Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25430 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18697/2015 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Gracchi

n. 84, presso lo studio dell’avvocato Giannini Marina, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n.

15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2835/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Cons. Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da T.F. nei confronti della s.p.a. Intesa San Paolo. Tra le parti era intercorso un contratto di conto corrente con apertura di credito garantito da titoli costituiti in pegno presso la banca. Il medesimo conto era funzionale all’esecuzione degli investimenti derivanti da un contratto quadro pure stipulato tra le parti, avente ad oggetto la negoziazione di titoli.

1.1 L’investitore ha richiesto l’accertamento della responsabilità della banca per non aver adempiuto al mandato contenuto nel contratto quadro in quanto, acquistati titoli (OMISSIS), il 7/12/2001, ne aveva venduti una parte, incamerandone il prezzo per ripianare lo scoperto del fido e ne aveva tenuto in pegno i rimanenti invece di venderli e realizzare una somma pari ad oltre il doppio dell’apertura di credito. Poichè il 10/12/2001 veniva intimato al cliente il rientro dall’esposizione ed il conto e il deposito titoli divenivano inoperativi, non era stato possibile vendere i titoli stessi oggetto della garanzia pignoratizia, la cui opzione scadeva a marzo 2002. Nel maggio 2002, all’esito del recesso ad nutum, la banca aveva venduto coercitivamente tutti i titoli posti in garanzia e quelli in custodia, così negando, dopo la scadenza dell’opzione, all’investitore, di realizzare un qualunque prezzo di vendita. Un altro profilo di responsabilità derivava dall’omessa informazione sull’andamento dei titoli (OMISSIS) inizialmente oggetto del pegno, i quali avevano perso tre quarti del loro valore ed avevano determinato l’acquisto dei (OMISSIS) con aumento rilevante dell’esposizione debitoria, cui erano seguite le vicende sopra illustrate. Anche in relazione ai titoli (OMISSIS) era mancata l’informazione tempestiva sulla perdita del loro valore di oltre metà rispetto all’investimento iniziale. Per i gravi inadempimenti descritti al mandato conferito alla banca, l’attore richiedeva la condanna al risarcimento del danno pari al valore dei (OMISSIS) all’atto della sostituzione del pegno oltre ad Euro 300.000 pari al valore dei titoli al momento della costituzione del pegno. In via subordinata veniva richiesta la dichiarazione di nullità della vendita dei titoli e l’accertamento della responsabilità della banca per l’esercizio illegittimo del diritto di ritenzione e la vendita coattiva dei titoli con opzione scaduta, con condanna al risarcimento del danno.

In conclusione, veniva invocata la responsabilità contrattuale da inadempimento al mandato e la violazione dei doveri di protezione del cliente con domanda risarcitoria pari al danno emergente costituito dal mancato realizzo per la vendita intempestiva, oltre al mancato guadagno derivante dall’investimento in titoli di Stato.

1.2. La Corte d’appello ha in primo luogo così ricostruito i complessi rapporti negoziali intercorsi tra le parti: il quadro contrattuale relativo al rapporto dedotto in giudizio si compone di un contratto di c/c di corrispondenza del 5/5/1989; il 25/9/92 viene perfezionato contratto di deposito e amministrazione titoli nonchè di negoziazione (con documento rischi generali e profilazione del cliente come speculativo);il 21/3/2001 viene effettuata la costituzione in pegno con i titoli oggetto del contratto deposito e amministrazione titoli a garanzia di apertura di credito fino alla concorrenza di Lire 510.000.000. I valori iniziali sono stati sostituiti da tre atti di variazione del pegno; il 5/12/2001 interviene l’acquisto titoli (OMISSIS) da parte della banca; il 9/5/2002 viene esercitato il recesso ad nutum con vendita titoli dopo la scadenza dell’opzione.

1.3 Ha, infine rigettato l’impugnazione, per quel che interessa, sulla base delle seguenti affermazioni: il contratto quadro aveva ad oggetto la negoziazione titoli e non la gestione del portafoglio con la conseguenza che le operazioni di acquisto e vendita dovevano seguire ad un ordine del cliente e non poteva essere censurata la negligente conduzione del portafoglio non configurandosi un obbligo per la banca di attivarsi autonomamente ed attuare investimenti al fine di rendere operativo il conto corrente del ricorrente; ex art. 5 del contratto di costituzione del pegno la banca poteva, solo in caso d’inadempimento del debitore, chiedere il pagamento della somma dovuta, e in mancanza vendere i titoli; la banca aveva il potere di esercitare il recesso ad nutum; non è pervenuto alcun ordine scritto di vendita titoli come previsto nel contratto quadro, prima della scadenza dell’opzione; il profilo dell’investitore era di tipo speculativo tanto che all’epoca della vendita era pure un promotore finanziario.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione T.F.. Ha resistito con controricorso la S.P.A Intesa Sanpaolo.

3. Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1362,1375 c.c., l’art. 21 T.U.F. e l’art. 31 Regolamento Consob n. 11522 del 1998 per non aver rilevato il grave inadempimento dell’intermediario alla luce dei documenti depositati in atti, sia in relazione al contenuto del documento rischi generali, sia in relazione all’omessa consegna di diversa modulistica, una volta cambiato l’investimento. Inoltre, viene censurata, anche alla luce della normativa e della giurisprudenza, la effettuata profilatura del rischio dell’investitore. Infine viene dedotto l’inadempimento all’obbligo di diligenza derivante dal mandato stipulato con la banca per non aver venduto i titoli costituiti in pegno quando sarebbe stato redditizia l’operazione.

3.1. La censura non supera il vaglio di ammissibilità perchè attraverso il continuo rinvio ad atti difensivi di parte ed a stralci di motivazione del Tribunale, riproduce tesi difensive affrontate e superate dalla Corte d’Appello senza colpire concretamente le rationes poste a base della pronuncia impugnata. Inoltre la contestazione della valutazione probatoria complessiva effettuata dalla Corte d’Appello sui documenti in atti è inammissibile perchè colpisce il merito della decisione così come l’adombrata censura sul contenuto interpretativo degli impegni contrattuali assunti dalla banca. Infine, in relazione al profilo dell’investitore, anch’esso oggetto d’incensurabile accertamento di fatto, deve rilevarsi, peraltro, che la Corte d’Appello, non ha affermato che il T. doveva definirsi operatore qualificato ma che aveva un’attitudine speculativa, così ritenendo applicabile la disciplina normativa di tutela prevista dal T.U.F., ritenuta, tuttavia, non violata. Anche sotto questo specifico profilo la censura non è centrata, dal momento che il profilo è stato accertato alla luce dell’accertamento di fatto svolto sul contratto e sui documenti in atti. Per quanto riguarda la violazione degli obblighi informativi, la censura è generica e si rivolge ad un profilo sostanzialmente estraneo al thema decidendum della pronuncia impugnata, incentrata sull’accertamento di un lamentato inadempimento derivante da condotte del tutto diverse.

4. Nel secondo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nell’omessa esecuzione dell’ordine di vendita impartito il 7/1/2002. Nel documento riprodotto nel motivo di ricorso è contenuto un sollecito alla banca di dismettere il portafoglio titoli per ricoprire la scopertura del c/c compresi i titoli oggetto di pegno.

4.1. La censura deve essere disattesa. In primo luogo deve rilevarsi che la Corte d’Appello ha preso in esame il documento in esame nel penultimo capoverso della pag. 9 della pronuncia impugnata ed ha spiegato che avendo il contratto quadro ad oggetto la negoziazione di titoli e non la gestione di un portafoglio titoli l’ordine di vendita doveva essere impartito secondo le disposizioni contenute nell’art. 4 del predetto contratto. Ha, pertanto, escluso, che il documento posto a base della censura fosse qualificabile come ordine di vendita dei titoli, secondo il modello contrattualmente imposto. Questa specifica ratio, consistente nella necessità di un ordine specifico di vendita titoli secondo le modalità stabilite nel contratto quadro, coerente con la qualificazione dello stesso come di negoziazione titoli, non è stata oggetto di censura. Non è stato indicato come il documento in questione, contenente un generico sollecito alla dismissione dell’intero portafoglio in una situazione di forte esposizione debitoria, potesse rientrare nel paradigma del citato art. 4, peraltro non esplicitato. Deve aggiungersi, che secondo la non contestata (su questo punto) esposizione dei fatti del controricorrente già nel dicembre 2001, la banca aveva intimato il rientro dalla predetta esposizione debitoria al cliente ed il documento in questione, con interpretazione non sindacabile, perchè attinente al merito della decisione, è stato ritenuto non qualificabile come un ordine attinente all’esecuzione del predetto contratto quadro ma piuttosto come la risposta all’intimazione di ripianamento dello sconfinamento rilevante del cliente, rispetto ad un contratto diverso, ovvero quello di conto corrente con apertura di credito garantita da pegno.

5. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 2697 c.c. per non essere stata ammessa dalla Corte d’Appello la consulenza tecnica d’ufficio rivolta ad operare una corretta e fedele ricostruzione e valutazione del patrimonio titoli del ricorrente.

5.1 La censura è inammissibile perchè la determinazione del giudice del merito in relazione all’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio è incensurabile e nella specie, peraltro, l’istanza viene giustificata del tutto genericamente nell’esposizione del motivo.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 7000 per compensi, Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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