Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2545 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. I, 03/02/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 03/02/2010), n.2545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.N., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dagli Avv. ZAULI Carlo e Guido Maria Pottino,

elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma,

piazza Augusto Imperatore, n. 22;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte dr appello di Ancona depositato il 21

maggio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 23 aprile 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” P.N. ha proposto ricorso per cassazione il 28 giugno 2007 sulla base di nove motivi avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona, depositato il 21 maggio 2007, con cui il Ministero della giustizia veniva condannato ex L. n. 39 del 2001, al pagamento, in favore del medesimo, di un indennizzo di Euro 4.000,00 oltre interessi legali dal decreto della Corte d’appello al saldo e spese (per complessivi Euro 824,52), per l’eccessivo protrarsi di un giudizio di risarcimento del danno conseguente a lesioni subite all’interno di una discoteca.

Il Ministero ha resistito con controricorso.

Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo civile – protrattosi in primo grado per circa dieci anni (dal 16 ottobre 1994 al 21 settembre 2004) – di sei anni, sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni quattro.

Il primo motivo – relativo al calcolo del periodo di ragionevole durata del processo presupposto – è manifestamente fondato, giacchè, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la durata complessiva del processo civile deve computarsi dalla data della notifica dell’atto di citazione (nella specie, maggio 1994), e non dalla data della prima udienza di comparizione delle parti (ottobre 1994).

Anche il secondo motivo – sempre relativo alla determinazione del periodo di durata irragionevole – è manifestamente fondato: avendo la Corte Territoriale definito il processo presupposto come di non eccessiva complessità ed avendo dichiarato di volersi attenere ai parametri della giurisprudenza di Strasburgo, non v’era motivo di discostarsi dalla durata standard di tre anni, al riguardo elaborata dalla giurisprudenza della CEDU. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo – concernenti la quantificazione del danno non patrimoniale – appaiono manifestamente fondati, essendosi la Corte d’appello discostata, senza darne adeguata giustificazione, dai parametri CEDU, che prevedono un indennizzo minimo di Euro 1.000,00 per anno di ritardo. Resta assorbito l’esame del sesto motivo.

Manifestamente infondati, per la parte in cui non sono inammissibili, sono invece il settimo, l’ottavo ed il nono motivo.

Il settimo motivo – contraddittorio nella parte in cui denuncia, ad un tempo, vizio di omessa pronuncia e vizio di falsa applicazione di legge – è manifestamente infondato. Non v’è la denunciata omessa pronuncia sulla richiesta di liquidazione del danno esistenziale. La Corte d’appello ha piuttosto affermato che il danno non patrimoniale va liquidato esclusivamente nella sua dimensione di danno morale soggettivo, non avendo il ricorrente dedotto alcunchè di specifico in relazione ad altre possibili componenti di tale voce di danno. La censura di falsa applicazione di legge tende a sollecitare una inammissibile rivalutazione degli elementi di fatto già ponderati dal giudice di merito.

Quanto all’ottavo motivo, il giudice del merito ha adeguatamente valutato che il ricorrente non aveva fornito alcuna dimostrazione – non potendo questa essere affidata ad una generica richiesta di c.t.u. – del fatto che lo stato di patema d’animo conseguente alla eccessiva protrazione del giudizio si fosse risolto anche in una alterazione organica rilevante sotto il profilo del danno biologico, che, a differenza di quello morale soggettivo, non può considerarsi conseguenza normale della durata irragionevole del processo.

Il nono motivo – relativo al danno patrimoniale – non tiene conto del fatto che la Corte d’appello si è correttamente adeguata al principio secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, in forza del principio di causalità adeguata, il danno economico può ritenersi ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l’effetto immediato e diretto di tale eccessiva durata sulla base di una normale sequenza causale (Cass., Sez. 1^, 16 novembre 2007, n. 23756). Nè il ricorrente indica gli elementi che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione e che avrebbero condotto, se valutati, ad una diversa decisione”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio, con la precisazione di seguito indicata;

che, infatti, in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale, va data continuità al principio recentemente affermato da Cass., Sez. 1^, 8 luglio 2009, n. 16086, secondo cui “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata”;

che il Collegio non condivide le critiche in parte mosse con la memoria illustrativa alla relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., e ciò per le seguenti ragioni: perchè, quanto alla mancata valutazione della posta in gioco si sollecita una revisione in fatto del giudizio ponderatamente svolto dal giudice di merito; perchè in tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non v’è spazio per il pregiudizio esistenziale come autonomo titolo di danno (Cass., Sez. 1^, 4 ottobre 2005, n. 19354); perchè, inoltre, la censura relativa alla mancata liquidazione del danno patrimoniale è affidata – a fronte di una motivazione congrua del decreto impugnato, esente da vizi logici e giuridici – alla sostanziale richiesta di una c.t.u. esplorativa;

che, quindi, accolto, per quanto di ragione, il ricorso e cassato, in relazione alle censure accolte, il decreto impugnato, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

che, pertanto, considerato il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto in sette anni e cinque mesi e determinato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone di derogare In melius -, nella somma di Euro 750,00 ad anno (per i primi tre anni di ritardo) e di Euro 1.000,00 ad anno (per gli anni successivi) il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale riportato nel processo presupposto, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo forfettario complessivo di $Euro 6.670,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

che le spese, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del Ministero della Giustizia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna, il Ministero della giustizia a corrispondere a P.N. la somma di Euro 6.670,00 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, ed oltre alle spese processuali, liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 1.200,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 500,00 per onorari ed Euro 600,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nella misura di Euro 1.000,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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