Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25432 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 11/11/2020), n.25432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 26505/2015 r.g. proposto da:

FALLIMENTO SOCIETA’ (OMISSIS) S.R.L., in breve (OMISSIS) S.R.L. (p.

iva (OMISSIS)), in persona del curatore Dott. V.A.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Roberto Materazzi, presso il cui studio

elettivamente domicilia in Terni, alla via Visciotti n. 1;

– ricorrente –

contro

CO.M.I. COMPAGNIA METALMECCANICA INVESTIMENTI S.R.L., (p. iva

(OMISSIS)) e NUOVA I.M.I.C. S.R.L. (p. iva (OMISSIS)), entrambe con

sede in (OMISSIS), in persona dei loro amministratori e legali

rappresentanti pro tempore, R.A. e R.P.,

rappresentate e difese, giusta procure speciali apposte in calce al

controricorso, dagli Avvocati Francesco Cipriano, e Luigi

Zingarelli, con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla via G.B.

Morgagni n. 2/A, presso lo studio dell’Avvocato Umberto Segarelli;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA depositata il

30/10/2014;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

giorno 30/09/2020, dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. R. Materazzi, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto del 13 giugno 2005, il Fallimento Società (OMISSIS) s.r.l., in breve (OMISSIS) s.r.l., citò la CO.M.I. Compagnia Metalmeccanica Investimenti s.r.l. e la Nuova I.M.I.C. s.r.l. in liquidazione innanzi al Tribunale di Terni, chiedendo dichiararsi inefficace verso la massa dei creditori fallimentari, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, perchè configurante un procedimento solutorio anomalo, la complessa operazione di compensazione annotata in contabilità, e tra le parti, nel novembre 2002, con la quale la società poi fallita ridusse di Euro 1.177.269,18, azzerandolo, il proprio credito verso la prima, e di Euro 713.224,64 quello vantato nei confronti della seconda. Per l’effetto, ne domandò la condanna al pagamento di tali somme in proprio favore, oltre interessi e rivalutazione monetaria. In via subordinata, ed in applicazione della medesima norma, chiese dichiararsi inefficace nei suoi confronti l’operazione di compensazione in questione limitatamente alle fatture CO.M.I. s.r.l. n. (OMISSIS) e Nuova I.M.I.C. s.r.l. in liquidazione n. (OMISSIS), con conseguente condanna, della prima società, al pagamento, in favore della curatela predetta, di Euro 566.697,90 e, della seconda, di Euro 153.697,54.

1.1. Costituitesi entrambe le convenute, acquisita documentazione ed espletata l’istruttoria, l’adito tribunale respinse tali domande, ed analoga sorte ha avuto il gravame promosso dalla curatela, avverso questa decisione, innanzi alla Corte di appello di Perugia.

1.2. Quest’ultima, invero, con sentenza del 23/30 ottobre 2014, n. 629, premessa la disciplina e la descrizione del modus operandi della compensazione legale, ha opinato che: i) “correttamente il primo giudice ha rilevato come l’accordo intervenuto tra le parti in data 2.8.2002, intitolato “atto di ricognizione e transazione”, pur avendo perso la sua efficacia per non essersi avverata, nel termine previsto, la condizione alla quale era subordinato, ha mantenuto la sua piena validità sotto il profilo della ricognizione delle rispettive posizioni debitorie riguardanti, da un lato, il pagamento dei canoni di locazione da parte della (OMISSIS) s.r.l., dall’altro, il pagamento da parte di CO.M.I. s.r.l. e di Nuova I.M.I.C. s.r.l. di somme relative a lavori eseguiti dalla predetta (OMISSIS) s.r.l., con l’indicazione specifica del relativo ammontare”; ii) “la ricognizione di un debito costituisce dichiarazione unilaterale ricettizia e come tale ha natura confessoria, produttiva dell’effetto giuridico dell’astrazione processuale della causa sottostante e della dispensa del creditore dalla relativa prova, caratteristiche, queste, che si ritrovano nella scrittura privata del 2.8.2002 e la cui validità prescinde dall’efficacia degli ulteriori accordi ivi contenuti, accordi, tra l’altro, sia sotto il profilo delle rinunce sia sotto il profilo delle transazioni, che avevano proprio come premessa le reciproche ricognizioni di debito”; iii) “nella vicenda in oggetto, la reciproca ricognizione dei debiti ha permesso la compensazione ope legis degli stessi ricorrendone i requisiti della certezza, della liquidità e dell’esigibilità, con la conseguenza che l’annotazione nelle scritture contabili non è stato altro che l’effetto di detti riconoscimenti. Deve, pertanto, escludersi una qualsiasi connotazione di anormalità di detta operazione che è, invece, prevista dalla legge e che opera di diritto ai sensi di quanto previsto dall’art. 1243 c.c., comma 1, con la conseguenza che la compensazione legale è ammessa anche in sede di fallimento ai sensi del disposto di cui alla L. Fall., art. 56 (…). Tale disposizione rappresenta una deroga al concorso, a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte…”.

