Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25450 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20324-2019 proposto da:

M.D., moglie ed erede universale del sig. Pizzo

Antonio, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCIO STRANGIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2019 della CORTE D’APPELLO di. REGGIO

CALABRIA, depositata il 07/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che M.D., quale moglie ed erede universale di P.A., ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 7/19, del 7 gennaio 2019, della Corte di Appello di Reggio Calabria, che – respingendo il gravame esperito dal di lei marito contro la sentenza n. 1986/12, del 10 dicembre 2012, del Tribunale di Reggio Calabria – ha confermato l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni fatto valere dal coniuge nei confronti del Ministero della Salute, in relazione a due trasfusioni di sangue infetto effettuate il 12 ottobre 1984 presso l’Ospedale dell’Università di Napoli;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce che il P. aveva adito l’autorità giudiziaria, con atto di citazione notificato in data 2 luglio 2011, per chiedere al Ministero della Salute il ristoro dei danni subiti in conseguenza dell’insorgenza dei trattamenti trasfusionali praticatigli presso l’ospedale dell’Università partenopea nel 1984;

– che nel costituirsi in giudizio il convenuto eccepiva l’intervenuta prescrizione del diritto, a suo dire decorrente dalla data di esecuzione delle trasfusioni;

– che l’attore controeccepiva che il cd. “exordium praescriptionis” dovesse identificarsi nel 23 aprile 2007, data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210;

– che il primo giudice accoglieva l’eccezione, rigettando per l’effetto la domanda risarcitoria, sul rilievo che il P., già in data 12 dicembre 2005, sulla base di referto emesso dall’Azienda Ospedaliera (OMISSIS), avesse avuto percezione della malattia, quale conseguenza di un comportamento doloso o colposo di un terzo, essendo risultata la sua positività al virus HCV ed essendogli state comunicate le cause della stessa;

– che il Tribunale, inoltre, escludeva che la domanda volta al conseguimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 potesse aver avuto efficacia interruttiva della prescrizione del credito risarcitorio;

– che esperiva gravame il P., sul rilievo che, sebbene non avesse avuto “sufficiente percezione della scaturigine della malattia” neppure all’atto della presentazione della domanda indennitaria, avesse visto, comunque, da tale data peggiorare il suo stato di salute, sicchè solo da tale momento poteva farsi decorrere la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno;

– che, tuttavia, il giudice di appello – non senza previamente espletare CTU medico-legale, la quale evidenziava come l’uomo, dopo le trasfusioni del 1984, avesse contratto un’epotapatia cronica non suscettibile di guarigione, connotata da comorbidità con patologia oncologica – rigettava il mezzo, condividendo il rilievo del primo giudice secondo cui, già alla data del 12 dicembre 2005, “sussistevano tutti gli elementi per consentire al danneggiato la percezione/percepibilità dell’ingiustizia del danno patito, quale conseguenza della trasfusione con sangue infetto”;

– che avverso la sentenza della Corte reggina la M., nella già ricordata qualità di moglie ed erede del P., ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di un unico motivo;

– che esso denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2935,2943,2947 e 2697 c.c., lamentando l’erronea individuazione del “dies a quo” del decorso della prescrizione, giacchè avvenuta in spregio ai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il cd. “exordium praescriptionis” si identifica non con il momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì con quello in cui la malattia è percepita (o può esserlo, con l’uso della normale diligenza e tenendo conto delle conoscenze scientifiche) come danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo;

– che, difatti, il referto del 12 dicembre 2005 avrebbe fornito un mero riscontro alla positività al virus HCV, senza che fosse individuato il genotipo e, soprattutto, se la carica virale fosse attiva o meno (come, emerso, invece, da successivo esame del 10 novembre 2008, effettuato su richiesta della Commissione medica di Messina chiamata ad esaminare la domanda di indennizzo “ex lege” n. 210 del 1992);

– che, pertanto, il solo elemento certo al quale ancorare il decorso del termine prescrizionale sarebbe – come da giurisprudenza di questa Corte – quello della presentazione di tale domanda, “durante l’accertamento della quale è emerso inconfutabilmente il genotipo del virus”;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il Ministero della Salute, chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;

– che l’inammissibilità è prospettata, innanzitutto, in relazione al fatto che il motivo di ricorso deduce l’esistenza di due differenti vizi che avrebbero richiesto separata ed autonoma illustrazione;

– che, in particolare, la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), oltre a difettare di autosufficienza, dovrebbe ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., ricorrendo, nella specie, l’ipotesi di cd. “doppia conforme di merito”;

– che anche la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sarebbe inammissibile, giacchè si risolve nella pretesa di sindacare un giudizio di fatto, qual è quello relativo all’individuazione della data di conoscenza del virus (è citata Cass. Sez. Lav., ord. 17 aprile 2018, n. 9416);

– che, in ogni caso, in base a consolidato principio affermato da questa Corte, la data di presentazione della domanda di indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 individuerebbe solo il termine ultimo rispetto al quale è consentito desumere che il danneggiato ha acquisito consapevolezza della malattia, non escludendo che possa ritenersi raggiunta prova di tale consapevolezza anche in epoca anteriore;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 10 settembre 2020;

– che la ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni, anche alla luce di quanto affermato da questa Corte con recente pronuncia (è citata, tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 9 luglio 2020, n. 14480, Rv. 658377-01).

