Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25447 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 12/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 12/12/2016), n.25447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22808-2015 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLE

PRIMULE, 8, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE VOCINO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO VOCINO giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 25419/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA 6/11/2014, depositata l’01/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato Antonio Vocino difensore del ricorrente che insiste

per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con ordinanza n. 25419/14, depositata il primo dicembre 2014, questa Corte rigettò, motivando in punto d’inammissibilità dei motivi addotti a fondamento dello stesso, il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate dal sig. I.S. per la riforma della sentenza della CTR del Lazio n. 64/29/13, depositata l’11 marzo 2013, che aveva rigettato l’appello del contribuente avverso la pronuncia di primo grado della CTP di Roma, che ne aveva respinto il ricorso volto a conseguire l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato per Irpef relativa all’anno 2005, con riferimento al possesso di beni indice e ad incrementi patrimoniali, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4.

Avverso la suddetta ordinanza di questa Corte il contribuente ha proposto ricorso per revocazione, affidato a due motivi, al quale l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con Il primo motivo, il ricorrente denuncia errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4) per “infondatezza giuridica della decisione basata su una errata applicazione di norme civilistiche, amministrative e tributarie di riferimento e per inesistenza degli atti impositivi a firma dei diligenti decaduti”.

Il motivo presenta plurimi profili d’inammissibilità, in primo luogo perchè introduce un tema che non risulta essere mai stato oggetto del giudizio definito con la succitata ordinanza (nel senso che la relativa questione, in difetto di tempestiva deduzione in sede d’impugnativa dell’atto impositivo, non possa essere rilevata d’ufficio, cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448), ed ancora perchè, come si rileva dalla stessa prospettazione della parte, essa investe l’interpretazione di una norma giuridica, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, in punto di ricaduta che sulla sua applicazione avrebbe avuto la pronuncia della Corte costituzionale 25 febbraio 2015, n. 37, che non può essere sussunta nella fattispecie di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, concernente la deduzione del c.d. errore di fatto revocatorio.

Peraltro, il motivo, oltre ad essere articolato in modo contraddittorio, rilevandosi che in realtà il sottoscrittore (dott. G.M.) dell’atto impositivo non era dirigente c.d. decaduto, ma funzionario dell’ex carriera direttiva delegato dal dirigente, è anche in ogni caso manifestamente infondato alla stregua dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 9 novembre 2015, n. 22800, n. 22803 e n. 22810, oltre successiva giurisprudenza conforme).

Del pari è inammissibile il secondo motivo col quale il contribuente assume, in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3, di non aver potuto dedurre la relativa circostanza perchè emergente solo in base a documento decisivo sopravvenuto alla decisione di questa Corte, non potuto produrre prima per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, documento identificato con la “sentenza” del Consiglio di Stato n. 5619/2013. Si tratta, ad ogni evidenza, come del resto posto in risalto dalla difesa erariale, d’imprecisione terminologica, atteso che il documento, nel contesto dell’argomentazione di parte ricorrente, deve essere identificato con l’ordinanza della quarta sezione del Consiglio di Stato 26 novembre 2013, n. 5619, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito con modificazioni, dalla L. n. 44 del 2012, art. 1, comma 1 provvedimento depositato (oltre che pubblicato in G.U. n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014), in epoca ben anteriore non solo alla pubblicazione dell’ordinanza in questa sede oggetto di ricorso per revocazione, ma alla stessa fissazione dell’adunanza in camera di consiglio del 6 novembre 2014.

Le considerazioni di cui sopra, esposte nella relazione depositata ex art. 380 bis c.p.c., sono pienamente condivise dal collegio, non apportando la memoria depositata dal ricorrente elementi idonei ad inficiarne l’impianto argomentativo.

Va dichiarata, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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