Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25457 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22411-2019 proposto da:

V.S., VI.ST., V.D., B.A.R.,

tutti n. q. di eredi del Sig. V.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SISTINA, 121, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO MARESCOTTI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROGIO

VASARI 5, presso lo studio dell’avvocato RAOUL RUDEL, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 436/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che B.A., nonchè V.S., Vi.St., V.D., quali eredi di V.E., ricorrono, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 436/19, del 22 gennaio 2019 della Corte di Appello di Roma, che – respingendo il gravame esperito dal predetta V.E. contro la sentenza n. 24538/14, del 9 dicembre-2014, del Tribunale di Roma – ha confermato la condanna di M.A. a risarcire all’appellante i danni da “malpractice” sanitaria nella misura già determinata dal primo giudice;

– che i ricorrenti riferiscono, in punto di fatto, che il V. conveniva in giudizio il M. perchè fosse condannato a risarcirgli i danni da omessa tempestiva diagnosi di un melanoma localizzato all’avambraccio sinistro;

– che all’esito di CTU medico-legale il primo giudice accoglieva la domanda, liquidando all’attore la somma di Euro 25.000,00, di cui Euro 8.500,00 a titolo di danno morale, considerata la perdita di chances;

– che esperito gravame dal V., in via di principalità, per conseguire un maggior importo del risarcimento (e, in via incidentale, dal M., in relazione alla liquidazione delle spese di lite), il giudice di appello rigettava il primo e accoglieva il secondo;

– che avverso la sentenza della Corte capitolina ricorrono per cassazione gli eredi del V. (essendo il medesimo deceduto nelle more del giudizio di appello), sulla base – come detto – di un solo motivo;

– che esso denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., “in quanto appare di tutta evidenza l’omesso esame circa l’intervenuto decesso del V. quale fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

– che i ricorrenti lamentano come la sentenza impugnata – sebbene recepisca le conclusioni del CTU, secondo cui l’errore diagnostico ha determinato un’apprezzabile riduzione delle chance di sopravvivenza entro un range-compreso tra al 20% e il 50% – abbia attribuito rilievo a tale circostanza esclusivamente sotto il profilo del danno morale, mentre la Corte territoriale, anche in ragione della “documentazione tecnica sopravvenuta”, avrebbe “potuto diversamente e maggiormente quantificare la relativa incidenza nel caso di specie in favore dei ricorrenti ovvero in estremo subordine avrebbe comunque dovuto quantomeno disporre un accertamento tecnico”;

– che, in particolare, è contestata l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui dai documenti prodotti nel giudizio di appello non si evidenzierebbe “la sussistenza di un nesso di causalità materiale certo tra il pacifico ritardo diagnostico (…) e il decesso di V.E.”, giacchè esso “ben potrebbe essere dipeso dalla malattia in sè”;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il M., chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile per il fatto sia di tendere ad un riesame del merito della controversia, attribuendo a quello di legittimità “le sembianze di un terzo giudizio di merito”, sia di risultare privo di qualsiasi indicazione delle argomentazioni in diritto della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le disposizioni delle quali sia lamentata la violazione – o comunque rigettato;

– che, in ogni caso, la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe ineccepibile, in ragione del fatto che i documenti prodotti in appello – peraltro, si assume, tardivamente – neppure attesterebbero la causa della morte del V., o meglio la sua derivazione causale dall’errore diagnostico;

– che, inoltre, la Corte territoriale, nuovamente con valutazione ritenuta esente da vizi, ha circoscritto le poste risarcitorie al solo danno alla salute e a quello morale, in difetto di specifica domanda avente ad oggetto anche il danno da perdita di chance;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 10 settembre 2020;

– che i ricorrenti hanno depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni, nonchè contestando il contenuto della proposta del consigliere relatore;

– che, al riguardo, essi evidenziano come il loro ricorso non tenda affatto ad una rivisitazione del merito della controversia, nè manchi di confrontarsi con il “decisum” del giudice di appello, censurando, per vero, la sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale – in particolare, sulla scorta “di quanto chiaramente riportato nella CTU circa i dati relativi al valore della perdita di chance” – “ben avrebbe potuto diversamente e maggiormente quantificarne l’incidenza nel caso di specie, in favore dei ricorrenti”, eventualmente dando corso ad un accertamento tecnico”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile;

