Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25441 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/10/2017, (ud. 18/07/2017, dep.26/10/2017),  n. 25441

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14431/2016 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. SECCHI 4,

presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI STEFANELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO GHIRARDI in

virtù di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., B.F., elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZALE DELLE MEDAGLIE D’ORO, 20, presso lo studio dell’avvocato

GIANLUCA MORIANI, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALBERTO PUGNO VANONI in virtù di procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ROYAL RELATION SRL, ARTE CAPITAL SRL;

– intimate –

avverso la sentenza n. 282/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. B.M. e B.F. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia M.V., la Arte Capital S.r.l. nonchè la Royal Relation S.r.l. deducendo di essere figlie del defunto B.G.B., il quale con testamento olografo pubblicato in data 14/10/2008 aveva istituito erede universale la convenuta M.V..

Aggiungevano altresì che in vita il de cuius si era spogliato di gran parte del proprio patrimonio mobiliare ed immobiliare con donazioni dirette ed indirette in favore della convenuta.

Evidenziavano che poco dopo la morte del padre, era deceduta anche la moglie del de cuius, dalla quale non aveva mai divorziato, sicchè le attrici, anche quali eredi della defunta madre, e pur essendo beneficiarie a loro volta di alcune donazioni effettuate dal de cuius, vantavano una quota di legittima pari nel complesso a 3/4 dell’asse relitto, da ricostruire ai sensi dell’art. 556 c.c..

Concludevano, quindi, affinchè la convenuta fosse condannata al pagamento di una somma corrispondente al valore della quota di legittima di loro spettanza.

Si costituiva la convenuta che contestava l’ammissibilità e la fondatezza della domanda attorea, assumendo di non avere ricevuto alcuna donazione e che ogni beneficio ricevuto dal de cuius scaturiva dall’attività di assistenza materiale prestata nell’interesse dello stesso.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 1735 dell’11l maggio 2013, dichiarava aperta la successione di B.G.B., ed accertava che la massa ereditaria ammontava ad Euro 4.739.752,73 e, previa determinazione della quota di riserva vantata da ognuna delle attrici, condannava la convenuta M. al pagamento, a titolo di reintegrazione della riserva, della somma di Euro 1.539.627,27 in favore di B.F., e di Euro 1.002.937,27 in favore di B.M..

La Corte di appello di Brescia, a seguito di gravame interposto dalla M. e dalla Arte Capital S.r.l., con sentenza n. 282 del 1 aprile 2016, in parziale riforma della sentenza appellata, condannava l’appellante al pagamento della minore somma di Euro 1.009.358,02 in favore di B.F. e di Euro 472.668,02 in favore di B.M., dando atto che i crediti per finanziamenti soci vantati dal de cuius nei confronti della Arte Capital S.r.l. e della BMA S.r.l. erano caduti in successione, ed erano da ripartirsi fra le parti secondo le quote del 37,50% pro capite in favore delle attrici e del 25 % in favore della M.; infine dichiarava inammissibile l’appello incidentale della Arte Capital S.r.l..

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.V. sulla base di sei motivi.

B.M. e B.F. hanno resistito con controricorso.

Le società intimate non hanno svolto difese in questa fase nonostante la notifica del ricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’errore contenuto nella parte espositiva della sentenza decisivo ai fini della ricostruzione dell’asse ereditario.

Si deduce che a pag. 8 della sentenza impugnata si dà atto che il de cuius avrebbe ceduto alla M. il 100% delle quote della Royal Relation, trattandosi di circostanza erronea e che non trova riscontro in alcun atto processuale.

Analogamente alla medesima pagina 8 si sarebbe dato erroneamente atto di una cessione di quote a titolo di liberalità da parte del de cuius in favore della ricorrente del 70 % delle quote, laddove la cessione aveva avuto ad oggetto solo una partecipazione del 40%.

Il motivo è infondato.

