accolto il terzo e il quarto motivo (quanto ai capi B1 e B2) – intesi a censurare (uno, per violazione di legge; l’altro, per omessa motivazione) la decisione della Corte di Appello, per cui l’effettuazione del pagamento di debiti scaduti senza l’autorizzazione del giudice delegato determina senz’altro la revoca del concordato L. Fall., ex art. 173 -, con assorbimento dei motivi restanti. Di conseguenza, ha cassato il provvedimento impugnato, con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Messina.

Ha osservato in proposito questa Corte che non ogni pagamento di debito sorto prima dell’apertura della procedura comporta, ove eseguito in difetto di autorizzazione, la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato, ma solo quelli di cui venga accertata la “natura fraudolenta” del fatto pagamento. Per aggiungere che la pronuncia “del merito è pervenuta alla decisione limitandosi a rilevare che (OMISSIS) aveva eseguito in difetto di autorizzazione vari e reiterati pagamenti”, omettendo di “accertarne l’effettiva valenza di atti in frode, nonostante la natura dei rapporti da cui traevano origine i crediti soddisfatti” e senza neppure “preoccuparsi di verificare la data di insorgenza degli stessi (in buon parte successiva alla presentazione della domanda)”.

3.- In esito al giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Messina ha annullato il provvedimento di revoca del concordato preventivo e revocato la dichiarazione di fallimento, disponendo la rimessione degli atti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.

In proposito la Corte del merito ha rilevato che, nella specie, erano stati eseguiti, tra il dicembre 2010 e il maggio 2011, pagamenti per “attestazione fattibilità del concordato, per assistenza amministrativa cessione punti vendita, per tenuta contabilità obbligatoria, per ritenute di acconto professionisti, per assistenza legale, per redazione atto notarile, per trasloco attrezzature da (OMISSIS)”, nonchè dal giugno 2011 al luglio 2011, per “oneri previdenziali, per smaltimento rifiuti merce deperita, per tenuta contabilità e assistenza contabile, per assistenza legale: il tutto per Euro 66.000,00 complessivi, a fronte di un fabbisogno concordatario di Euro 2,1 milioni, laddove trattasi, per di più, di somme corrispettive di prestazione correlate alla procedura o funzionali alla conservazione dei beni e alla continuità aziendale.

4.- Avverso questo provvedimento il fallimento della s.r.l. (OMISSIS) presenta ricorso, affidandolo a due motivi.

Resiste, con controricorso, la società.

5.- La controversia è stata chiamata all’udienza non partecipata del 18 dicembre 2018 della Sesta Sezione civile – 1.

Entrambe le parti ha depositato memorie difensive.

6.- Con ordinanza interlocutoria del 31 gennaio 2019, n. 2999 il Collegio ha stabilito di rimettere la controversia alla pubblica udienza della Prima Sezione civile.

In prossimità della data fissata per lo svolgimento della pubblica udienza, la società controricorrente ha depositato un’ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- I motivi di ricorso gravitano entrambi sul tema degli “atti in frode” di cui alla L. Fall., art. 173: il primo concerne i pagamenti compiuti senza autorizzazione; il secondo si focalizza sul contenzioso passivo in essere tra la (OMISSIS) e terzi al tempo dell’apertura della procedura concordataria, e di cui non è stata data comunicazione.

8.- Il primo motivo di ricorso denunzia, in particolare, “violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 167 e 168 e 173 in relazione all’art. 360, n. 5 e, in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene in particolare il ricorrente che la Corte di Appello si è “parzialmente e sommariamente adeguata al principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione, ma nel fare ciò, in difformità a quanto statuito dal Supremo Collegio, ha omesso di effettuare una compiuta indagine dei pagamenti e si è limitata ad applicare il principio della modesta entità dei pagamenti rispetto al fabbisogno concordatario”.

Molti di questi pagamenti – si soggiunge – sono “in realtà riferibili a debiti sorti anteriormente alla procedura, posti in violazione della L. Fall., art. 167 ed eccedenti l’ordinaria amministrazione”.

8.- Il motivo non merita di essere accolto.

Non sussiste, infatti, la lamentata difformità dell’esame compiuto dalla Corte del merito rispetto a quanto stabilito dalla pronuncia n. 3325/2016. In conformità alle indicazioni lì formulate, la sentenza impugnata ha effettuato una valutazione complessiva del peso che i pagamenti, oggetto di discussione e censura, venivano a possedere rispetto alla formazione del giudizio dei creditori e rispetto alla consistenza del patrimonio del debitore.