– che tale esito si impone in relazione ad entrambe le censure – di violazione di legge, quanto di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti – in cui si articola l’unico motivo di ricorso;

– che, infatti, in relazione alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., deve qui, in via generale, ribadirsi il principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458);

– che, in particolare, la violazione dell’art. 115 c.p.c. secondo cui il giudice deve decidere la controversia devoluta al suo esame “iuxta alligata et probata partium” – “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. n. 11892 del 2016, cit.);

– che d’altra parte – per quanto attiene, specificamente, alla violazione dell’art. 116 c.p.c., che sancisce, invece, il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – deve ribadirsi che tale evenienza ricorre solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (nuovamente, Cass. Sez. 3, seni. n. 11892 del 2016, cit.; in senso conforme, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonchè Cass.- Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02);

– che, d’altra parte, quanto alla violazione dell’art. 32 Cost., anche prescindere dal rilievo, formulato dal controricorrente, che non è dato comprendere in quale misura – ed in quale sua parte – la sentenza impugnata violerebbe tale disposizione (sicchè l’inammissibilità della censura discende già dalla constatazione che “il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4)”; Cass. Sez. 3, cent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 63687201; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01), deve rilevarsi, inoltre, quanto segue;

– che la censura, ricostruita come diretta a stigmatizzare il diniego di autonomo rilievo, sul piano risarcitorio, della perdita di chance di sopravvivenza, si palesa, infatti, inammissibile anche per ulteriori ragioni;

– che, innanzitutto, i ricorrenti non si sono fatti carico di contrastare l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il ristoro di tale danno non sarebbe stato richiesto nell’atto introduttivo del giudizio, ma per la prima volta in appello, donde la violazione dell’art. 345 c.p.c.;

– che, in ogni caso, deve considerarsi che, in materia di responsabilità sanitaria, integra “un evidente paralogismo l’evocazione della fattispecie della “chance”” (in quanto “fondato sull’equivoco lessicale indotto dalla locuzione “perdita della possibilità di vivere meglio e più a lungo””), giacchè, qui, “l’evento di danno è specularmente costituito dalla perdita anticipata della vita e dall’impedimento a vivere il tempo residuo in condizioni migliori e consapevoli”, sicchè, “nei casi in cui l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato -ma dal (mancato) risultato stesso, non di “chance” perduta par lecito discorrere, bensì di altro e diverso evento di danno (in ambito sanitario, la perdita anticipata della vita, rigorosamente accertata come conseguenza dell’omissione sul piano causale)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28993, Rv. 655791-01);

– che, in tal senso, dunque la scelta del primo giudice – invano contestata, in appello, dallo stesso V.E. (deceduto nelle more del giudizio) – di liquidare, comunque, il danno in questione, sebbene “sub specie” di danno “morale”, ha assicurato un integrale soddisfazione della pretesa azionata;

– che, non a caso, come i ricorrenti hanno meglio precisato nella propria memoria, la doglianza dagli stessi formulata investe più che il mancato riconoscimento dello stesso la (supposta) mancata sufficiente quantificazione della sua “incidenza” nel caso di specie, anche a mezzo di una rinnovata consulenza;

– che, nondimeno, in relazione al primo profilo (insufficiente quantificazione del danno), non può che rilevarsi come la stessa risulti avvenuta equitativamente, risultando, così, non sindacabile in sede di legittimità, salvo che i criteri adottati “siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv, 600376-01, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567), profili, questi, neppure dedotti nel caso che occupa;

– che, poi, quanto al secondo profilo, deve ribadirsi che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte” (della quale, peraltro, neppure vi è traccia nel caso che occupa), “a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto” (Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2017, n. 22799, Rv. 645507-01);

– che, infine, la constatazione che la Corte territoriale si è pronunciata sulla questione relativa al danno da perdita di chance per ciò solo esclude che sussista un vizio di omesso esame, in disparte il rilievo che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ricorre solo quando l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione”, come invece nell’ipotesi che occupa, o un “punto” della sentenza) e, quindi, “un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01);

– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando B.A., nonchè V.S., Vi.St., V.D., a rifondere ad M.A. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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