Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25434 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 10/10/2019), n.25434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4910-2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B. VICO

31, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SCOCCINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO TALAMONTI;

– ricorrente –

contro

A.D.M., titolare della Farmacia A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, rappresentato e difeso dagli

avvocati PIERGIORGIO PARISELLA, MAURIZIO CINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 10 novembre 2016-25 gennaio 2017 numero 395 la Corte d’Appello di Ancona riformava la sentenza del Tribunale di Macerata e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta da A.A. per il risarcimento del danno derivatogli dalla natura ingiuriosa del licenziamento intimatogli da A.D.M.;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che l’appello del datore di lavoro era limitato al capo della sentenza di primo grado che accoglieva la domanda di risarcimento del danno derivato dal carattere ingiurioso del licenziamento, ferma la statuizione della sua illegittimità.

L’appellante esponeva di avere convocato il dipendente il giorno 13 novembre 2010 per comunicargli il licenziamento in tronco e che questi si era rifiutato di ricevere la missiva, come attestato per iscritto dalla persona presente all’incontro; I’ A. si era ripresentato sul luogo di lavoro il 15 novembre 2010 ed allora egli si era rivolto ai carabinieri.

La parte appellata deduceva la novità delle allegazioni sulle modalità di consegna della lettera di licenziamento.

Le nuove allegazioni, tuttavia, si qualificavano come eccezione in senso lato, volta a contestare i fatti costitutivi della domanda risarcitoria sicchè potevano essere sollevate anche in appello.

La prova emergeva dalla deposizione del teste C., che aveva presenziato ai fatti.

Il licenziamento si era dunque perfezionato alla data del 13 novembre 2010; ne derivava che il dipendente aveva l’obbligo di non presentarsi al lavoro il giorno 15 novembre e che le vicende di quel giorno erano del tutto irrilevanti sulla questione del carattere ingiurioso del licenziamento, in quanto successive al perfezionamento del recesso;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso A.A., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese con controricorso A.D.M.;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione dell’udienza- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente con l’unico motivo ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – falsa applicazione degli artt. 115,116,416,421,437 c.p.c. e art. 2697 c.c..

Ha censurato la sentenza per avere reputato ammissibile l’allegazione in appello delle modalità di consegna al lavoratore della lettera di licenziamento.

Ha esposto che nella difesa svolta in primo grado il datore di lavoro non aveva fatto alcun riferimento al tentativo di consegna in data 13 novembre 2010 nè articolato alcun mezzo di prova orale.

L’uso del potere istruttorio d’ ufficio da parte della Corte territoriale, che aveva disposto la escussione del teste C., era illegittimo, perchè tradiva il rigoroso sistema di preclusioni del processo del lavoro.

Il potere d’ufficio doveva essere esercitato con riferimento a fatti puntualmente allegati dalle parti ed emersi nel processo nonchè nel rispetto delle preclusioni istruttorie.

Il fatto afferente al proprio rifiuto a ricevere la lettera di licenziamento non era stato acquisito al contraddittorio nel giudizio di primo grado; la controparte si era limitata ad allegare la lettera di licenziamento.

Il divieto dei nova in appello non riguardava soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto ma era esteso alle nuove contestazioni sia perchè l’art. 416 imponeva un onere di tempestiva contestazione sia perchè le nuove contestazioni in secondo grado, oltre a modificare i temi di indagine, avrebbero alterato la parità delle parti.

Inoltre la Corte territoriale aveva omesso di dar conto delle ragioni per le quali aveva ritenuto di fare ricorso all’uso dei propri poteri istruttori, sostenendo il proprio convincimento con una non meglio specificata “necessità ai fini della decisione”.

A ciò si aggiungeva che il collegio giudicante aveva disposto la acquisizione della nuova prova precludendogli l’esercizio del diritto di difesa con la allegazione delle istanze di prova rese necessarie dai mezzi istruttori ammessi. Nel caso in cui venissero esercitati i poteri istruttori d’ufficio l’art. 421 c.p.c. rinviava all’art. 420 c.p.c., comma 6, che, a garanzia del contraddittorio, imponeva al giudice di assegnare alle parti un termine per il deposito di note difensive;

che, preliminarmente, deve essere rilevata la tempestività del ricorso- benchè notificato il 30.1.2018 avverso la sentenza pubblicata il 25 gennaio 2017- a mente del D.L. 8 del 2017, art. 17, convertito in L. n. 45 del 2017.

Tale norma ha aggiunto al D.L. n. 189 del 2016, art. 49 – che, a seguito degli eventi sismici del 24 agosto 2016, ha previsto la sospensione dei termini processuali dal 24 agosto 2016 al 31 maggio 2017 per i soggetti residenti nei Comuni indicati nell’allegato 1- un comma 9 ter, a tenore del quale la sospensione si applica, altresì, per gli eventi sismici del 26 e del 30 ottobre 2016 in relazione ai soggetti residenti nei Comuni di cui all’allegato 2, a decorrere da tali date e fino al 31 luglio 2017.

Il ricorrente è residente nel Comune di RIPE SAN GINESIO (MC) rientrante nel suddetto allegato 2 sicchè il termine per proporre appello è rimasto sospeso dalla pubblicazione della sentenza, il 25 gennaio 2017, al 31 luglio 2017.

Ne deriva la tempestività della impugnazione;

che, nel merito, il ricorso è infondato.

che occorre muovere dal principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 7 maggio 2013 n. 10531, secondo cui ” il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto”.

