Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25440 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 11/11/2020), n.25440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto rel – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 23345/2015 proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

H.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 367/2014 della Corte d’appello di Cagliari,

sezione distaccata di Sassari, depositata il 28/8/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2020 dal cons. PAZZI Alberto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

Francesca, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.E., con ricorso ex art. 737 c.p.c., depositato il 13 marzo 2009, chiedeva al Tribunale di Sassari il riconoscimento del suo stato di apolide.

Il ricorrente in particolare assumeva di essere nato e aver sempre vissuto in Italia, presso il campo nomadi di Alghero, di non godere della cittadinanza di alcuno Stato, di essere figlio di cittadini già jugoslavi, nati in località oggi ricomprese nella Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, e di non essere iscritto nei registri dei cittadini bosniaci.

Il Ministero dell’Interno, nel costituirsi in giudizio, eccepiva preliminarmente che la domanda era stata proposta senza rispettare il competente foro erariale, nel senso previsto dall’art. 25 c.p.c., R.D. n. 1611 del 1933, artt. 6 e 7 e, nel merito, ne contestava la fondatezza. Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 8/2010, dopo aver riconosciuto la propria competenza, accoglieva il ricorso, riconoscendo lo stato di apolidia di H.E..

2. Avverso questa statuizione proponeva appello il Ministero dell’Interno dinanzi alla Corte di appello di Cagliari, tornando a contestare la competenza del giudice adito e prospettando, nel merito, l’erroneo riconoscimento della condizione di apolidia.

La sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, cui la causa era stata rimessa dal Presidente della stessa Corte, negava la prevalenza nel caso di specie del foro erariale sul foro ordinario, non sussistendo in questo ambito una ragione giustificativa di un favor per la difesa dello Stato, e riteneva di conseguenza che la competenza territoriale in ordine alla declaratoria dello stato di apolidia fosse quella propria del rito che regola la trattazione delle controversie relative allo stato delle persone.

Nel merito la Corte distrettuale riteneva dimostrato che H.E. non fosse cittadino bosniaco e confermava la declaratoria di apolidia già adottata dal primo giudice.

3. Per la cassazione della sentenza con cui la Corte distrettuale ha rigettato l’appello, pubblicata in data 28 agosto 2014, ha proposto ricorso il Ministero dell’Interno prospettando tre motivi di doglianza. L’intimato H.E. non ha svolto difese.

La causa, inizialmente destinata alla trattazione in adunanza camerale, è stata rinviata a nuovo ruolo per il successivo esame in pubblica udienza, in ragione della particolare rilevanza delle questioni di diritto sollevate con il primo motivo di ricorso, in merito alla possibilità di ravvisare nel caso di specie la competenza del foro erariale, e con il secondo motivo di ricorso, in tema di riconoscimento dello stato di apolidia originaria in capo all’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso il Ministero ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.p., n. 2, la violazione delle norme sulla competenza di cui all’art. 25 c.p.c., R.D. n. 1611 del 1933, artt. 6 e 7: la competenza del foro erariale (e quindi del Tribunale di Cagliari, ove ha sede l’Avvocatura Distrettuale dello Stato), scaturente dall’inequivoca lettura di norme che non prevedono deroghe con riferimento ai procedimenti riguardanti lo stato delle persone, non avrebbe potuto trovar deroga – a dire del Ministero ricorrente – in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata del testo di legge ma in realtà contraria al suo contenuto, tanto più che tale disciplina era passata indenne sotto plurime verifiche operate dalla Corte Costituzionale.

5. Il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che la congerie normativa in materia costituita dall’art. 25 c.p.c. (a mente del quale “per le cause nelle quali è parte un’amministrazione dello Stato è competente, a norma delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie) e dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 6 (secondo il cui comma 1 “salva la disposizione dell’articolo seguente, la competenza per le cause nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato, anche nel caso di più convenuti di sensi dell’art. 98 c.p.c., spetta al tribunale o alla corte di appello del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il tribunale o la corte d’appello che sarebbe competente secondo le norme ordinarie”) – sia ispirata da un principio di prevalenza, finalizzato alla facilitazione della difesa dello Stato, rispetto al normale criterio di collegamento territoriale.

Nei casi in cui questa prevalenza non trovi giustificazione, “avuto riguardo al contenuto degli interessi in gioco e alla necessità di porre le parti in una situazione di parità che può essere tale solo laddove si consenta l’accesso ad un giudice di prossimità senza obbligare l’utente ad onerose difese fuori sede”, l’applicazione dell’art. 25 c.p.c., comporterebbe “proprio l’effetto che il legislatore ha ritenuto di voler escludere allorquando appare del tutto ingiustificata la facilitazione della difesa statuale rispetto al rapido ed economico accesso alla giustizia in relazione a diritti sensibili come quelli assistenziali e previdenziali o quelli relativi al gratuito patrocinio”.

In quest’ottica di prevalenza del foro ordinario quando non sia giustificato il favor per la difesa dello Stato, le controversie relative al riconoscimento dello stato di apolidia dovrebbero essere regolate in via generale dall’art. 9 c.p.c., “che individua la competenza del Tribunale per tutti i procedimenti riguardanti lo stato delle persone, in modo generalizzato e senza distinguere le diverse ipotesi in alcun modo”.

