Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25436 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/10/2017, (ud. 26/09/2017, dep.26/10/2017),  n. 25436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17343-2015 proposto da:

D.V.G., D.G.A.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO

NUZZACI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA

FIORENTINI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

NATIONALE SUISSE ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore,

Dott. T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PEREIRA ROMEO RODRIGUEZ 116, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

DI CICCO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO BIANCHI

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 850/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 205/2006, il Tribunale di Pisa – Sezione distaccata di Pontedera, in accoglimento della domanda proposta da Z.P., condannò i convenuti D.V.G. e D.G.A., quali genitori esercenti la potestà sul minore D.V.M., al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta dalle scale di casa causata dal minore, e la terza chiamata in causa National Suisse Assicurazioni S.p.a. a tenere indenni il D.V. e la D.G. dalle somme poste a loro carico.

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 850 del 21 maggio 2014.

La Corte di appello ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado limitatamente al capo relativo alla condanna della National Suisse, ritenendo del tutto ignoto il percorso logico seguito dal giudicante – che pure aveva dato atto del fatto che la compagnia assicuratrice contestava in toto la domanda attrice – per arrivare a tale statuizione.

La Corte fiorentina ha quindi rigettato la domanda di manleva formulata dai convenuti, ritenendo che, in base alle condizioni generali della polizza assicurativa per responsabilità verso terzi fatta valere dai convenuti, la Z., in quanto madre della D.G., fosse esclusa dalla garanzia.

In particolare, la Corte ha condiviso l’interpretazione fornita dalla compagnia assicuratrice dell’art. 13 delle suddette condizioni generali, secondo la quale sono esclusi dalla garanzia i coniugi, genitori o figli dell’assicurato, indipendentemente dalla convivenza o dalle risultanze dello stato di famiglia.

Tale interpretazione, secondo la Corte di Appello, risulta fondata sia in base ad elementi di natura lessicale (l’utilizzo della congiunzione “nonchè” nel testo della clausola evidenzia una distinzione tra coniugi, genitori e figli, da un lato, e altri parenti o affini, dall’altro, con la conseguenza che solo a questi ultimi si riferiscono i requisiti, rispettivamente, della convivenza e della residenza anagrafica) nonchè da un punto di vista logico (poichè coniuge, figli e genitori, sono soggetti che hanno una frequentazione costante con gli assicurati e stabile accesso alla casa, si trovano, come potenziali danneggiati, in una situazione di fatto del tutto analoga a quella dei soggetti effettivamente conviventi).

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione i signori D.V.G. e D.G.A.M., sulla base di tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso la National Suisse S.p.a.. L’intimata Z.P. non ha svolto difese.

3.2. Le parti hanno depositato memoria. Considerato che:

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La sentenza impugnata avrebbe errato nel rigettare la domanda di manleva per aver omesso di considerare che, nel caso di specie, assicurato non era anche la D.G., ma solo il signor D.V., contraente della polizza di responsabilità civile in questione.

Di conseguenza, la signora Z., in quanto affine non convivente dell’assicurato, non sarebbe rientrata nell’ambito delle cause di esclusione dalla garanzia previste dall’art. 13 delle condizioni generali della polizza.

Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto si evidenzia che la qualificazione della madre del bambino come assicurata o meno rappresenta una questione di merito, e come tale non sindacabile in questa sede, nè vi è la specifica indicazione della polizza dalla quale dovrebbe desumersi la dedotta circostanza. Tra l’altro non si afferma neppure dove sarebbe stata introdotta nel giudizio di merito. Pertanto i ricorrenti hanno prospettato una questione nuova, non dibattuta nelle fasi di merito e dunque non compresa nel thema decidendum del giudizio di secondo grado, quale fissato dalla impugnazione e dalle richieste delle parti.

Questa Corte ha in più occasioni affermato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (Cass. n. 2967 del 2001, n. 22154 del 2004, n. 16742 del 2005).

Nel giudizio di merito, i signori D.V. e D.G. non hanno mai posto in discussione la circostanza che entrambi fossero “soggetti assicurati” ai sensi delle condizioni generali della polizza.

Del resto, depone in tal senso la stessa condotta degli attori, che, fin dall’iniziale comparsa di costituzione e risposta hanno chiesto di essere entrambi manlevati dalla compagnia assicurativa.

4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.”.

Lamentano che la signora D.G. sia stata considerata assicurata al pari del marito, e che pertanto la Corte territoriale avrebbe violato i canoni di ermeneutica contrattuale, non tenendo conto del dato letterale della polizza, da cui emergerebbe che assicurato è solo il D.V..

Il motivo è inammissibile.

A parte il difetto di specifica indicazione della polizza, l’interpretazione della volontà delle parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione. Peraltro, quando il ricorrente censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. civ. Sez. 3, 06/02/2007, n. 2560).

4.3. Con il terzo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4”), i ricorrenti si limitano a censurare la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado da parte del giudice dell’appello, affermando che dalla stessa risulterebbero evincibili le ragioni di fatto e di diritto dell’accoglimento della domanda di manleva e che comunque la Corte fiorentina avrebbe potuto integrare la sentenza di prime cure con nuove argomentazioni.

Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità, perchè la Corte d’Appello perviene all’accoglimento dell’appello della compagnia (ed alla riforma della sua condanna) in base all’interpretazione della polizza ed alle circostanze di fatto accertate.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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