Ed, invero, in disparte evidenti profili di inammissibilità nella parte in cui la doglianza non risulta puntualmente formulata con il richiamo ad una delle tipologie di vizio suscettibili di poter essere denunziate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ove con il medesimo si intenda denunziare l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio, la doglianza sarebbe del pari preclusa alla luce della novellata previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., che per l’ipotesi di cd. doppia conforme, quale appunto quella realizzatasi in parte qua, in merito alla individuazione della misura delle partecipazioni societarie oggetto di liberalità, non consente di denunziare il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

A ciò va poi aggiunto che l’affermazione circa l’avvenuta cessione di un pacchetto azionario pari al 100% delle quote della Royal Relation risulta già contenuta nella sentenza del Tribunale, così come appunto documentato in controricorso, sicchè in assenza della proposizione di uno specifico mezzo di gravame avverso la statuizione del giudice di prime cure, non è dato contestare tale accertamento con la formulazione del presente ricorso.

Quanto invece alla misura delle quote della diversa società Arte Capital, ritenute oggetto di cessione a titolo gratuito in favore della ricorrente, e premesso che quanto riferito a pag. 8 della sentenza attiene alla narrazione dei fatti, sempre dalle difese delle controricorrenti si ricava che in realtà la sentenza di primo grado, anche in parte qua non oggetto di alcuna impugnazione, ha accertato che la percentuale ceduta ammontava appunto al 40%, conformemente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che quindi non ha motivo di dolersi rispetto al contenuto della sentenza che ha accertato l’entità della lesione, dando conto proprio della detta quota quale oggetto di un atto di liberalità.

3. Il secondo ed il quarto motivo vanno invece congiuntamente esaminati per la loro connessione, e si rivelano privi di fondamento.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 476 c.c., in quanto non si era dato conto del fatto che le attrici erano divenute eredi pure e semplici del de cuius, avendo posto in essere degli atti di accettazione tacita dell’eredità, quali la proposizione di una richiesta di sequestro giudiziario ante causam, ovvero la stessa proposizione dell’azione di riduzione.

Con il quarto invece si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato la prescrizione di cui all’art. 564 c.c., avendo accolto l’azione di riduzione sebbene le attrici non avessero accettato l’eredità con beneficio di inventario, così come prescritto dall’articolo richiamato, soprattutto in considerazione che la domanda era stata proposta nei confronti di un terzo come la società Arte Capital.

Le doglianze sono del tutto prive di fondamento alla luce del fatto che, giusta il tenore del testamento olografo del de cuius, che aveva istituito la M. come erede universale, le attrici erano risultate del tutto pretermesse, e quindi prive di una vocazione ereditaria.

Per l’effetto alle stesse era preclusa la possibilità di poter accettare l’eredità, in quanto l’unico modo di adizione della stessa è la sola proposizione dell’azione di riduzione, il cui positivo accoglimento determina l’acquisto della qualità di eredi.

Ne consegue che anche la presentazione dell’azione di riduzione non può determinare immediatamente l’acquisto della qualità di erede, in assenza appunto di una vocazione, occorrendo in ogni caso attendere il passaggio in giudicato della decisione che accolga la relativa domanda, e che l’impossibilità di poter validamente compiere atti di accettazione, sia pure tacita, di un’eredità che non risulta devoluta, in ragione della pretermissione, esonera il legittimario pretermesso dal dover far precedere l’azione di riduzione, anche intentata nei confronti del terzo, dalla previa accettazione beneficiata ovvero dalla sola redazione dell’inventario (cfr. da ultimo Cass. n. 16635/2013; Cass. n. 28632/2011; Cass. n. 13804/2006).

Quanto invece all’onere di imputazione delle liberalità ricevute in vita dal de cuius, trattasi appunto di un onere, il che implica che il giudice al fine di accertare l’eventuale lesione della riserva del legittimario, debba imputare alla quota di legittima quanto lo stesso legittimario abbia ricevuto in vita da parte del de cuius per effetto di liberalità ovvero di disposizioni mortis causa.

