Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25452 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20601-2019 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

SCROFA N. 57, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DE PERSIS,

rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA SOSCIA, GIACOMO

MIGNANO;

– ricorrente –

contro

M.A., C.E., S.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3082/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che C.C. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 3082/19, del 10 maggio 2019, della Corte di Appello di Roma, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 1125/13, del 31 maggio 2013, del Tribunale di Latina – ha condannato il medesimo, e con lui solidalmente i suoi genitori ( C.E. e S.S.), a pagare ad M.A. l’importo di Euro 10.069,00 a titolo di risarcimento danni;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di essere stato convenuto in giudizio dal M., unitamente ai propri genitori, mirando l’attore a conseguire il risarcimento del danno subito a seguito di un’aggressione fisica perpetrata a suo carico da esso C. (all’epoca dei fatti minorenne), danno in relazione al quale il M. aveva accettato, solo a titolo di acconto, la somma di Euro 2.500,00, vedendosi riconoscere da ambo i giudici di merito, in accoglimento della propria domanda, l’importo di Euro 10.069,00;

– che, in particolare, l’odierno ricorrente deduce di aver sempre sostenuto che il maggior danno lamentato dall’attore, “sub specie” di lesione al setto nasale, non fosse da ascrivere all’aggressione subita ad opera di esso C., costituendo, invece, la conseguenza di un intervento chirurgico subito prima del fatto oggetto di causa;

– che avverso la sentenza della Corte capitolina ricorre per Cassazione il C., sulla base – come detto – di un unico motivo;

– che esso denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2735 c.c.;

– che secondo il ricorrente il giudice di appello avrebbe erroneamente valutato secondo il proprio libero convincimento il materiale probatorio offerto dalle parti, senza considerare l’intervenuta confessione stragiudiziale resa in merito alle vicende in questione;

– che, in particolare, il C. – il quale ha sempre ammesso di aver avuto un alterco con il M. e di avergli procurato delle escoriazioni al volto – afferma di averlo colpito “senza attingere, in alcun modo, il setto nasale”, come invece fu dedotto dall’attore;

– che, inoltre, dalle deposizioni dei testi Co.Cl.e Co.Ci., presenti ad una riunione in cui le parti avevano cercato – subito dopo l’accaduto – una soluzione conciliativa della vertenza, sarebbe emerso che lo stesso M., nel corso di quella riunione ed alla presenza dell’odierno ricorrente e dei genitori di costui, avrebbe ammesso (secondo quanto si legge in ricorso) “che i danni subiti a seguito della colluttazione riguardavano escoriazioni al volto e non avevano interessato il setto nasale”, precisando, inoltre, che il setto nasale era stato interessato da “un intervento chirurgico due mesi prima”, e ciò “per il trattamento di una frattura subita a seguito di un precedente sinistro”;

– che, dunque, le dichiarazioni rese al ricorrente dovrebbero “ritenersi una vera e propria confessione stragiudiziale sulle circostanze dedotte”, il cui valore di prova legale sarebbe stato, pertanto, disatteso dalla sentenza impugnata;

– che è rimasto solo intimato il M. (e con lui C.E. e S.S., pure destinatari della notificazione del ricorso);

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 10 settembre 2020;

– che il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile;

– che il solo motivo in cui esso si articola, come detto, lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2735 c.c., sul rilievo che sarebbe stata disattesa l’efficacia di “prova legale” della confessione stragiudiziale, resa dal M. al medesimo C., in relazione al fatto che le lesioni subite dal primo non avrebbero interessato il setto nasale, confessione della quale esisterebbe prova testimoniale;

– che, tanto premesso, va qui ribadito come l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca, o meno, confessione si risolva in un apprezzamento di fatto, di regola, non censurabile in sede di legittimità, ma sempre che esso risulti fondato su di una motivazione immune da vizi logici (Cass. Sez. 6-2, ord. 14 febbraio 2020, n. 3698, Rv. 657253-01);

– che nella specie, peraltro, il vizio prospettato consiste – come meglio puntualizzato dal ricorrente nella memoria depositata in vista della presente adunanza camerale – nell’avere la Corte territoriale, al pari del primo giudice, attribuito rilievo alle “sole dichiarazioni rese dalla madre del convenuto”, e non, invece, a quelle che lo stesso M. avrebbe reso nello stesso contesto (con efficacia, dunque, confessoria), totalmente ignorate dai due giudici di merito, quantunque delle stesse esista, secondo il ricorrente, prova testimoniale;

– che tale censura, però, non si conforma, sotto più profili, all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6);

– che, per un verso, non risulta indicata la sede processuale di escussione dei testi, essendosi il ricorrente limitato ad individuare il capitolo di prova oggetto della deposizione e la sua collocazione nelle “note ex art. 184 c.p.c., comma 1, del 20 luglio 2004”, senza, tuttavia, precisare quale sia stata l’udienza di assunzione della prova testimoniale, di modo da consentire a questa Corte la disamina del relativo verbale;

– che, d’altra parte, a tale circostanza non è dato risalire neppure dall’elenco dei documenti allegati al ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4);

– che, per altro verso, la censura risulta inammissibile anche in ragione del fatto non si confrontarsi con l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, risultando, viceversa, presentare carattere di novità rispetto ad essa, a superare il quale il ricorrente avrebbe dovuto, nuovamente, rispettare il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6);

– che, infatti, la Corte territoriale – secondo cui il motivo di gravame del C. censurava la sentenza del primo giudice per non aver considerato rilevanti le deposizioni dei testi, nella parte in cui affermavano che la “madre del danneggiato” (e non il danneggiato stesso) “aveva escluso dalle lesioni subite dal figlio l’interessamento del setto nasale” – ha negato, su tali basi, la ricorrenza di una “prova testimoniale su confessione stragiudiziale”, poichè, essendo “circostanza pacifica” che la donna “non ebbe ad assistere all’aggressione”, ciò condurrebbe “a ritenere che il riportato fatto le fosse stato riferito dal figlio”, donde la riconduzione della fattispecie entro lo schema della “deposizione de relato actoris”;

– che, pertanto, ed a prescindere dall’esattezza di tale qualificazione operata dalla Corte capitolina, dalla sentenza oggi impugnata emerge che, nel giudizio di merito, si pose soltanto la questione relativa all’esistenza di confessione stragiudiziale resa non alla parte, il C., ma ad un terzo (che, oltretutto, neppure si comprende a pieno essere effettivamente “la madre del danneggiato”, come pure afferma la sentenza impugnata, o quella del danneggiante, visto che qualche riga più sotto la decisione fa riferimento alle dichiarazioni “de quibus” come rese da S.S., ovvero la genitrice del C.);

– che, di conseguenza, la questione oggetto del motivo di ricorso è inammissibile anche in ragione della sua novità, non avendo l’odierno ricorrente provveduto – come imposto, nuovamente, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – ad indicare quale fosse il motivo di appello proposto avverso la sentenza resa in primo grado;

– che, infatti, ancora di recente questa Corte ha affermato il principio secondo cui, “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02);

– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

– che nulla è dovuto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasto solo intimato il M.;

– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei, presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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