2. Avverso la decritta sentenza, il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ricorre per cassazione affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resistono, con unico controricorso, la CO.M.I. Compagnia Metalmeccanica Investimenti s.r.l. e la Nuova I.M.I.C. s.r.l. in liquidazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1243 c.c. e L. Fall., art. 56 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. In estrema sintesi, la doglianza di violazione di legge deriva dall’affermazione che i crediti reciprocamente vantati dalle due parti sarebbero stati privi del requisito della liquidità ed esigibilità, perchè contestati, e, come tali, insuscettibili di compensazione legale. Come mezzo al fine di tale affermazione, si associa la denuncia della mancata valutazione di fatti controversi (“i rapporti indicati nell’atto di ricognizione e transazione del 2 agosto 2002, ed i contrapposti crediti che ne derivavano (…) erano oggetto di una serie di doglianze e controversie che impedivano, autonomamente ed indipendentemente da tale accordo, una compensazione legale degli stessi”; “alla data del 13.11.2002, (…), quando vennero annotate le compensazioni, l’atto in questione (quello di ricognizione e transazione del 2 agosto 2002. Ndr) si era risolto, per mancato avveramento delle condizioni cui era subordinato, e non aveva più alcuna efficacia, nemmeno per la parte ricognitiva”);

II) “Nullità della sentenza per error in procedendo, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda subordinata, con specifico riferimento all’inapplicabilità della L. Fall., art. 56”. Muovendo dal presupposto che l’atto del 2.8.2002 non avrebbe potuto “spiegare alcuna efficacia ricognitiva rispetto a quei crediti che erano sorti successivamente ad esso” (cfr. pag. 23 del ricorso), si lamenta la pretermissione dell’esame della domanda subordinata finalizzata ad ottenere la revoca della compensazione almeno limitatamente alle fatture CO.M.I. s.r.l. n. (OMISSIS), per Euro 566.677,90, e Nuova I.M.I.C. s.r.l. in liquidazione n. (OMISSIS), per Euro 153.697,54;

III) “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, e art. 56 sotto ulteriore profilo, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si afferma, sostanzialmente, che la previsione della L. Fall., art. 56 non consente di sottrarre la compensazione alla disposizione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, tutte le volte che “vengano artificiosamente creati i presupposti della compensazione in danno del fallimento” (cfr. pag. 26 del ricorso);

IV) “Nullità della sentenza per error in procedendo, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda subordinata, in relazione all’applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2”. Si ascrive alla corte distrettuale di avere totalmente omesso di pronunciare, anche in relazione all’applicabilità della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, sulla domanda subordinata avente ad oggetto il carattere anomalo del meccanismo solutorio complessivamente ideato per procurare un indebito vantaggio alle resistenti.

2. Il primo motivo si rivela inammissibile nel suo complesso.

2.1. Giova premettere che il principio cd. di autosufficienza del ricorso (oggi desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3-6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) impone che quest’ultimo contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa o il controricorso (cfr., ex multis, Cass. n. 29093 del 2018; Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 31082 del 2017; Cass. n. 1926 del 2015). A tanto deve aggiungersi che la recente Cass., SU, n. 34469 del 2019, ha precisato che “In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità”.

