Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25445 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 25445 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 15047-2012 proposto da:
TRAPU Z ZAN O

CAROLINA(TRPCLN43E51E068F),

TRAPUZ ZAN O

CONCETTA (TRPCCT47D53E068V), TRAPUZZANO GREGORIO
(TRPGGR49B02E068V), tutti in proprio e nella qualità di unici eredi legittimi di
Trapuzzano Francesco e Mannarino Saveria, rappresentati e difesi, anche
disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati Maria Greca
Orsini del Foro di Pisa e Antonio Abate del Foro di Lamezia Terme, elettivamente
domiciliati pressolil loro studio, in Pisa, Via Turati, n2.2 b Co{ te,14 ,

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– ricorrenti-

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contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rappresentato e difeso

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1

Data pubblicazione: 12/11/2013

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.
12, è elettivamente domiciliato per legge;

– controricorrenteavverso il decreto della Corte d’appello di Salerno depositato 11 22 dicembre 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2013 dal
Sentito il Procuratore Generale in persona del Dott. LUCIO CAPASSO, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Salerno, con decreto depositato il 22 dicembre 2011, in
accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso proposto da Trapuzzano Carolina,
Concetta e Gregorio, in proprio e nella qualità di eredi di Mannarino Saveria, ha
condannato il Ministero della Giustizia al pagamento, a titolo di equa riparazione del
danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, della somma complessiva
di euro 21340,00 in favore degli stessi, rigettando la domanda proposta dai medesimi in
qualità di eredi di Trapuzzano Francesco.
La Corte di merito ha rilevato che il giudizio presupposto era iniziato, con atto di
citazione di Trapuzzano Francesco — poi deceduto – notificato 1’8 marzo 1974, innanzi al
Tribunale di Lamezia Terme, e proseguito all’udienza del 17 giugno 1998 dagli eredi
Trapuzzano Carolina, Concetta, Gregorio e Mannarino Saveria, definito in primo grado
con sentenza depositata in data 15 aprile 2008, ed era pendente in secondo grado all’atto
della proposizione del ricorso per equa riparazione, in data 17 dicembre 2010, a seguito
di appello del 17 ottobre 2008.
Ciò posto, la Corte capitolina ha rigettato la domanda proposta dai ricorrenti iure
successionis alla stregua del rilievo che, essendo il giudizio presupposto iniziato 1’8 marzo
1974 dal dante causa, ed essendo questi deceduto il 10 febbraio 1976, lo stesso, per la
breve durata del segmento processuale cui aveva partecipato, non aveva avuto il tempo
di maturare il paterna d’animo riparabile ai sensi della legge n. 89 del 2001. Andava,
invece, accolta la domanda proposta dai ricorrenti iure proprio, essendosi gli stessi
costituiti in giudizio all’udienza del 17 giugno 1998, ed essendo decorsi da quella data
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Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

sino alla data del deposito della sentenza di primo grado complessivamente anni nove e
mesi sei, a fronte di una durata ragionevole di quattro anni, tenendo conto della non
particolare sua complessità, ed essendo decorsi, dalla data di notifica dell’atto di appello
(17 ottobre 2008) alla data di deposito del ricorso ex legge n. 89 del 2001 (17 dicembre
2010), due anni e due mesi, a fronte di una durata ragionevole di anni due.
Complessivamente, dunque, detratti sei anni di ragionevole durata, ai ricorrenti spettava

una equa riparazione per i sei anni di durata eccedente la stessa.
Andava poi accolta la domanda di equa riparazione avanzata dai ricorrenti iure successionis
in relazione al danno subito dalla dante causa Mannarino Saveria per la irragionevole
durata del giudizio dal momento della sua costituzione in giudizio, in data 17 giugno
1998, fino alla morte, avvenuta in data 10 ottobre 2005: per costei il giudizio di primo
grado aveva avuto la durata di sette anni e quattro mesi circa, a fronte di una durata
ragionevole di anni quattro.
La Corte ha liquidato il danno non patrimoniale così calcolato nella misura di mille euro
per ciascun anno di durata irragionevole, disponendo la compensazione tra le parti delle
spese del giudizio in considerazione della indispensabilità del ricorso al giudice e della
carenza di contestazioni della controparte.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Carolina, Concetta e Gregorio Trapuzzanop
in proprio e nella qualità di unici eredi di Francesco Trapuzzano e Saveria Mannarino
sulla base di quattro motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste il Ministero
della Giustizia con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, primo
comma, della legge n. 89 del 2001, e dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU. Si contesta la tesi
della Corte di merito, conforme ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità,
secondo la quale, ai fini della legittimazione degli eredi ad agire iure proprio per chiedere
l’equa riparazione relativamente al periodo successivo al decesso del dante causa, sia 3
02:030 necessaria l’assunzione della qualità formale di parte, cioè la costituzione nel
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A

giudizio presupposto iniziato dal de cuius e protrattosi oltre il termine di ragionevole
durata: tesi che si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza EDU, secondo la quale
può essere considerato vittima di una violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo un individuo che non sia parte processuale in un procedimento interno, ma che
subisca, in ogni caso, le conseguenze di una decisione delle autorità statali. Tesi che,

ragionevole durata del processo. Al riguardo, si eccepisce la illegittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001 in riferimento all’art. 117, primo comma,
Cost., per contrasto con l’art. 6, paragrafo 1, CEDU, ove non ne sia ritenuta possibile
una interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale l’erede della parte del
processo affetta da ritardo, non costituitosi in giudizio, ed in ogni caso effettivo
destinatario della sentenza, legittimato iure proprio a far valere in giudizio il diritto all’equa
riparazione anche per il periodo successivo alla morte del dante causa.
La doglianza è infondata.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte — al quale il Collegio intende
aderire, non ravvisando ragioni per discostarsene — in tema di equa riparazione ai sensi
della legge n. 89 del 2001, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di
un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento
dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi
con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua
volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua
posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc.

comunque, non consentirebbe al giudice di assicurare in ogni caso il diritto alla

civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme
nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria
a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi
dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto danno subito, il quale presuppone la conoscenza del
processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass., sentt. n. 13803 del 2011, n.
23416 del 2009, ord. n. 1309 del 2011).