Del tutto ragionevolmente, poi, il relativo giudizio si è chiuso con il riscontro di sostanziale non incidenza dei pagamenti medesimi rispetto all’economia complessiva del concordato proposto: posto, da un lato, il rapporto tra la misura del pagato e quella del complesso del fabbisogno concordatario (argomento c.d. di proporzione: cfr. sopra, nell’ultimo capoverso del n. 3); dall’altro, della rispondenza di tali pagamenti con le finalità della procedura (argomento c.d. di coerenza funzionale).

Il rilievo che il pagamento non autorizzato di debiti non comporta revoca del concordato nel caso in cui manchi un’effettiva dannosità dell’atto (da valutarsi specie alla stregua della clausola generale del “migliore soddisfacimento dei creditori”) è stato ribadito, nei tempi più recenti, da Cass., 21 giugno 2019, n. 16808, e da Cass., 16 maggio 2018, 11958.

9.- Il secondo motivo di ricorso lamenta la “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 – nullità della sentenza e del procedimento; in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”.

Nel concreto, il motivo deduce che, nella pronuncia n. 3325/2016, questa Corte ha ritenuto assorbiti una serie di profili (dal ricorrente già articolati nel procedimento di reclamo), anche precisando che tali profili sarebbero stati riproponibili nel giudizio di rinvio. Fa presente, inoltre, che nel procedimento di rinvio ha chiesto il riesame dei motivi medesimi; in particolare, della “mancata comunicazione della pendenza di alcuni procedimenti” giudiziari.

Puntualizza, ancora, di avere espressamente indicato questo aspetto “come un atteggiamento posto in essere in frode ai creditori”: “priva di ogni giustificazione appare la mancata comunicazione dell’ingente contenzioso che – secondo l’elencazione in atti (cfr. relazione del Commissario giudiziale, p. 33 ss.) – era per la maggior parte già pendente”. Segue un elenco composto di n. 11 procedimenti, promossi (avanti a diversi tribunali siciliani) nei confronti della s.r.l. (OMISSIS) “prima del deposito L. Fall., ex art. 161”, con pedissequa indicazione del valore delle singole controversie (per un ordine di grandezza complessivo gravitante intorno ai 280.000,00 Euro).

Fermate queste premesse, il motivo rileva che la Corte di Appello ha in toto omesso l’esame di un simile aspetto e, dunque, della rilevanza L. Fall., ex art. 173 della mancata informazione della sussistenza del medesimo.

10.- Il motivo è fondato.

Al riguardo, è opportuno osservare, prima di ogni altra cosa, che la fattispecie concretamente in esame rinvia in modo diretto alla nozione di “atti di frode”, quale figura non tipizzata e residuale di revoca del concordato posta dal legislatore a fianco di una serie di fatti specificamente individuati, l’uno e gli altri di carattere tra loro sostanzialmente omologo (cfr. la L. Fall., art. 173, comma 1, primo periodo).

Nei confronti di questa nozione, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato – in relazione al profilo “fraudolento” dell’intendimento di compiere l’atto – che, in realtà, questo può anche “consistere nella mera consapevolezza di avere taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori”, senza che occorra la presenza di una dolosa preordinazione (cfr., tra le altre, Cass., 26 giugno 2018, n. 16856): la valenza “decettiva” dell’atto di frode risolvendosi, per l’appunto, in un comportamento di taglio sostanzialmente “falsante”.

Tale comportamento viene – è stato altresì puntualizzato – ad assumere rilevanza nella prospettiva della sua mera “potenzialità decettiva”, non già necessariamente in quella dell’effettiva consumazione, posto che la norma dell’art. 173 “non richiede che, una volta accertata la presenza di atti di frode, venga dato spazio a successive valutazioni dei creditori” (Cass., 26 novembre 2018, n. 30537): la norma, in altri termini, ferma la rilevanza del comportamento alla oggettiva potenzialità del carattere “falsificante” dell’atto, non richiedendo inoltre il verificarsi di un concreto pregiudizio (non rilevando, cioè, che “l’inganno si sia effettivamente realizzato”: Cass., 26 giugno 2014, n. 14552).

