Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25428 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. I, 20/09/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 20/09/2021), n.25428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Q.M., rappr. e dif. dall’avv. Nicoletta Maria Mauro,

mauro.nicolettamaria.ordavvle.legalmail.it, come da procura allegata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Lecce 3.12.2020, n. 1204/2020,

in R.G. 1354/2018;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 15.9.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. Q.M. impugna la sentenza App. Lecce 3.12.2020, n. 1204/2020, in R.G. 1354/2018 di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza Trib. Lecce 23.10.2018 a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte, per quanto qui di interesse, ha dato atto che l’appello era nominalmente circoscritto al lamentato diniego di protezione umanitaria, ma, valutata in termini sostanziali la domanda, ha ripercorso, negandolo, il fondamento nel merito della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), poiché: a) era insussistente un conflitto armato nella zona (Punjab, Pakistan) di provenienza del richiedente, secondo le fonti citate; b) al di là della questione della credibilità della parte (negata da commissione e primo giudice), nemmeno in astratto le ragioni dell’allontanamento (persistenza nella pratica della religione cristiana, pur dopo la morte della fidanzata, con derisione e minacce dei compatrioti) apparivano pertinenti per la concessione della protezione umanitaria, difettando perfino l’allegazione di specifica vulnerabilità e la prova di inserimento lavorativo, restando irrilevante il richiamo – da ultimo – alla pandemia da Covid-19, così non emergendo una sicura compromissione del godimento di diritti fondamentali al rimpatrio coattivo;

3. il ricorrente propone un unico complesso motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. si deducono: a) la omessa considerazione – secondo fonti pur successive alla sentenza impugnata – di dati preoccupanti sulla diffusione ed il difficile contenimento della pandemia in Pakistan, diversamente dal giudizio più tranquillizzante espresso in sentenza, tenuto conto del rapporto EASO 2015 sul deficitario sistema sanitario del paese d’origine, ciò determinando una vulnerabilità meritevole di contrasto con la protezione umanitaria; b) la necessità di un giudizio comparativo che superi il solo raffronto con la integrazione sociale in Italia;

2. il motivo è inammissibile, per eccentricità delle doglianze rispetto alla più complessa motivazione, posto che il riferimento comparativo alla situazione pandemica in Italia e in Pakistan appare essersi aggiunto rispetto ad una premessa solidità di altre circostanze, decisivamente assunte dalla corte a supporto del diniego della protezione umanitaria ed invero non oggetto di alcuna impugnazione; al di là della genericità comunque propria del riferimento (nel quale si omette l’indicazione di una sicura compressione del godimento di elementari diritti alla salute in caso di rimpatrio), oltre che della sua tardività (come materiale istruttorio esaminato dal giudice di merito), osserva invero il Collegio che l’assenza di un’offerta di elementi di diversa vulnerabilità, la giovane età del richiedente (privo di inabilità specifica e dunque idoneo al lavoro), la rete relazionale familiare persistente, la mancanza totale di un percorso d’integrazione sociale e lavorativa (nonostante i 4 anni di permanenza in Italia) e il difetto di conflitto armato nell’area di provenienza costituiscono circostanze integranti una ratio decidendi non idoneamente censurata, così compromettendo l’ammissibilità della doglianza stessa;

3. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per la condanna al cd. doppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

 

 

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