Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25455 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21380-2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ILARIA SALZANO, ETTORE DE ROSA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA di SALERNO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIANCARLO MARINIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 657/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che A.A. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 657/19, del 9 maggio 2019, della Corte di Appello di Salerno, che – accogliendo il gravame esperito dalla Provincia di Salerno avverso la sentenza n. 809/18, del 12 marzo 2018, del Tribunale di Salerno – ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente, in relazione al sinistro stradale occorsogli il 2 luglio 2011, alle ore 14:00, mentre percorreva la via (OMISSIS), alla guida di un motociclo di sua proprietà;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di aver adito l’autorità giudiziaria, convenendo in giudizio la Provincia di Salerno ai sensi, alternativamente, degli artt. 2043 e 2051 c.c., per conseguire il ristoro dei danni subiti, al proprio veicolo e alla sua persona, a cagione del sinistro stradale sopra meglio individuato;

– che il primo giudice accoglieva la domanda risarcitoria, sul presupposto che fosse stata raggiunta prova adeguata dei fatti allegati, ed in particolare del “nesso di causalità tra res ed i danni subiti”, ovvero tra “la caduta e l’asfalto”, essendo sullo stesso “visibili avvallamenti e dissesto di manto bituminoso”;

– che, tuttavia, su gravame della convenuta soccombente, il giudice di appello riformava integralmente tale decisione;

– che avverso la sentenza della Corte salernitana ricorre per cassazione l’ A., sulla base – come detto – di tre motivi;

– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,2051 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c.;

– che il ricorrente – nel premettere come la decisione qui in esame abbia ritenuto, nella specie, applicabile l’art. 2051 c.c. (e ciò in ragione dell’estensione della strada, “pari a meno di due chilometri”, nonchè della sua collocazione “nel centro abitato o nei pressi di esso”, si “da poter essere agevolmente controllata anche con gli strumenti che il progresso tecnologico fornisce”) – si duole del fatto che essa abbia ritenuto “colposa” la condotta di esso A., nonchè “idonea per l’oggettiva imprevedibilità e inevitabilità ad interrompere il nesso di causalità tra la custodia del bene e il danno”;

– che, in particolare, è censurata l’affermazione secondo cui la colpa del conducente sarebbe consistita in ciò, ovvero che “il lungo ed ampio avvallamento della sede stradale (…) nei pressi di una rotatoria, in tempo diurno e in condizioni di piena visibilità, verosimilmente anche di scarso traffico (…) in luogo ben noto al conducente del motociclo, avrebbe potuto essere facilmente avvistato se l’ A. avesse tenuto l’ordinaria diligenza richiesta in quel tratto viario”;

che, lamenta il ricorrente, la Corte territoriale, pur non disponendo “di alcuna prova in ordine alla condotta di guida del danneggiato”, avrebbe ritenuto la stessa “colposa”, ovvero “idonea per l’oggettiva imprevedibilità e inevitabilità ad interrompere il nesso di causalità tra la custodia del bene e il danno”, circostanza che, invece, sarebbe stato onere del custode provare;

che, inoltre, in assenza – nuovamente – di alcuna prova in ordine alla velocità del motociclista (definita, peraltro, “normale” dall’unico teste escusso), il giudice di appello ha ritenuto la stessa “non rispettosa del limite massimo di 30 Km orari”, incorrendo, in tal modo, in un evidente vizio motivazionale;

– che il secondo motivo denunzia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,2051,2697 e 2727 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

– che si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma, da un lato, “che il luogo del sinistro, avvenuto in (OMISSIS), dovevà essere ben noto all’ A., residente nel (OMISSIS)”, nonchè, dall’altro, che le “condizioni di dissesto della strada dovevano essere note all’ A. in considerazione della familiarità dei luoghi”;

– che, in questo modo, dall’unico dato “noto” disponibile (la residenza anagrafica dell’ A. nel Comune di (OMISSIS)), la Corte di Appello avrebbe tratto come conseguenza che egli vivesse “in loco”, che percorresse quotidianamente la strada teatro del sinistro, che essa fosse l’unica a condurre in via (OMISSIS), che l’ A., infine, conoscesse l’esistenza della buca;

– che, in questo modo, nonchè dando rilievo alla deposizione del teste che ha riferito di aver “visto la buca dall’auto” (ignorando, però, la differente visuale dei conducenti di veicoli a due o a quattro ruote, essendo i primi tenuti, per lo più, a concentrarsi sul movimento del traffico, più che sulle condizioni della sede stradale), il giudice di appello avrebbe tratto la prova della “concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto” non in forza di una pluralità di elementi dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, bensì “sulla base di un solo ed equivoco elemento presuntivo” (l’essere il “luogo ben noto al conducente”);

