Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2545 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 04/02/2021), n.2545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25310-2018 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA, 81,

presso lo studio dell’avvocato UGO MARIA CHIRICO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 944/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 02/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello proposto dall’ufficio, ritenendo legittimo l’accertamento emesso a carico di B.R. per la ripresa a tassazione di IRPEF, IVA e IRAP per l’anno 2010. Secondo la CTR l’Ufficio aveva dimostrato la legittimità della sottoscrizione dell’accertamento da parte di funzionario regolarmente delegato, inoltre ritenendo corretta nel merito la ripresa, giustificata da un quadro indiziario grave, preciso e concordante.

La B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 prospettando l’assenza nell’atto di delega degli elementi della forma scritta, della motivazione, della nominatività e del termine di validità.

La censura è inammissibile, ove si consideri che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poichè realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa – cfr. Cass. n. 11013/2019 -. La censura proposte omette di considerare il superiore principio, sollecitando a questa Corte una verifica della delega non utile proprio alla luce di quanto sopra esposto.

Con il secondo motivo la ricorrente ha detto la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, poi esponendo nella parte motiva del motivo l’esistenza di un difetto di corrispondenza fra il chiesto e il pronunziato, ed ancora prospettando la violazione dei principi in tema di motivazione dell’atto e del principio di non contestazione.

Tale motivo è inammissibile, contenendo una pluralità di censure sussumibili in diverse ipotesi di vizio secondo quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., risultando incompatibile la censura di non conformità fra il chiesto e pronunziato con la prospettata censura in ordine al difetto di motivazione dell’atto (per la quale non è stato nemmeno prodotto l’atto, difettando pertanto il requisito di autosufficienza) e risultando ulteriormente prospettato nel corpo della stessa censura una lesione del principio di non contestazione, di matrice processuale.

Con il terzo motivo la ricorrente prospetta sotto una rubrica poco comprensibile (principio di non riproponibilità di domande ed eccezioni non proposte nell’atto di appello) l’omesso esame nel merito delle censure spiegate in primo grado contro l’accertamento, poi specificando che “tale motivo di merito non pare essere stato riproposto in appello in modo esplicito”, deducendone che l’eccezione sarebbe stata abbandonata.

Si tratta di una censura che difetta di chiarezza e va quindi ritenuta inammissibile.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 11.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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