2.1.1. Nella specie, la curatela ricorrente, pur richiamando nell’odierna doglianza il contenuto dell’Atto di ricognizione e transazione” del 2 agosto 2002, – benchè al solo scopo di sostenere l’omesso esame della circostanza dell’asserita esistenza di contestazioni sui reciproci crediti/debiti oggetto di compensazione (“i rapporti indicati nell’atto di ricognizione e transazione del 2 agosto 2002, ed i contrapposti crediti che ne derivavano (…) erano oggetto di una serie di doglianze e controversie che impedivano, autonomamente ed indipendentemente da tale accordo, una compensazione legale degli stessi”; “alla data del 13.11.2002, (…), quando vennero annotate le compensazioni, l’atto in questione si era risolto, per mancato avveramento delle condizioni cui era subordinato, e non aveva più alcuna efficacia, nemmeno per la parte ricognitiva”. Cfr. pag. 20 e 21 del ricorso) ne ha riprodotto solo parzialmente, ed in misura affatto insufficiente, il contenuto (cfr. pag. 13 del medesimo ricorso): ciò già impedisce a questa Corte di avere reale conoscenza delle complessive pattuizioni ivi sancite e delle reciproche pretese creditorie/debitorie da esse interessate.

2.2. Fermo quanto precede, e considerate le già riportate argomentazioni fondanti il prospettato vizio di violazione e la strumentalità, rispetto ad esse, del denunciato vizio motivazionale, rileva il Collegio che, nell’odierna vicenda, come condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nella propria requisitoria scritta, la corte distrettuale prima ha dato atto, “nello svolgimento del processo, che il fallimento “appellante rilevava che, in realtà, la compensazione operata dalla (OMISSIS) s.r.l. doveva essere qualificata come volontaria”” e, poi, nei motivi della decisione, – sulla scorta dell’accordo inter partes del 2.8.2002 – ha qualificato la compensazione come legale senza nulla dire (almeno apparentemente), circa la contestazione dedotta dal fallimento.

2.2.1. Così operando, allora, quella corte – menzionando la (pretesa) contestazione del credito fatto valere in compensazione legale – ha sicuramente preso in considerazione la contestazione predetta, ma ne ha escluso la fondatezza giusta l’accordo intervenuto tra le parti in data 2.8.2002, al quale ha attribuito natura di “ricognizione delle rispettive posizioni debitorie” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). L’ha, quindi, evidentemente ritenuta manifestamente pretestuosa, conseguentemente deducendone che “la reciproca ricognizione dei debiti ha permesso la compensazione ope legis degli stessi ricorrendone il requisito delle certezza, della liquidità e dell’esigibilità” (cfr. pag. 6 della medesima sentenza).

2.2.2. Tanto è sufficiente, quindi, ad escludere il denunciato vizio di motivazione. Invero, da un lato, sono chiaramente percepibili le ragioni della decisione, idonee a far conoscere l’iter logico seguito dalla corte distrettuale per la formazione del proprio convincimento; dall’altro, basta ricordare che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (ipotesi tutte, qui, concretamente inconfigurabili), esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. SU 8053/2014; Cass. 7472/2017).

2.3. La doglianza, per il resto, benchè denunci violazione di legge, in realtà consiste e si risolve nella deduzione dell’erronea interpretazione della convenzione del 2 agosto 2002.

2.3.1. Occorre considerare, però, che, come ancora recentemente ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 14938 del 2018 e Cass. n. 25470 del 2019, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).

2.3.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016; con la precisazione che quando, come nella specie, è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto neppure è riconducibile a detto vizio, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi. Cfr. Cass. n. 5795 del 2017).

2.3.4. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo è volto, inammissibilmente, a sostenere una diversa lettura della convenzione del 2 agosto 2002, senza indicare specificamente i canoni ermeneutici violati, nè riportandone, come si è già detto, alla stregua del principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, il testo integrale, non essendo soddisfatto tale onere da una parziale riproduzione dello stesso (cfr. Cass. n. 2560 del 2007; Cass. n. 3075 del 2006; Cass. n. 16132 del 2005).

3. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Invero, malgrado sulla specifica questione di cui al motivo in esame effettivamente non si rinviene traccia nella sentenza impugnata, il ricorrente, però, benchè tenuto al relativo onere, non ha puntualizzato come l’aveva posta in sede di gravame.