Una simile interpretazione finisce però per affidare al giudice, materia per materia, una valutazione della sussistenza o meno di una ragione di facilitazione della difesa dello Stato che possa ritenersi prevalente sull’interesse della controparte a veder rispettati i normali criteri di competenza.

Il che non corrisponde affatto a quanto prevede la normativa sopra riportata, la quale, invece, fissa il criterio del foro del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, “salva la disposizione dell’articolo seguente” (vale a dire R.D. n. 1611 del 1933, art. 7, secondo cui “le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un’Amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori, nonchè per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari e a quelli di cui all’art. 873 del Codice di commercio e art. 94 del Codice di procedura civile. Rimangono ferme inoltre nei casi di volontario intervento in causa di un’Amministrazione dello Stato e nei giudizi di opposizione di terzo. L’appello dalle sentenze dei pretori e dalle sentenze dei tribunali pronunciate nei giudizi suddetti, è proposto rispettivamente innanzi al tribunale ed alla corte d’appello del luogo dove ha sede l’Avvocatura dello Stato nel cui distretto le sentenze stesse furono pronunciate”). La valutazione di prevalenza o meno del favor della difesa dello Stato è affidata, dunque, al legislatore e non al giudice e deve trovare suffragio in una norma espressa che deroghi al foro della pubblica amministrazione.

Principio, questo, fissato ormai da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la disciplina del foro erariale è “derogata per effetto di specifiche disposizioni del legislatore (controversie previdenziali, di opposizione a sanzioni amministrative, sulla disciplina dell’immigrazione, di convalida di sfratto) ogni qual volta sia manifesto l’intento di determinare la competenza per territorio sulla base di elementi manifesti e incompatibili rispetto quelli risultanti dalla regola del foro erariale e perciò destinati a prevalere su questa” (così Cass., Sez. U., 18036/2008).

E proprio in una simile ottica questa Corte – ad esempio – ha trovato, nel criterio di prossimità che caratterizza l’individuazione del foro competente in materia di sanzioni amministrative, la ragione, normativa, per ritenere che la disciplina del foro erariale non trovi applicazione nei giudizi di appello contro le sentenze del giudice di pace in tema di opposizione a sanzioni amministrative (Cass., Sez. U., 23285/2010).

Analoga ragione normativa si è riconosciuto essere alla base dell’applicazione delle regole ordinarie sulla competenza per territorio per le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria ex art. 442 c.p.c. (Cass. 4164/2004) e in materia di convalida di sfratto (Cass. 11967/2005).

Nessun appiglio normativo consente invece in questa materia di derogare alla disciplina generale del foro erariale a favore dei criteri generali di determinazione della competenza per territorio.

Poichè in assenza di una disposizione di legge derogativa del foro erariale non è dato al giudice di merito il compito di ponderare gli interessi in campo e valutare se il favor per lo Stato sia o meno giustificato, non rimane che fare applicazione della congerie normativa in discorso, la cui conformità ai principi costituzionali, peraltro, è già stata riconosciuta da tempo dal Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 118/1964 e Corte Cost. 12/1974) sia rispetto al principio di eguaglianza (poichè la regola del foro dello Stato, per quanto sia in grado di elevare il costo del processo per le altre parti, ha una giustificazione sufficientemente adeguata nell’esigenza di concentrare a vantaggio della collettività, e in vista di un minor costo e di un migliore svolgimento del servizio, sia gli uffici della Avvocatura dello Stato, sia i giudizi cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di sedi giudiziarie, sì da dare impulso alla specializzazione di queste), sia con riferimento al diritto di azione e di difesa garantito dall’art. 24 Cost. (in quanto il maggior costo del giudizio non può esser considerato tale da sconsigliare la difesa delle proprie posizioni soggettive a chi, in mancanza della regola del foro dello Stato, la avrebbe esercitata, tenuto conto che tale regola ha un’adeguata giustificazione in ragioni di interesse generale), anche laddove l’iniziativa processuale sia assunta per il riconoscimento di un diritto inviolabile.

6. Rimangono assorbiti, in senso improprio, gli ulteriori motivi di ricorso, in quanto la decisione sul primo motivo esclude la possibilità di provvedere sulle altre questioni.

7. In conclusione, in forza delle ragioni sopra illustrate, la sentenza impugnata deve essere cassata.

Alla cassazione della sentenza impugnata non può far seguito il rinvio della causa alla Corte d’appello di Cagliari.

Infatti, allorchè sia il giudice di primo che quello di secondo grado abbiano erroneamente ritenuto sussistere la propria competenza per territorio, della quale invece erano privi, alla cassazione della sentenza d’appello deve seguire l’indicazione da parte di questa Corte del giudice competente in primo grado, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., dinanzi al quale sarà onere della parte più diligente riassumere il giudizio, ai sensi dell’art. 50 c.p.c. (come già ritenuto da Cass. 10566/2003, Cass. 22958/2010 e Cass. 22810/2018).

La liquidazione delle spese di tutti i gradi del giudizio andrà rimessa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e dichiara la competenza del Tribunale di Cagliari.

Rimette al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata la liquidazione delle spese di tutti i gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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