Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25439 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 11/11/2020), n.25439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10707/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38,

presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo rappresenta e

difende in forza di procura speciale ricorso, in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per Il Riconoscimento Prot. Intern. Caserta,

Ministero dell’Interno;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 27/2/2018 S.M., cittadino del Bangladesh, ha adito il Tribunale di Napoli- Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in Bangladesh e di provenire da Nohkhali; di aver lasciato il proprio Paese nel dicembre 2015, arrivando in Italia nel luglio 2016; di essere musulmano e di aver lasciato in patria la madre, il fratello e tre sorelle; di essere stato titolare di un ristorante, nonchè sindaco del villaggio di (OMISSIS) dal 2013 al 2015 e capo del partito BNP; che nel settembre 2015 era scoppiata una rissa nel suo ristorante tra i sostenitori del BNP e della Awami League; che questi ultimi avevano distrutto il locale e lo avevano successivamente aggredito in un bazar, mandandolo all’ospedale per un mese; di aver lavorato per due mesi in campagna dopo la dimissione ospedaliera e di aver deciso di espatriare.

Con Decreto del 25/2/2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso S.M., con atto notificato il 27/3/2019, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento alle norme contenute nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, nella parte in cui è prevista la disponibilità della videoregistrazione del colloquio effettuato dal richiedente asilo presso la Commissione territoriale e nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, perchè il Tribunale aveva escluso la necessità di procedere alla audizione del richiedente, pur facendo poi leva nella motivazione del provvedimento di rigetto su di un cavillo burocratico legato alla scadenza della licenza di ristorazione, senza neppur valutare e verificare la possibilità di una proroga o sopravvivenza dopo la scadenza o anche solo di una prosecuzione di fatto dell’attività.

1.1. Al riguardo il ricorrente osserva che la sentenza Moussa Sacko della Corte di Giustizia UE del 26/7/2017 non era influente poichè l’ordinamento italiano aveva previsto una tutela maggiore di quella scaturente dalla disciplina Euro-unitaria, imponendo la videoregistrazione del colloquio e la sua disponibilità per il giudice dell’opposizione, mentre non poteva essere sufficiente in caso di indisponibilità della videoregistrazione la mera fissazione di udienza di comparizione prevista da Cass. 17717/2018, con la presenza esterna e muta del richiedente asilo.

1.2. La censura non è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte quando il richiedente impugna la decisione della Commissione territoriale in tema di protezione internazionale e la videoregistrazione del colloquio non sia disponibile, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto che decide il ricorso per violazione del principio del contraddittorio, a nulla rilevando che l’audizione, nella specie, sia stata effettuata davanti alla Commissione territoriale in data anteriore alla consumazione del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2017, essendo l’udienza di comparizione delle parti, anche in tale ipotesi, conseguenza obbligata della mancanza della videoregistrazione (Sez. 1, n. 32029 del 11/12/2018, Rv. 651982 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17076 del 26/06/2019, Rv. 654445 – 01; Sez. 6 – 1, n. 14148 del 23/05/2019, Rv. 654198 – 01; Sez. 1, n. 10786 del 17/04/2019, Rv. 653473 – 01); non rileva in contrario la circostanza che il ricorrente abbia omesso di prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato un pregiudizio per la decisione di merito, in quanto la mancata videoregistrazione del colloquio, incidendo su un elemento centrale del procedimento, ha palesi ricadute sul suo diritto di difesa (Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019,Rv. 652815 – 01).

Tuttavia, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410-01; Sez. 6 – 1, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6 – 1, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088 – 01; Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815 – 01).

Infatti il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, deve essere letto in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE (Corte di Giustizia, sez. II, 26/7/2017 in causa C-348/16 e sez.II, 9/2/2017 in causa 560/2014).

Ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Sez. 1, n. 27073 del 23/10/2019, Rv. 656871 – 01).

Recentemente questa Corte ha ritenuto necessaria l’audizione anche in un ulteriore caso, ossia allorchè il ricorrente proponga istanza in tal senso argomentando in modo circostanziato e specifico circa la necessità di chiarimenti, correzioni e delucidazioni in ordine al contenuto del colloquio espletato in sede amministrativa.

In particolare con la sentenza n. 21584 del 7/10/2020 è stato affermato il seguente principio condiviso dal Collegio: “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.

1.3. Nella fattispecie l’udienza è stata regolarmente fissata senza che fosse stata ritenuta necessaria l’audizione, mentre il ricorrente non deduce – tantomeno in modo puntuale e specifico di aver introdotto con il ricorso nuovi temi di indagine o dedotti fatti nuovi che la imponessero.

Il ricorrente neppure assume di aver segnalato a corredo e giustificazione dell’istanza di ascolto in sede giurisdizionale la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni in ordine al contenuto del colloquio espletato in sede amministrativa.

Il ricorrente non ha poi indicato, il che inficia ulteriormente di genericità la sua censura, se all’udienza fissata dal Tribunale il richiedente asilo fosse presente personalmente, disponibile a rendere le auspicate dichiarazioni, e neppure se il difensore avesse insistito all’udienza sulla richiesta di assunzione del mezzo istruttorio.

1.4. Del tutto impropriamente, infatti, il ricorrente pretende di ritrarre la necessità della riaudizione del richiedente asilo semplicemente dalle contraddizioni e incongruenze rilevate dal Tribunale nella versione dei fatti da lui narrata in sede amministrativa e non già da specifiche deduzioni contenute nel ricorso introduttivo e dalla sua circostanziata e specifica richiesta di essere ascoltato in sede giurisdizionale: in tal modo il ricorrente insiste sulla rappresentata aspettativa di essere nuovamente sentito dal Giudice, in assenza del debito esercizio da parte sua del potere processuale di allegazione, assumendo così infondatamente la sussistenza di una automatica necessità processuale di una doppia audizione sugli stessi fatti, in sede amministrativa e giurisdizionale.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno in presenza di seri motivi di carattere umanitario, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che corra gravi rischi in caso di rientro in patria, anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura e ai principi generali di cui all’art. 3 CEDU e 10 Cost..

2.1. Nel caso di specie sussisteva un ostacolo temporaneo al rientro in patria in considerazione della vicenda personale del richiedente che aveva documentato la sua appartenenza al BNP e l’aggressione subita.

2.2. Il motivo è inammissibile perchè non affronta e non confuta la ratio decidendi del provvedimento impugnato, basata sulla non credibilità del racconto inerente la vicenda personale e sullo svolgimento pregresso di attività commerciale nel Paese di origine.

2. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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