3.2.1. Questa Corte, nel verificare se una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado sia stata, o non, impugnata, non è vincolata all’interpretazione compiuta dai giudici di appello, ma ha il potere dovere di valutare direttamente gli atti processuali, al fine di stabilire se rispetto alla questione, su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione nel giudizio di appello, con la conseguente preclusione di ogni esame della stessa (cfr. Cass. n. 7499 del 2019; Cass. n. 11322 del 2003).

3.2.2. Nella specie, come emerge, complessivamente, dal ricorso (cfr. pag. 4) e dal controricorso (cfr. pag. 18), la decisione di primo grado respinse anche la domanda subordinata della curatela ivi attrice. Affermò, infatti, che “Ugualmente deve argomentarsi per la parte di crediti compensati che hanno avuto ad oggetto il corrispettivo per l’acquisto di beni strumentali delle convenute da parte della (OMISSIS), di cui alle fatture n. (OMISSIS) di Comi e (OMISSIS) di Imic, che hanno formato oggetto di pretesa subordinata dell’attore. Resta priva di rilievo, a tal fine, la circostanza, valorizzata dall’attore, circa il fatto che le parti siano addivenute alla decisione della compravendita per eliminare le contestazioni e le questioni relative alla riconsegna dei macchinari ed attrezzature oggetto dei contratti di affitto, la cui individuazione e reperimento, era divenuto complesso. Tale è, infatti, solo il motivo della operazione commerciale a monte posta in essere, ma che prescinde dalle ragioni creditorie, liquide ed esigibili, che si sono determinate in capo alle convenute a seguito della realizzazione della vendita e che hanno formato oggetto della compensazione impugnata. La compensazione, in altre parole, si è determinata per effetto della sussistenza di un credito da corrispettivo della vendita e non ha riguardato in alcun modo le ragioni per cui tale vendita è stata conclusa. Fatte tali premesse, va pertanto rigettata la domanda attorea in quanto avente ad oggetto una compensazione legale, non revocabile”.

3.2.3. Sarebbe stato, dunque, onere del fallimento ricorrente – onde suffragare adeguatamente la propria contestazione sul fatto che i motivi di gravame avevano investito anche questa parte della sentenza di primo grado gravata ed evitare di incorrere in un vizio di genericità del motivo per il mancato rispetto del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – non solo sostenere di aver ritualmente impugnato anche questa parte della menzionata pronuncia, ma anche indicare elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare l’effettiva portata dell’impugnazione proposta, senza compiere generali verifiche degli atti.

3.2.4. Invero, la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè, però, lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni ed i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr., ex multis, Cass., SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 7499 del 2019; Cass. n. 2771 del 2017; Cass. n. 19410 del 2015).

3.2.5. In particolare, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 112 c.p.c. (nel caso di specie per il mancato esame di un motivo di appello proposto), egli deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati all’interno dell’atto di gravame (cfr. Cass. n. 7499 del 2019; Cass. n. 7371 del 2018; Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 9734 del 2004. Si vedano, anche, Cass. n. 17049 del 2015, secondo cui “E’ inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte”, nonchè Cass. n. 20694 del 2018 e Cass. n. 2038 del 2019, per le quali “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio”).

3.3. Il fallimento odierno ricorrente, dunque, avrebbe dovuto accompagnare la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, posto che questa Corte non è legittimata a procedere ad una autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi (cfr. Cass., SU, n. 20181 del 2019).

3.3.1. Ciò, però, non è avvenuto adeguatamente, – con conseguente inammissibilità della censura per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – rivelandosi affatto insufficiente allo scopo la parziale riproduzione dell’atto di appello contenuta a pagina 24 del ricorso, vieppiù perchè, stante lo specifico rigetto in primo grado di questa domanda, la CO.M.I. Compagnia Metalmeccanica Investimenti s.r.l. e la Nuova I.M.I.C. s.r.l. in liquidazione hanno dedotto (cfr. pag. 19 del loro controricorso) che, in parte qua, la decisione di prime cure è passata in giudicato per omessa impugnazione.

3.4. A tanto va aggiunto, peraltro, che l’affermazione della corte distrettuale (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) circa “la piena legittimità dell’operazione di compensazione eseguita dalla (OMISSIS) s.r.l. nel suo complesso” in ragione del fatto che “la compensazione legale è ammessa anche in sede fallimentare ai sensi del disposto di cui alla L. Fall., art. 56”, non è stata impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè per violazione di legge.