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato, non ritenendo il collegio di dover condividere i rilievi svolti dalla ricorrente per contrastare la proposta del relatore, e ciò per le ragioni di cui si dirà;

– che la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) presenta – come evidenziato dalla difesa erariale – un doppio profilo di inammissibilità;

– che essa – oltre a non indicare il fatto di cui sarebbe stato omesso l’esame e la sua decisività, nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulterebbe esistente ed il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale, requisiti tutti richiesti ai fini dell’osservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le molte, Cass. Sez. 3; sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 64535901) – risulta, infatti, preclusa dall’art. 348-ter c.p.c., u.c.;

– che, al riguardo, va segnalato che – essendo stata la sentenza del primo giudice pronunciata in data 10 dicembre 2012 – l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012, circostanza che determina l’applicazione “ratione imponi” dell’art. 348-ter c.p.c., u.c. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonchè Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso, qual è quello presente, di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

– che la censura – formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – di falsa applicazione delle norme sul cd. “exordium praescriptionis” è manifestamente infondata;

– che, difatti, se il “dies a quo” del termine di prescrizione coincide, di regola, con la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210 (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2019, n. 17421, Rv. 654353-01), in tale momento maturando, senz’altro, in capo all’interessato, la consapevolezza che le infezioni da virus HBV, HIV e HCV siano da collegare causalmente alle trasfusioni, non è escluso “che il giudice di merito individui in un momento precedente l’avvenuta consapevolezza del suddetto collegamento sulla base di un accertamento in fatto adeguatamente motivato” (Cass. Sez. 6-3, ord. 22 novembre 2017, n. 27757, Rv. 647001-01);

– che tale evenienza la Corte territoriale ha ravvisato nel caso di specie, avendo affermato che lo stesso soggetto emotrasfuso, nell’agire in giudizio, dopo aver fatto menzione della trasfusione avvenuta presso l’ospedale dell’Ateneo partenopeo nel 1984 (all’esito della quale, peraltro, come risultante dalla cartella clinica della stessa Università di Napoli, egli veniva trasferito nel reparto malattie infettive “per epatite post-trasfusionale”, ciò che attesta, dunque, “sin da allora la sussistenza di un nesso di causalità tra epatite e trasfusione”), ha riferito che ad un’iniziale stabilizzazione della propria condizione aveva poi fatto seguito un peggioramento verificatosi “repentinamente nel mese di dicembre 2005, tanto che in data 12.12.2005 (…) si sottoponeva a vari accertamenti medici dai quali emergeva HCV positiva”;

– che la sequenza descritta, unitamente alla constatazione, pure operata dalla sentenza impugnata, che “tra il 2005 (data dell’accertamento HCV positivo, successivo all’accertata epatite post-trasfusionale) ed il 2007” – ovvero il momento della presentazione della domanda di indennizzo – “non si sono verificati accadimenti di natura personale e/o innovazioni delle conoscenze scientifiche che avessero potuto far addivenire solo nel 2007 alla percezione, da parte del danneggiato, della malattia come fatto ingiusto conseguente all’illecito commesso dal terzo”, costituisce, come detto, motivazione del tutto adeguata in relazione all’individuazione del “dies a quo” del termine prescrizionale;

– che, d’altra parte, l’argomento secondo cui il P., solo con l’accertamento del genotipo del virus, avrebbe acquisito la consapevolezza che l’infezione da cui era affetto fosse da collegare causalmente alle trasfusioni del 1984 risulta “provare troppo”;

– che, difatti, tale accertamento risulta avvenuto il 10 novembre 2008, nell’ambito della procedura amministrativa per l’attribuzione dell’indennizzo “ex lege” n. 210 del 1992, giacchè ciò equivarrebbe a collocare il cd. “exordium preascriptionis” addirittura oltre la data di presentazione della domanda di indennizzo;

– che, infine, non conferente appare il richiamo – operato dalla ricorrente nella memoria depositata in vista dell’adunanza del 10 settembre – all’ordinanza di questa Corte n. 14480 del 2020, (secondo cui “ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento è irrilevante l’accertamento del momento in cui il paziente ha conseguito la semplice conoscenza della malattia, in mancanza di ulteriori elementi da cui desumere che a partire da quel momento il paziente medesimo abbia avuto anche la consapevolezza della causa della malattia”), atteso che la sentenza impugnata – con apprezzamento di fatto, non censurabile in questa sede – ha individuato quali siano, appunto, gli “ulteriori elementi da cui desumere” la consapevolezza già nell’anno 2005, in capo al soggetto emotrasfuso, dell’eziologia del danno lamentato;

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso manifestamente infondato, condannando M.D. a rifondere, al Ministero della Salute, le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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