– che, infine, il terzo motivo denunzia – nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2051 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c.;

– si censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “l’impatto va, dunque, ascritto alla esclusiva mancanza di diligenza dell’ A., che percorreva il predetto tratto di strada in situazione di insicurezza perchè negligentemente disattento e/o a velocità non rispettosa del limite massimo previsto di 30 km orari”, dolendosi, in particolare, il ricorrente del fatto che la sua condotta di guida “non è stata assolutamente oggetto di accertamento probatorio da parte del Giudice”, e ciò non essendo stati “prodotti elementi utili in tal senso”;

– che, in definitiva, la Corte salernitana avrebbe “presunto l’evitabilità dell’evento, e dunque un elemento della colpa del danneggiato, ricavandolo da un’ulteriore presunzione, quella di una velocità sostenuta tenuta dal conducente dal motociclo, senza, tuttavia, indicare da quali elementi fattuali quest’ultima potesse risultare evidente”;

– che la Provincia di Salerno ha resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o, comunque, il rigetto;

– che inammissibili, in particolare, sarebbero le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., atteso che in sede di legittimità non risulta consentita “una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito a nulla rilevando che esse possano essere valutate in modo diverso a quanto ritenuto dal giudice nella sentenza impugnata”;

– che, in ogni caso, il ricorrente, nel censurare l’iter logico seguito dal giudice di secondo grado si sarebbe limitato a sostenere che il medesimo ha dato rilievo a fatti non provati, senza dolersi di una presunta assenza di motivazione, ovvero di un vizio che potrebbe trovare spazio in sede di legittimità;

– che, in ogni caso, la motivazione della Corte salernitana risulterebbe del tutto adeguata alla valutazione del materiale probatorio, nonchè priva di vizi logici;

– che, d’altra parte, la censura di violazione degli artt. 1227,2051,2697 e 2727 c.c. non sarebbe fondata, in quanto la sentenza impugnata avrebbe fatto corretta applicazione del principio secondo cui la condotta del soggetto danneggiato, anche in relazione alla fattispecie dei danni da cose in custodia, può porsi come causa dell’evento dannoso, non solo con riduzione del risarcimento, ma finanche al punto di escludere lo stesso;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio del 10 settembre 2020;

– che la Provincia controricorrente, con memoria depositata ex art. 380-bis c.p.c. ha insistito nelle proprie argomentazioni, contestando le conclusioni indicate nella proposta del consigliere relatore;

– che, in particolare, essa ha evidenziato come il rigetto della domanda risarcitoria, da parte del giudice di appello, non si sia fondato affatto su elementi congetturali, avendo la Corte salernitana dedotto il comportamento negligente e disattento dell’ A. non su basi apodittiche, bensì in relazione ai documenti di causa e alla dichiarazione del testimone.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il collegio ritiene di dover disattendere la proposta del relatore e, dunque, di rigettare la proposta impugnazione;

– che i motivi di ricorso – da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione – non sono fondati, per le ragioni di seguito meglio precisate;

– che, invero, in relazione alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., colgono nel segno i rilievi della controricorrente circa l’inammissibilità di tali censure, visto che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4), c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458);

– che, in particolare, secondo questa Corte, “la violazione dell’art. 115 c.p.c.” – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” – “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01);

– che, analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è stata circoscritta da questa Corte alla sola ipotesi in cui “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonchè Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02);

– che, nondimeno, il ricorrente si duole anche – in relazione al riconoscimento della sua esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro per cui è causa – di una cattiva applicazione delle norme sulle presunzioni;

– che, al riguardo, va preliminarmente rammentato che “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2019, n. 9315, Rv. 653609-01; si veda anche, con riferimento a danni originati dalla presenza di buche o avvallamenti nella pavimentazione stradale, Cass. Sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 22 dicembre 2017, n. 30775, Rv. 647197-01);

– che nella specie la valutazione del giudice di appello – al contrario di quanto presupposto nella relazione comunicata alle parti del presente giudizio – si fonda su una duplice “ratio decidendi”;

– che il rigetto della domanda risarcitoria si è, in primo luogo, fondato su un ragionamento presuntivo, o meglio di tipo “inferenziale” (sul carattere “inferenziale” del ragionamento presuntivo si vedano, da ultimo, e tra le innumerevoli, Cass. sez. 5, sent. 5 giugno 2019, n. 15454, Rv. 654383-01; Cass. Sez. 6-2, ord. 29 gennaio 2019, n. 2482, Rv. 652386-02) circa la conoscenza in capo all’ A. dei luoghi di causa;