Deve pertanto escludersi che, a differenza di quanto previsto per il solo legittimario che sia anche erede, e che intenda esercitare l’azione di riduzione nei confronti di soggetti non chiamati come coeredi circa la necessità dell’accettazione beneficiata, l’imputazione costituisca una condizione di ammissibilità della domanda, trattandosi invece di un’operazione contabile necessaria al fine di determinare la quota in concreto vantata dal legittimario.

Nel caso di specie l’accoglimento della domanda attorea è stato anche accompagnato dall’imputazione alle quote di legittima delle attrici di quanto ricevuto a titolo di liberalità, ed anche in misura maggiore rispetto a quanto dedotto in citazione, come appunto confermato dalla sentenza impugnata nella parte in cui ha rideterminato il valore da imputare alla quota delle B. per effetto della donazione dell’appartamento di via (OMISSIS) in favore della madre (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).

4. Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 553 c.c. e artt. 183 e 189 c.p.c..

Si sostiene che la domanda di riduzione era stata illegittimamente proposta in via cumulativa dalle sorelle B., anche quali eredi della defunta madre, a sua volta legittimaria, chiedendo la reintegra della quota complessiva di legittima pari ai 3/4 della massa, e ciò in violazione del carattere personale dell’azione di riduzione.

Il motivo è manifestamente infondato.

Le attrici, in citazione, hanno puntualmente riportato la narrazione delle vicende in fatto che hanno preceduto la proposizione della loro domanda, permettendo in tal modo di poter appieno apprezzare le modalità con le quali si era devoluto il patrimonio del de cuius, e di come il testamento, che istituiva erede universale la M., risultasse lesivo sia della quota di legittima delle figlie che di quella del coniuge (alla quale le prime sono succedute a titolo universale).

Il principio della natura personale dell’azione di riduzione nella specie deve reputarsi pienamente rispettato, avendo agito entrambe le legittimarie per far valere la lesione delle quote di riserva loro spettante, sicchè l’indicazione dell’ammontare complessivo della lesione subita non contravviene al carattere personale della domanda, posto che la causa petendi così come esposta in citazione permetteva di ricostruire con esattezza, ed in applicazione del principio iura novit curia, quale fosse la quota di legittima singolarmente vantata dalle istanti.

Correttamente la sentenza di primo grado, e la Corte d’Appello poi, hanno determinato la misura dell’integrazione della quota di legittima spettante singolarmente ad ognuna delle due attrici, occorrendo a tal fine anche tenere conto della diversa entità delle donazioni ricevute dalle medesime, sicchè deve altresì escludersi che la precisazione compiuta dalle attrici in corso di causa circa la quota di riserva vantata da ognuna delle sorelle B. equivalga alla proposizione di una inammissibile domanda nuova.

Quanto infine alla contestazione circa il fatto che inammissibilmente sarebbe stato consentito a B.M. di avvalersi delle agevolazioni probatorie previste in favore del legittimario, benchè la medesima fosse anche socia di una delle società coinvolte in una vendita dissimulante una donazione, trattasi di questione nuova, che necessita anche di accertamenti in fatto (verifica del possesso della qualità di socia all’epoca delle alienazioni simulate) e che non risulta essere stata proposta nei precedenti gradi di merito, non avendo la ricorrente allegato se ed in quale fase processuale la questione fosse stata sollevata (cfr. Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 25546/2006).

Inoltre è anche infondata, in quanto non tiene conto della alterità soggettiva tra le persone dei soci e la società, la quale non preclude al socio di poter fare accertare la natura simulata di atti che abbiano coinvolto la società, a maggior ragione laddove il pregiudizio non attenga alla sua posizione di socio, ma alla diversa qualità di legittimario, come appunto nel caso in esame.