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ti,

Ciò posto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti risulta poi
manifestamente infondata: è sufficiente, al riguardo, considerare che l’erede, scegliendo
di non costituirsi nel giudizio, dimostra indifferenza al processo, e, quindi, dà prova di
non subire alcun paterna d’animo per effetto delle vicende dello stesso.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge
n. 89 del 2001 e dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, con riferimento ai parametri

adottati dalla Corte di Strasburgo in materia di indennizzo del danno non patrimoniale.
Si contesta la liquidazione dell’importo dovuto ai ricorrenti a titolo di equa riparazione
nella misura di 1000 euro per ogni anno di ritardo, laddove la Corte EDU ha individuato
nell’importo compreso tra 1000 e 1500 euro per ciascun anno di durata del processo la
base per il calcolo da eseguire. Si rileva, poi, che, al fine di giungere ad una equa
commisurazione del danno tra il minimo e il massimo stabilito dalla Corte EDU, occorre
tenere realmente conto delle peculiarità di ogni singola vicenda giudiziaria. Nella specie,
trattandosi di una controversia insorta nel 1974 tra soggetti legati da vincoli di parentela,
ed avente ad oggetto la domanda di rilascio di una casa di abitazione con adiacente
terreno. Per tali ragioni, la liquidazione dell’indennizzo ex legge n. 89 del 2001 non
avrebbe dovuto avere come base che l’importo di 1500 euro annui.
Il motivo è privo di fondamento.
Anzitutto, come già chiarito da questa Corte, in tema di diritto ad un’equa riparazione in
caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24
marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo,
bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda
processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in
base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio
enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una
durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il
limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del
periodo di durata ordinario e ragionevole, non esclude la complessiva attitudine della L.
n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come
riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n,
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36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione
europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008, 13 gennaio
2011, n. 727). Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, poiché il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme
dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non può,

riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della
norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 34.9
del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento
giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati
contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da
cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento
giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare
norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne (v. Cass. sent. n. 9258 del
2011).
Per altro verso, deve rilevarsi che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non
patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo,
ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione affidato al giudice del
merito è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come
applicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e di casi simili a quello portato
all’esame del giudice nazionale; pertanto, è configurabile, in capo al giudice del merito,
un obbligo di tener conto dei criteri elaborati dalla CEDU, pur conservando un margine
di valutazione che gli consente di discostarsi, in misura ragionevole e motivatamente,
dalle liquidazioni effettuate in casi simili da quella Corte, che ha, in linea di massima,
determinato in una somma oscillante tra euro 1000,00 e euro 1.500,00 per ogni anno di
eccessiva durata l’importo relativo alla riparazione del danno (v., tra le altre, Cass., sent.
n. 1605 del 2007).
Questa Corte ha poi precisato che la quantificazione del danno non patrimoniale
dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai

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infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della

primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1000 per quelli
successivi (v., tra le altre, Cass., sent. n. 8471 del 2012).
Nella specie, il giudice di merito non si è discostato, nell’esercizio della sua valutazione
discrezionale, da tale orientamento.
Con il terzo ed il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91

relazione alla decisione della Corte di merito di compensare integralmente le spese del
procedimento di equa riparazione. Si osserva che il Ministero della Giustizia si è
costituito nel giudizio, contestando la domanda di equa riparazione.
I motivi, che, attesa la stretta connessione che li avvince, vanno esaminati
congiuntamente, meritano accoglimento.
In realtà, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di merito, il Ministero della
Giustizia, nel costituirsi nel giudizio pefé equa riparazione, ha svolto una serie di
contestazioni, eccependo la decadenza semestrale, per il de cuius, dal diritto di proporre la
domanda di riparazione e, in subordine, la prescrizione per decorso di dieci anni, nonché
il mancato assolvimento dell’onere dei ricorrenti di documentare la tempestività della
domanda. Risulta, così, inapplicabile nella specie la ragione di compensazione delle spese
addotta dalla Corte di merito.
Conclusivamente, vanno rigettati il primo e il secondo motivo di ricorso, di cui vanno,
invece, accolti il terzo ed il quarto motivo. Il decreto impugnato va cassato in relazione ai
motivi accolti, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può
essere decisa nel merito, con la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento
delle spese processuali del giudizio di merito e, nella misura di un quarto, avuto riguardo
alla quasi totale soccombenza, di quelle del presente giudizio, che si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo ed il quarto.
Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito,
condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito, che
liquida in complessivi euro 1.140,00, di cui euro 50,00 per esborsi, euro 600,00 per diritti
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e 92 cod.proc.civ. nonché omessa, insufficiente, erronea o contraddittoria motivazione in

ed euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge,
nonché, nella misura di un quarto, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per
l’intero, in curo 1.050 oltre 200 per rimborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, Sottosezione

Seconda, il 12 marzo 2013.

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