– che, difatti, si legge nella sentenza impugnata che “il lungo ed ampio avvallamento della sede stradale (…1 nei pressi di una rotatoria, in tempo diurno e in condizioni di piena visibilità, verosimilmente anche di scarso traffico”, si trovava “in luogo ben noto al conducente del motociclo” (e ciò “in considerazione della familiarità dei luoghi”, risiedendo lo stesso in (OMISSIS)), “avrebbe potuto essere facilmente avvistato se l’ A. avesse tenuto l’ordinaria diligenza richiesta in quel tratto viario”;

– che l’erroneità di tale ragionamento è censurata dall’odierno ricorrente “sub specie” di violazione dell’art. 2727 c.c., con censura da ritenersi, innanzitutto, ammissibile (diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente);

– che, come noto, “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3) (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (Cass. Sez. 3, sent. 4 agosto 2017, n. 19485, Rv. 645496-02; in senso sostanzialmente analogo pure Cass. Sez. 6-5, ord. 5 maggio 2017, n. 10973, Rv. 643968-01; nonchè Cass. Sez. 3, sent. 26 giugno 2008, n. 17535, Rv. 603893-01 e Cass. Sez. 3, sent. 19 agosto 2007, n. 17457, non massimata sul punto);

– che nella specie, poi, il ragionamento presuntivo sulla conoscenza, da parte del danneggiato, del luogo teatro del sinistro si fonda su elementi puramente congetturali, se non meramente apodittici, essendo stata tratta dal dato, in sè anodino, della residenza anagrafica dell’odierno ricorrente nel Comune di (OMISSIS), senza neppure chiarire se il primo sia posto nelle vicinanze della seconda;

– che, pertanto, dovendo escludersi “che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici” (Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2005, n. 23079, Rv. 584919-01; Cass. Sez. 3, sent. 14 novembre 2006, n. 24211, Rv. 593549-01; Cass. Sez. Lav., sent. 5 febbraio 2014, n. 2632, Rv. 629841-01), e ciò in quanto la prova presuntiva “è una deduzione logica”, che, come tale, “si deve fondare su fatti certi” e “si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell’id quod plerumque accidit, mentre la congettura, invece, “è una mera supposizione”, che “si fonda su fatti incerti” e “viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2019, n. 17421, Rv. 65435301), la censura di violazione dell’art. 2727 c.c. meriterebbe accoglimento;

– che, tuttavia, il rilievo non giova al ricorrente, a cagione della presenza – come si notava – di una seconda “ratio decidendi” che sorregge il rigetto della domanda risarcitoria dell’ A., o più esattamente, il riconoscimento della sua esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro;

– che, invero, la Corte territoriale ha tratto dalla deposizione del teste escusso (che ha riferito che “la buca era molto grande” e di “averla vista dall’auto”) la conclusione della “concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto”, e ciò anche in ragione del fatto che “il sinistro si è verificato in pieno giorno e, quindi, in condizioni di assoluta visibilità considerate la stagione estiva e l’assenza di precipitazioni piovose”;

– che essa, pertanto, ha ritenuto, su tali basi, che il sinistro andasse “ascritto alla esclusiva mancanza di diligenza dell’ A., che percorreva il predetto tratto di strada in situazione di insicurezza perchè negligentemente disattento e/o a velocità non rispettosa del limite massimo previsto di 30 km orari”;

– che tale ulteriore “ratio decidendi non è scalfita dalle censure del ricorrente, che si limita a proporre una differente “lettura” della deposizione del teste, valorizzando, in particolare, il fatto che costui ha definito “normale” l’andatura del veicolo a due ruote, censurando, sotto questo profilo, la valutazione che la Corte territoriale ha dato della prova testimoniale;

– che, tuttavia, occorre rammentare che un conto è “l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito” che “investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare”, che “non è mai sindacabile in sede di legittimità”, altro è l’errore di percezione, che “cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 64400101);

– che, nondimeno, l’evenienza qui denunciata ricade nella prima ipotesi, donde l’inammissibilità della censura formulata;

– che, in conclusione, il ricorso va rigettato, in applicazione del principio secondo cui, ove la sentenza impugnata risulti “sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile” (Cass. Sez. 3, ord. 13 giugno 2018, n. 15399, Rv. 649408-01);

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistario;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando A.A. a rifondere, alla Provincia di Salerno, o meglio, per essa, al difensore Avv. Giancarlo Mariniello, dichiaratosi antistatario, le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre Euro 200.00 per esborsi, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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