5. Il quinto motivo denunzia la violazione dell’art. 560 c.c., lamentandosi che il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, abbiano accolto la domanda di riduzione con la condanna della ricorrente al controvalore in denaro della quota di legittima lesa, trascurando che la norma ora menzionata preveda invece che la reintegrazione debba avvenire in natura.

Il motivo è ancor prima inammissibile, oltre che infondato.

Ed, infatti la sentenza impugnata nel replicare al motivo di appello di identico contenuto, oltre ad avvalersi dell’argomento secondo cui nella richiesta di pagamento di una somma ristoratrice della lesione era da ritenersi implicita anche la domanda di divisione dei beni oggetto delle disposizioni lesive, sicchè era onere della convenuta dimostrare che i beni erano comodamente divisibili in natura, ha richiamato altresì il principio, suscettibile di essere configurato alla stregua di un’autonoma ratio decidendi, di per sè sola idonea a sorreggere il rigetto del motivo di gravame, secondo cui, laddove la lesione derivi da donazioni indirette, è consentita unicamente la reintegra del legittimario per equivalente monetario, essendo escluda la possibilità di un recupero in natura del bene donato da parte del legittimario.

Il motivo di ricorso non si perita affatto di confutare tale affermazione, come detto idonea da sola a sorreggere il rigetto del motivo di appello ed a confermare la correttezza della soluzione del giudice di merito, occorrendo in ogni caso confermare la correttezza del principio su esposto così come condivisibilmente compendiato da questa Corte nella sentenza n. 11496/2010.

6. Infine con il sesto motivo si denunzia l’errore decisivo per la decisione in relazione alla determinazione del valore dell’asse e delle conseguenti quote con riferimento all’immobile di (OMISSIS), assumendosi che non si sarebbe tenuto conto della natura abusiva del bene che ne impedisce la commerciabilità.

Osserva il Collegio che valgono anche in relazione a tale motivo le ragioni di inammissibilità evidenziate in merito al primo motivo, mancando anche in tal caso la sussunzione del vizio in una delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Tuttavia, anche laddove, con uno sforzo interpretativo, si intendesse procedere ad una qualificazione del motivo al fine di ricondurlo nell’ambito delle ipotesi dettate dal legislatore, la censura andrebbe rapportata alla previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con la conseguente inammissibilità della doglianza, ai sensi del sopra ricordato art. 348 ter c.p.c., u.c., trattandosi di sentenza di appello che sul punto ha dato conferma della decisione del giudice di primo grado (cfr. pagg. 21 e ss. della sentenza impugnata, ove si affronta in dettaglio la questione circa la stima dell’immobile di (OMISSIS)), e risolvendosi in ogni caso il motivo in una non consentita richiesta di nuovo apprezzamento dei fatti, così come insindacabilmente valutati, con ampia ed articolata motivazione da parte del giudice di merito.

Nè appare suscettibile di condurre all’accoglimento del motivo il richiamo di parte ricorrente al contenuto dei documenti da n. 30 a 34 del fascicolo di primo grado, i quali, oltre a risultare generici quanto alla puntuale individuazione dei presunti abusi commessi ed alla loro effettiva insanabilità, in ogni caso non appaiono idonei a confutare l’affermazione della Corte di merito, la quale, sulla base anche degli accertamenti espletati dal CTU, ha ritenuto che gli abusi riguardavano solo una piccola porzione dell’immobile, configurandosi alla stregua al più di una parziale difformità dal titolo concessorio, non incidente sulla commerciabilità del bene e di riflesso nemmeno idonea ad incidere sul valore dell’immobile.

Trattasi a ben vedere di ampie ed argomentate considerazioni che consentono di affermare che i documenti in questione siano stati comunque apprezzati e ritenuti, se non altro in via implicita, inidonei a determinare un diverso convincimento in ordine alla stima del bene immobile

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per le intimate, che non hanno svolto attività difensiva.

8. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore delle controricorrenti che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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