Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25424 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. I, 20/09/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 20/09/2021), n.25424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.A.S., rappr. e dif. dall’avv. Nicoletta Maria Mauro,

mauro.nicolettamaria.ordavvle.legalmail.it, come da procura allegata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Lecce 15.10.2020, n. 4439/2020 in

R.G. 10735/2018;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 15.9.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. O.A.S. impugna il decreto Trib. Lecce 15.10.2020, n. 4439/2020, in R.G. 10735/2018 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di interesse, ha ritenuto infondato il ricorso, poiché: a) i fatti narrati per un verso non risultano attendibili, per la genericità e non credibilità di circostanze non marginali, in ogni caso risolvendosi in timori del tutto impropri rispetto ai canoni della persecuzione, posto che il richiedente non ha dimostrato alcuna connotazione politica della sua condotta, fuggendo dal Togo solo per evitare “i tumulti verificatesi nel suo Paese”; b) la stessa implausibilità condiziona il giudizio negativo sui presupposti della protezione sussidiaria, essendo mancata anche solo la rappresentazione di specifici danni gravi ai sensi delle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, mentre inesistente è il conflitto armato secondo la lett. c) dell’art. cit.; c) non sussistevano condizioni idonee a determinare una situazione di vulnerabilità, non avendo il richiedente avviato un sicuro e stabile percorso d’integrazione sociale (con lavoro invero limitato), così non emergendo una sicura compromissione del godimento di diritti fondamentali al rimpatrio coattivo, stante anche la persistenza in patria di un ampio nucleo familiare e la pregressa occupazione (di saldatore);

3. il ricorrente propone un unico motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, laddove il decreto ha mancato di reperire canali informativi diversi per ricostruire il grado di violenza nel Togo, essendo insufficiente il ricorso alle fonti quali Amnesty International e i report del MAE;

2. l’inammissibilità delle censure proposte dal ricorrente, giustificando la conseguente preliminare reiezione del ricorso, in applicazione del criterio della ragione più liquida, esclude (conf. Cass. 22495/2021) la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione concernente l’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, in conformità ad una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177), seguita dalla rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970);

3. il motivo è inammissibile, per eccentricità delle doglianze rispetto alla più complessa motivazione, posto che essa, nel negare il fondamento delle tre protezioni richieste, fa comunque riferimento, quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), all’assenza di un conflitto armato; la relativa nozione, per indirizzo pacifico, esige una “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12),… interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 20694/2018); orbene, la parte si limita a censurare la menzione, nel decreto, di due fonti, senza però addurne altre, alternative e specifiche ovvero – e soprattutto – almeno rappresentare che, dalla rispettiva consultazione, sarebbe emersa o potuta emergere la descritta situazione di conflitto armato; ne consegue che la censura si sostanzia in un mero, inammissibile, dissenso sulle valutazioni di merito cui è giunta la corte;

4. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per la condanna al cd. doppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

 

 

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