Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25437 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/09/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 21/09/2021), n.25437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1099/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Edilcemencar s.r.l., in persona del L.R. pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 3049/01/14, depositata il 13 maggio 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2021

dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

– la Edilcemencar Srl impugnò, innanzi alla CTP di Roma, l’avviso di accertamento, emesso a seguito di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis relativo all’illegittimo utilizzo in compensazione, per l’anno 2007, del credito Iva esposto in dichiarazione, con ripresa a tassazione della somma risultante da uno sgravio parziale tra il credito Iva non riconosciuto e quello spettante; nel contraddittorio con l’ufficio, la CTP accolse il ricorso sul presupposto della sussistenza di errori meramente;

– la CTR, dopo aver rilevato la novità delle eccezioni mosse dall’ufficio in relazione alla violazione della L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1, e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, commi 2 e 3, ha respinto nel merito l’appello dell’agenzia, osservando che l’errato utilizzo in compensazione dei credito Iva non avesse provocato danno all’erario, posto che lo stesso ufficio, pur insistendo sulla sanzionabilità dell’operazione, aveva riconosciuto che la società avrebbe dovuto regolarizzare l’errore con il versamento della somma pari all’eccedenza Iva utilizzata, salvo nutitizzare in compensazione, e nei limiti previsti, tale somma nella liquidazione del successivo anno di imposta;

– l’agenzia ricorre per cassazione con tre motivi; la società è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo, parte ricorrente ha denunciato vizio di violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 34, e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, commi 20 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 3): in particolare, ha criticato la sentenza della OR per aver il giudice d’appello ritenuto che la pretesa impositiva dovesse essere annullata per assenza di danno per l’erario; in realtà, afferma, le compensazioni non potevano comunque essere effettuate, trattandosi di importo (Euro 897.965,01) eccedente il limite di legge di Euro 516.456.90; esclude che, come sostenuto dalla contribuente, l’utilizzo in compensazione del credito Iva 2006, fosse stata attuato per errore, in luogo di quello maturato nel secondo trimestre dell’anno di imposta 2007, sia perché si era comunque ecceduto il limite consentito, sia perché la compensazione non era stata preceduta dalla prevista istanza all’ufficio: l’indebita compensazione non poteva quindi considerarsi meramente formale, ma realizzava una violazione sostanziale paragonabile all’omesso versamento, con conseguenze analoghe a quelle derivanti dalla utilizzazione in compensazione di un credito inesistente;

– la questione posta con il mezzo è stata già esaminata da questa Corte, la quale, in fattispecie analoga, ha ritenuto fondata la censura, affermando il principio secondo cui: “In tema di IVA, la L. n. 388 del 2000, art. 34 nel testo applicabile “ratione temporis”, sancendo che, a decorrere dall’1 gennaio 2001, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17 per i soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (Euro 516.456,90) per ciascun anno solare, ha inteso introdurre, per ogni periodo d’imposta, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA, che non può essere superato anche in sede di liquidazioni periodiche IVA, come confermato anche dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 16 marzo 2017, in C-211/2016, secondo cui la disciplina comunitaria non osta a tali limitazioni, purché sia assicurato al soggetto passivo l’integrale recupero del credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole” (Sez. 5, nn. 8101 del 2017, 22962 del 2018; v., anche, n. 10708 del 2019);

– in ordine poi, ai fini dell’ottenimento del rimborso ovvero del corretto esercizio della compensazione, alla natura condizionante del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, commi 20 e 3, e dell’istanza in essa prevista, questa Corte ha affermato (Cass. nn. 16504 del 2016, 28734 del 2017, 10872 e 33102 del 2019) che, in tema d’IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale; proprio in relazione al necessario adempimento della comunicazione dell’istanza al fine di potere validamente richiedere il rimborso ovvero procedere alla compensazione, questa Corte (Cass. n. 28734/17, cit.) ha affermato che, in tema d’IVA, la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, integra, sin dal momento della sua introduzione e prima ancora della previsione di uno specifico termine per il suo espletamento, un presupposto della compensazione, per cui, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni, l’esistenza del credito IVA, suscettibile di rimborso, e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria, giustifica l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2.

– con il secondo motivo l’agenzia ha denunciato vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 3), affermando la legittimità del ricorso dell’ufficio alla procedura del controllo automatizzato, in quanto il recupero d’imposta iscritto in cartella derivava dal raffronto tra i dati contabili dichiarati dallo stesso contribuente nel modello UNICO e quelli presenti nel sistema informativo dell’agenzia delle entrate relativamente ai versamenti effettuati mediante modello F.24;

la questione posta dal mezzo va esaminata e decisa tenendo conto del principio di diritto secondo cui “In tema di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, senza necessità di emettere avviso di accertamento, quando la verifica sia meramente cartolare e non implichi valutazioni, ciò che avviene quando essa si fondi sul solo riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto. (Nella specie, si trattava di recupero di crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate non indicati nel quadro RU della dichiarazione dei redditi)” (Sez. 5, Ordinanza n. 24747 del 05/11/2020);

– nel caso in esame, il controllo automatizzato era legittimo, in quanto la cartella di pagamento è scaturita da un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione dal contribuente, senza margini di tipo interpretativo;

– con il terzo motivo, in subordine, si eccepisce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 4): si rileva come, pur avendo la CTR dichiarato l’inammissibilità dell’eccezione mossa dall’ufficio, aveva poi esaminato nel merito la controversia ritenendo illegittima la pretesa per assenza di danno; pertanto, nel caso in cui si ritenesse che la declaratoria di inammissibilità non fosse un obiter dictum, la ricorrente contesta che la difesa dell’amministrazione in base alla normativa potesse essere considerata domanda nuova, concernendo solo argomentazioni e prospettazioni dirette a contrastare la fondatezza di un’eccezione;

– la censura è inammissibile per carenza di interesse, poiché dall’interpretazione complessiva della sentenza si ricava che al rilievo preliminare di novità di dette eccezioni va attribuito valore di mero obiter dictum, di ratio apparente, avendo poi il giudice affrontato il gravame nel merito con pronuncia di “rigetto” del medesimo, così esprimendo l’effettiva ratio decidendi (cfr. Cass. n. 22782 del 2018, 23872 del 2020);

– in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio, per nuovo esame anche delle questioni dichiarate assorbite, alla CTR del Lazio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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