Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25453 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – rel. Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2170-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 966/2/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO

MOCCI.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che aveva rigettato il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Asti. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di L.F. contro un avviso di accertamento IRPEF, relativo agli anni 2007-2008.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre formali motivi;

che, col primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, giacchè la CTR avrebbe emesso una sentenza con motivazione omessa o apparente, confermando in modo del tutto assiomatico la decisione di primo grado, pur a fronte della contestazione dell’Ufficio circa l’insufficienza degli apporti di madre e convivente al mantenimento dei beni indice;

che, col secondo, l’Agenzia denuncia omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dall’insufficienza dei predetti apporti, come ritenuti idonei ex adverso a giustificare il maggior reddito sinteticamente accertato;

che, col terzo, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, commi 4, 5 e 6, e art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo i giudici di appello ritenuto sufficiente la dimostrazione del contribuente di aver avuto disponibilità bastanti a giustificare il tenore di vita sinteticamente accertato;

che l’intimata non si è costituita;

che il primo motivo è infondato;

che il sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017);

che, nella specie, la sentenza impugnata non può definirsi apparente, contraddittoria o perplessa, giacchè la replica al motivo di appello si sostanzia nel richiamo per relationem alla diffusa ed analitica motivazione della sentenza di primo grado, anche con riguardo alla considerazione dell’immobile nella rideterminazione del reddito;

che il secondo ed il terzo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione logica – sono fondati;

che, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Sez. 6-5, n. 16912 del 10/08/2016);

che, d’altronde, questa Corte (Sez. 5, n. 8995 del 18/4/2014) ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, specificando che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che, in sostanza, la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi;

che, nella specie tale prova, come emerge dalla sentenza della CTR, appare del tutto generica (o comunque in tal modo è stata recepita o valutata dai giudici di merito);

che deve in definitiva procedersi alla cassazione della sentenza con rinvio alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, affinchè si attenga ai principi di cui sopra, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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