Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25452 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 25452 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

sentenza in forma
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGABITO

IMPEI

(MPIGBT52A131.1441R),

IMPEI

ALBERTO

(KPILRT55S0711441B), IMPEI VINCENZA (MPIVCN59L3011441L), in proprio
e nella qualità di eredi di IMPEI Benedetto, elettivamente
domiciliati presso lo studio legale dell’Avv. Nicola Staniscia, in
Roma, Via Crescenzio, n. 20, che li rappresenta e difende in virtù
di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato-

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia, nel
procedimento n. 1047/09 c. c., depositato in data 18 settembre
2011.

91(2/
)9-)

1

Data pubblicazione: 12/11/2013

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’il dicembre 2012 dal Consigliere relatore Dott. ssa Maria
Rosaria San Giorgio;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Sergio Del Core, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ricorso ritualmente notificato, Agabito, Alberto e
Vincenza Impei, in proprio e nella qualità di eredi di Benedetto
Impei, hanno chiesto alla Corte d’appello di Perugia il
riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata
di un processo introdotto con atto di citazione del 10 novembre
1993, concluso in primo grado con sentenza del 20 marzo 2000, in
secondo grado con sentenza dell’e luglio 2005, ed in Cassazione
con sentenza del 30 aprile 2009.
L’adita Corte d’appello, espunti i periodi addebitabili alle
parti, ha calcolato in sei anni e 10 mesi la durata irragionevole
del processo, liquidando in favore dei ricorrenti la somma di euro
6000,00, oltre agli interessi dalla domanda, e ponendo a carico
dell’Amministrazione soccombente le spese del giudizio, liquidate
in euro 280,00 per diritti ed euro 3000,00 per onorari, da
distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Per la cessazione di tale decreto ricorrono Agabito, Alberto e
Vincenza Impei sulla base di due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione
semplificata nella redazione della sentenza.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 91 e ss. cod.proc.civ. La Corte di merito
avrebbe liquidato le spese di lite afferenti alla fase di merito
in misura inferiore ai limiti di legge, ammontante ad euro
1008,94, oltre alla maggiorazione del 20 per cento

ex art. 5,

più soggetti con identiche questioni e posizioni. Si lamenta che,
a fronte della nota spese prodotta, il giudice di merito abbia
liquidato un importo comprensivo di diritti, onorari e spese
sostenute senza alcuna determinazione separata e senza indicazione
del criterio di liquidazione adottato.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 5, comma 4, del d.m. n. 585 del 1994 ed
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia per aver omesso ogni motivazione in
ordine alla somma analiticamente esposta nella nota spese,
ignorando anche la riduzione dell’importo ivi indicato sotto la
voce delle spese sostenute, le quali, ai sensi della tariffa
forense, sono dovute per legge,

e la maggiorazione del venti per

cento per avere il difensore assistito e difeso tre soggetti con
identiche questioni e posizioni, nonostante espressa richiesta
nella nota spese, ed in assenza di specifica motivazione.
Le doglianze, da esaminare congiuntamente per la evidente
connessione, sono infondate.
Anzitutto, è da rilevare che i ricorrenti sostanzialmente
contestano la liquidazione delle spese in assenza di

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coma 4, d.m. 585/1994, per avere il difensore assistito e difeso

determinazione separata di dritti, onorari e spese, in realtà
operata dalla Corte di merito, e di indicazione del criterio di
liquidazione adottato, lamentando il mancato adeguamento alle
richieste di cui alla nota spese prodotta.

Al

riguardo, va chiarito che il giudice del merito non è

tariffarie tutte le volte, e per il solo fatto, che liquidi i
diritti e/o gli onorari di avvocato in somme inferiori a quelle
domandate nella notula, fermo il dovere di non determinarli in
misura inferiore ai limiti minimi (o superiore a quelli massimi)
indicati nelle tabelle in relazione al valore della controversia,
salvo che sussista manifesta sproporzione e che la parte che vi
abbia interesse esibisca il parere del competente consiglio
dell’ordine (Cass., sent. n. 22347 del 2007).
Quanto al riconoscimento della maggiorazione del venti per
cento della parcella unica nel caso di assistenza e difesa di più
parti aventi la stessa posizione processuale – maggiorazione oggi
esplicitamente prevista dall’art. 5 del d.m. 8 aprile 2004, n. 127
con riguardo ad ognuna delle parti assistite e non solo per quelle
oltre alla prima – esso non comporta l’introduzione di un minimo
inderogabile della tariffa, bensì importa l’esercizio di un potere
discrezionale del giudice, non sindacabile in sede di legittimità
(Cass. 2254/2007).
Tra l’altro, il compenso unico maggiorato di cui si tratta
postula che la prestazione comporti l’esame di particolari

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tenuto a motivare circa la “diminuzione o riduzione di voci”

situazioni di fatto o di diritto, la cui sussistenza nel
procedimento d’e quo implicitamente è stata esclusa dal giudice.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo
a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo il
Ministero intimato svolto alcuna attività difensiva.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile, Sottosezione Prima, 1’11 dicembre 2012.

PER QUESTI moTrvI

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