11.- L’esperienza di questa Corte mostra la sussistenza di un’ampia, variegata gamma di “atti” ritenuti idonei a perpretare la “frode” sanzionata dalla L. Fall., art. 173.

Risultano venuti in discussione così, tra gli altri, lo scostamento, rilevante e non motivato nè plausibile, del valore assegnato alle rimanenze di magazzino in sede di proposta rispetto a quello di bilancio (Cass., 14 giugno 2018, n. 15695); l’omessa indicazione di fideiussioni prestate dal proponente, poi pure escusse (Cass., n. 30537/2018); lo spin-off immobiliare, “non specificato nei suoi precisi termini”, con cessione delle quote relative alla nuova società a terzi (Cass., n. 16858/2018); la mancata indicazione di passività legate alla non dichiarata esistenza di contratti derivati (Cass., 28 marzo 2017, n. 7975); l’operazione di leveraged buy out, descritta in termini “incompleti” e dunque imprecisi (Cass., 18 maggio 2014, n. 9050); l’inadeguata illustrazione di una delibera di riduzione del capitale della società proponente (Cass., 2 febbraio 2017, n. 2773); la taciuta appropriazione indebita di fondi sociali (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25165); la sussistenza di una situazione debitoria ben superiore a quella emergente dalla domanda (Cass., 8 giugno 2018, n. 15013); la vendita di un pacchetto azionario non adeguatamente illustrato (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25164); il “silenzio mantenuto, nella proposta di concordato”, su una transazione “pressochè coeva alla deliberazione di richiedere l’ammissione alla procedura concordataria” e “valutata dalla corte territoriale estremamente svantaggiosa per la debitrice” (Cass. n. 14552/2014).

Si tratta, come si vede, di situazioni e di atti tra loro anche molto diversificati: com’è del resto naturale, posto il carattere “aperto” (non preventivamente tipizzato, cioè) della disposizione normativa dell'”atto in frode”.

12.- In realtà, a tratto costitutivo e informante della nozione di “atto in frode” si pongono due aspetti, ben individuati e scolpiti dalla giurisprudenza di questa Corte, che stanno, per così dire, a monte della variata tipologia di atti e situazioni appena ricordati.

Deve trattarsi, dunque, di una circostanza la cui esistenza viene taciuta nella sua materialità ovvero pure esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale. Questo deficit informativo dev’essere, inoltre, tale da risultare per sè idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi (cfr., tra le altre, Cass., n. 14552/2014; Cass. n. 16858/2018; Cass., n. 30537/2018).

A mezzo della previsione dell’art. 173, la legge pretende, in definitiva, che i creditori siano puntualmente informati delle caratteristiche rilevanti di cui alla proposta di concordato, sì da essere messi in grado esprimere un giudizio – di consenso oppure di dissenso – correttamente informato.

13.- Il caso di specie riguarda l’omessa indicazione del contenzioso che risulta in essere nei confronti della società proponente. Si tratta, nei fatti, di passività potenziali, l’effettiva misura della loro consistenza, dipendendo naturalmente dagli esiti che in concreto avranno i giudizi. E tuttavia rappresentative, queste passività, di rischi senz’altro concreti e attuali – posto appunto che il riferimento va a controversie già pendenti -, nonchè misurabili: sia in punto di prevedibile esito, sia in punto di dimensione degli esborsi ragionevolmente (e prevedibilmente) occorrenti.

Il valore nelle diverse controversie raggiunge, nel suo complesso, un montante economico di ordine significativo (cfr. sopra, n. 9). Come tale, la relativa informazione è fatto senz’altro in grado di concorrere a orientare (ovvero, se taciuta, a disorientare) la formazione del giudizio dei creditori.

Posti questi elementi, la mera e generica indicazione nella proposta di un “fondo rischi” – richiamata dal controricorrente – non può certo raggiungere il livello dell’informazione adeguata e compiuta (ben al di là quindi – è bene puntualizzare – del problema della eventuale “sufficienza” del fondo di cui alla proposta a coprire il rischio prodotto dal contenzioso in essere, idoneità che, d’altro canto lo stesso controricorrente viene a mettere “in discussione”).

14.- In conclusione, respinto il primo motivo di ricorso, va accolto il secondo motivo. Di conseguenza, va cassata, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per quanto di ragione, alla Corte di Appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima civile, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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