Tale arresto nomofilattico ha risolto il contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità tra le pronunce che subordinavano il rilievo d’ufficio di ogni eccezione alla tempestiva allegazione, proveniente dalla parte, nel giudizio di primo grado e pronunce secondo cui la deducibilità in appello di eccezioni in senso lato è ammessa anche se i fatti sono per la prima volta allegati in sede di impugnazione.

Le Sezioni Unite hanno aderito alla tesi che ammette la possibilità di rilevare di ufficio le eccezioni in senso lato, anche in appello, che risultino documentate ex actis, indipendentemente da specifica allegazione di parte.

Giova premettere che la distinzione tra il regime delle eccezioni in senso stretto e quello delle eccezioni in senso lato ha trovato sistemazione ad opera dell’arresto delle Sezioni Unite n. 1099/1998 e, successivamente, delle sentenze numero 226/2001 e n. 15661/2005, rese da questa Corte nella medesima composizione.

Si è ivi chiarito che il regime normale delle eccezioni è quello della rilevabilità d’ufficio mentre l’ambito della rilevabilità ad istanza di parte è confinato ai casi specificamente previsti dalla legge nonchè alle eccezioni corrispondenti alla titolarità di una azione costitutiva (es. annullamento).

Nella sentenza n. 1099/1998 si legge che ” nei casi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva, identificandosi… la manifestazione di volontà dell’interessato come elemento integrativo della fattispecie difensiva, è da escludere che, avvenuta l’allegazione dei fatti rilevanti, possa il giudice desumere l’effetto, senza l’apposita istanza di parte.

Ma, rispetto ad ogni altra allegazione, la necessità o meno di un’istanza siffatta non può che derivare da una specifica previsione di legge”.

Nella medesima pronuncia del 1998 è altresì delineata la distinzione tra le eccezioni in senso lato e le mere difese, rilevandosi che la difesa è la semplice negazione dei fatti allegati ex adverso (id est: la contestazione dei fatti costitutivi) mentre l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione a quei fatti di altri fatti, aventi efficacia modificativa, impeditivi o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda.

Con il successivo arresto del 2013 le Sezioni Unite, ponendosi in linea di dichiarata continuità con le già richiamate pronunce del 2001 e del 2005- queste ultime relative a questioni specifiche (rispettivamente, la rilevabilità d’ufficio del giudicato e della interruzione della prescrizione)- hanno, in termini di principio generale, superato il limite, contenuto nella precedente pronuncia n. 1099/1998, secondo cui la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione è pur sempre soggetta alla tempestiva allegazione del fatto estintivo, modificativo, impeditivo esclusivamente a cura della parte interessata.

Si è invero osservato che vincolare la rilevabilità delle eccezioni in senso lato al regime delle preclusioni svuota di rilievo la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato e conduce a sovrapporre due piani che sono sempre rimasti distinti nel testo normativo.

In particolare, per le eccezioni in senso lato l’art. 345 c.p.c.- anche dopo la modifica normativa del 2009 e l’ampliamento del divieto dei nova in appello- dispone che nel giudizio di appello possono proporsi nuove eccezioni, purchè siano rilevabili anche d’ufficio: deve essere dunque ammessa in appello la rilevabilità di eccezioni in senso lato, che ha senso preminente quando è basata su allegazioni nuove, quantomeno se già documentate ex actis.

A tali principi si è conformata la sentenza impugnata, nella parte in cui ha qualificato la allegazione del fatto del rifiuto del lavoratore di ricevere la lettera di licenziamento come eccezione in senso lato ed ha affermato che tale fatto poteva essere allegato anche in appello.

Invero, si trattava di fatto già documentato in atti, in quanto annotato in calce alla lettera di licenziamento ritualmente prodotta dal datore di lavoro (si veda il controricorso, pagina 6, ultimo capoverso).

Neppure appare censurabile l’esercizio del potere istruttorio d’ufficio, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., con la escussione del teste C.P., persona che nella suddetta annotazione in calce alla lettera di licenziamento era indicata come terzo presente al momento del rifiuto del lavoratore di ricevere la lettera di licenziamento, dopo averne appreso il contenuto.

Questa Corte ha già affermato (Cass. 23 maggio 2017 n. 12907) che laddove un fatto (nella specie ivi esaminata il fatto, impeditivo della tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18, delle dimensioni della impresa) integri una eccezione in senso lato è nella facoltà del giudicante, nell’esercizio dei suoi poteri di ufficio ex art. 421 c.p.c., con riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per decidere la causa sul punto. A tale orientamento si intende assicurare continuità in questa sede.

Quanto al concetto di “indispensabilità della prova” le Sezioni Unite nell’arresto del 04/05/2017, n. 10790 – riferito al rito ordinario ma dichiaratamente applicabile anche nel rito del lavoro, in relazione all’art. 437 c.p.c.- hanno enunciato il principio secondo cui nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato ” a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.

Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha esercitato il suo potere officioso, avendo ritenuto indispensabile, con una valutazione di merito non sindacabile da questo giudice di legittimità, sentire come teste la persona che, sulla base degli atti, figurava presente ai fatti.

Nè ha pregio la censura di violazione del diritto di difesa, in quanto la parte non ha allegato il pregiudizio concreto ed effettivo subito alle proprie facoltà difensive, sotto il profilo della deduzione di specifiche istanze istruttorie, rese necessarie in relazione al mezzo di prova ammesso d’ufficio, che non sarebbero state accolte dal giudice dell’appello;

che, pertanto, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c..

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 ottobre 2019

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