4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile nel suo complesso.

4.1. La Corte di appello di Perugia ha espressamente ritenuto che la compensazione legale è ammessa anche in sede fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 56 (cfr. pag. 6 dell’impugnata sentenza), e tale convincimento è pure conforme a diritto (cfr. Cass. n. 6558 del 1997; Cass. n. 13658 del 2014), evidentemente perchè la compensazione suddetta non ha natura negoziale piuttosto costituendo un effetto del negozio che ne ha posto le premesse.

4.2. La doglianza in esame, invece, ascrivendo a quella corte un omesso esame di pretese circostanze controverse e decisive, ne fa derivare, poi, una violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, nella misura in cui il meccanismo di compensazione di cui alla L. Fall., art. 56 sia il frutto di attività fraudolenta in danno di altri creditori.

4.3. Muovendo, allora, dal rilievo che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 30 ottobre 2014 – riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), nella specie, secondo quanto è dato ricavare dalla pagina 28 del ricorso, l’omesso esame avrebbe riguardato l’anomalia costituita dal fatto che “…i lavori di manutenzione eseguiti dalla società poi fallita sugli immobili di proprietà delle società convenute tra il 1995 ed il 2000 siano stati dalla (OMISSIS) fatturati soltanto molto tempo dopo, alla fine del 2001, dopo aver atteso che le società Comi e Nuova Imic maturassero un contrapposto credito per canoni di locazione, fatturati soltanto nell’imminenza (05.11.02) dell’annotazione della compensazione in contabilità”, e che “sempre il 5 novembre 2002, Comi e Nuova Imic abbiano fatturato gli importi, maturando così un corrispondente credito, relativi alla vendita alla (OMISSIS) dei beni e delle attrezzature oggetto di affitto, che non erano più reperibili nei cantieri e dei quali era divenuta impossibile la restituzione”.

4.3.1. Tali affermazioni, però, lungi dal denunciare l’omesso esame di un “fatto” controverso come in precedenza descritto, – mancando, invero, l’individuazione di una circostanza storica di sicura valenza probatoria cui collegare il vizio denunciato – investono, a ben vedere, il merito dell’intera vicenda come accertato e ponderato dal giudice a quo. In altri termini, si contesta la valutazione del complessivo comportamento delle parti effettuato dalla corte di merito, e si propugna il riconoscimento – però di chiara valenza valutativa, qui, dunque, precluso – che il venire ad esistenza di precisi negozi ed atti giuridici (contratti di locazione e di noleggio, previsione di pagamento anticipato di canoni, autorizzazione alla esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria e di miglioramenti) altro non sarebbe che l’espressione di un chiaro disegno, concepito sin da sette anni prima della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS), finalizzato a far maturare ragioni di credito delle due società concedenti da compensare con il loro debito verso la (OMISSIS) per quei lavori compiuti da tale società sugli immobili.

4.3.2. Si è, pertanto, al cospetto del tentativo della curatela ricorrente di opporre – sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e, per l’effetto, di violazione di legge – una propria e diversa ricostruzione della volontà delle parti a quella effettuata dalla corte umbra, la quale ha privilegiato il tenore della convenzione dell’agosto 2002 (di cui, peraltro, come si è già detto, il ricorso nemmeno riproduce adeguatamente il contenuto) ritenendo fondamentale e sufficiente che, attraverso essa, le parti abbiano inteso addivenire ad una mera ricognizione e confessione di quanto da ciascuna di esse dovuto all’altra, facendo derivare da un siffatto negozio l’effetto legale dell’estinzione per compensazione, fino alla reciproca concorrenza, dei rispettivi crediti/debiti. Tanto, però, non è consentito nel giudizio di legittimità, che non può surrettiziamente trasformarsi in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

5. Inammissibile, infine, è pure il quarto motivo, e ciò per le medesime ragioni (da intendersi qui riprodotte, per intuibili ragioni di sintesi) che hanno condotto all’analoga declaratoria quanto al secondo.

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento Società (OMISSIS) s.r.l., in breve (OMISSIS) s.r.l., al pagamento, nei confronti della costituita parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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