Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25438 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/09/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 21/09/2021), n.25438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRISCARI Giancarlo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12435/2014 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Valerio Freda

con domicilio eletto presso Assonime (Avv. Nicola Pennella) in Roma

piazza Venezia n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, sez. staccata di Salerno, n. 602/4/2013 depositata il 1

ottobre 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 febbraio 2021

dal consigliere Pierpaolo Gori.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, veniva rigettato l’appello proposto da M.A., titolare di attività commerciale, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino n. 212/1/2011 la quale, a sua volta, aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, avente ad oggetto l’avviso di accertamento per IVA, IRAP e IRPEF 2004 con cui era stata rettificata la dichiarazione dei redditi con accertamento di maggiore reddito imponibile in applicazione di studio di settore.

2. Il giudice riteneva così di confermare la decisione di primo grado con cui era stata ritenuta legittima l’applicazione degli studi di settore a seguito della mancata adesione del contribuente all’invito di instaurare il contraddittorio, riducendo però i ricavi presunti accertati del 40%.

3. Avverso la decisione propone ricorso il contribuente, affidato a due motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, il contribuente deduce la motivazione omessa o insufficiente circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla mancata valutazione di elementi di prova contraria alla presunzione risultante dallo studio di settore applicato dall’Agenzia, nella specie gli attestati di avvenuto incasso degli aggi sulle vendite dei beni in monopoli a dimostrazione del fatto che l’attività commerciale svolta non riguardava solo generi alimentari, e la dichiarazione dei redditi del coniuge a dimostrazione delle fonti di sostentamento del nucleo familiare.

5. Con il secondo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alle medesime circostanze già oggetto del primo motivo.

6. I motivi sono inammissibili. Con riferimento al primo, la Corte rammenta che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012. La novella trova perciò applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 1 ottobre 2013 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e non più l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal “vecchio” n. 5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014). Inoltre, nessuno spazio vi è per l’accoglimento della deduzione di motivazione apparente pure accennata nel corpo del primo motivo, in quanto la decisione nel riportare il fatto, gli snodi processuali, il contenuto delle difese delle parti e nell’esprimere una chiara ratio decidendi sfavorevole al contribuente certamente soddisfa il minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053).

7. Il secondo motivo, correttamente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 nel richiamare le circostanze già poste a base della prima censura, è nondimeno a sua volta inammissibile.

Infatti, da un lato il contribuente non indica se e dove con l’atto di appello siano stati posti all’attenzione della CTR i profili ritenuti decisivi in ricorso ai fini della giustificazione dello scostamento evidenziato dallo studio D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62 sexies a seguito di rituale invito al contraddittorio, essendo a tal fine troppo sintetico il passaggio a pag.8 del ricorso. Ivi non si menzionano specificamente gli attestati di avvenuto incasso degli aggi sulle vendite dei beni in monopoli a dimostrazione del fatto che l’attività commerciale svolta non riguardava solo generi alimentari, né la dichiarazione dei redditi del coniuge per l’anno di imposta, a dimostrazione delle fonti di sostentamento del nucleo familiare; il passaggio riportato dell’atto di appello fa più genericamente riferimento ai redditi dichiarati dal coniuge e al fatto che l’attività del contribuente in regime di monopolio è soggetta ad aggio.

8. Dall’altro, la censura è chiaramente diretta ad una rivalutazione della prova già soppesata dal giudice d’appello, attività preclusa al giudice di legittimità e pecca pure di specificità. La CTR ha infatti comunque valutato nel loro complesso gli elementi di prova, inclusi gli incassi degli aggi sulle vendite dei beni in monopoli e i redditi dichiarati dal coniuge, ma ha ritenuto che la prova contraria non sia idonea del tutto ad elidere integralmente la pretesa dell’Agenzia, ed è così giunta a confermare la riduzione della pretesa originaria già operata dalla CTP.

9. In conclusione, il ricorso va rigettato per inammissibilità dei motivi e le spese di lite seguono la soccombenza, regolate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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