Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25423 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. III, 10/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1929-2018 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO, 7,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MADEO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO SPA, nella sua qualità di procuratore di INTESA

SANPAOLO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, AURELIANA, 2,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO UMBERTO PETRAGLIA, che lo

rappresenta e difende;

SPV PROJECT 1702 SRL CESSIONARIA DEI CREDITI DELLA INTESA SAN PAOLO

SPA, per mezzo della procuratrice speciale BAYVIEW ITALIA SRL,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 108, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO MALIZIA, rappresentata e difesa

dagli avvocati ROBERTO CALABRESE e LAPO GUADALUPI;

– controricorrenti –

e contro

C.C., Z.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3849/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

Fatto

RILEVATO

Che:

Italfondiario S.p.A., in qualità di procuratore mandatario di Intesa Sanpaolo S.p.A., evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, F.F. e C.C. per sentir dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto del 26 giugno 2009 di conferimento nel fondo patrimoniale della porzione immobiliare, in comunione tra i predetti coniugi, deducendo di essere creditrice di F. in forza di un decreto ingiuntivo notificato a quest’ultimo il 16 giugno 2008, per l’importo di Euro 40.139;

si costituivano in giudizio i convenuti eccependo, il F., l’inammissibilità della azione, trattandosi di bene conferito ad un fondo patrimoniale in adempimento di un dovere morale, nonchè l’infondatezza della pretesa e, la C., il difetto di legittimazione passiva e, nel merito, la infondatezza della domanda;

intervenivano volontariamente nel giudizio, Z.F., quale creditore di F. e, Italfondiario S.p.A. nella medesima qualità, proponendo l’azione revocatoria a tutela di un ulteriore credito;

il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 maggio 2016, dopo avere riconosciuto la legittimazione passiva di C.C., accoglieva la domanda revocatoria dichiarando inefficace l’atto di costituzione del fondo patrimoniale nei confronti di Italfondiario e di Z.F., rilevando che il credito dell’attrice e degli intervenuti era costituito da tre decreti ingiuntivi di rilevante importo e che la costituzione del fondo patrimoniale doveva considerarsi a titolo gratuito. Per tale motivo era suscettibile di revocatoria, anche se compiuta dai coniugi. In conseguenza dell’anteriorità dei debiti rispetto all’atto dispositivo e della gratuità di quest’ultimo, l’onere probatorio attenuato riguardava soltanto il periculum damni;

avverso tale decisione proponeva appello, con atto di citazione del 21 luglio 2016, F.F.. Si costituiva, con separati atti, Italfondiario S.p.A. nella qualità, sia di mandatario di Intesa Sanpaolo, che di procuratore di Intesa Sanpaolo, chiedendo il rigetto dell’appello. Rimanevano contumaci C.C. e Z.F.;

all’udienza dell’8 giugno 2017 la Corte d’appello, con sentenza in pari data, rigettava l’impugnazione con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione F.F. affidandosi a quattro motivi che illustra con memoria. Resistono con separati controricorsi SPV Project 1702 s.r.l., quale cessionaria dei crediti di Intesa Sanpaolo S.p.A. e Italfondiario S.p.A. nella qualità di procuratore di Intesa Sanpaolo, che deposita memoria ex art. 380 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 167,168,170,143,1322 e 2901 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale riguardo alla natura gratuita della costituzione del fondo patrimoniale, tale negozio rappresenterebbe uno dei normali mezzi di adempimento dell’obbligo contributivo, in maniera privilegiata, in quanto tipizzato dalla legge come consente l’art. 167 c.c.. L’esigenza di protezione dei bisogni familiari rappresenta il criterio di meritevolezza tipizzato dalla legge. Il riconoscimento particolare riservato dalla Costituzione ai diritti della famiglia, imporrebbe di postergare gli interessi dei creditori rispetto a quelli dei membri della famiglia;

con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1321,1322,1325,2901 e 2967 c.c., oltre che della L. Fall., art. 64 e dell’art. 115 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sarebbe errata l’affermazione della Corte capitolina secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale, per fronteggiare i bisogni della famiglia, sarebbe suscettibile di revocatoria fallimentare salvo che si dimostri l’esistenza di una concreta situazione che integri gli estremi del dovere morale e l’intenzione del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione. Poichè la realizzazione dei bisogni della famiglia integra sempre un dovere morale il fondo patrimoniale si qualifica per tale finalità e dovrebbe non essere suscettibile di revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 64;

con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 1321,1325,1344,2645 ter, 167,2901 e 2697 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte farebbe derivare dalla natura gratuita dell’atto di costituzione tanto l’irrilevanza dell’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo. Dalla recente introduzione della figura della proprietà vincolata disciplinata all’art. 2645 ter c.c. deriverebbe che la destinazione patrimoniale del bene, rispondente allo scopo meritevole di tutela, comporta una deroga all’art. 2740 c.c. in ragione dell’interesse in concreto perseguito. Analogamente, il fondo patrimoniale sarebbe tipizzato dalla legislatore e, nel caso specifico, troverebbe fondamento nella presenza di due figli minori per assolvere la funzione solidaristica;

con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 riguardo al profilo dell’anteriorità dell’atto di disposizione rispetto al credito oggetto dei decreti ingiuntivi. Controparte non avrebbe fornito la prova che la posizione debitoria era maturata prima della costituzione del fondo patrimoniale giacchè quest’ultima era stata trascritta due anni prima dell’emissione delle ingiunzioni di pagamento;

i primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi attenendo alla natura giuridica del fondo patrimoniale costituito per fronteggiare i bisogni della famiglia. Le doglianze sono infondate, reiterandosi in questa sede le medesime considerazioni oggetto dei motivi di appello e prospettando una ricostruzione differente rispetto al consolidato e ultradecennale orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia. A riguardo va ribadito che per pacifica giurisprudenza di questa Corte l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito e come tale soggetto ad azione revocatoria ordinaria (sensi dell’art. 2901 c.c., a condizione che sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori;

in particolare, la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sè, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma della L. Fall., art. 64, salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del “solvens” di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017, n. 19029 del 2013 e n. 2530 del 2015);

negli stessi termini, come già rilevato dalla Corte territoriale, è stato precisato che l’istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sè, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura – ai fini della revocatoria ordinaria – un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti (Sez. 3 -, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017 (Rv. 645384 – 03);

sotto altro profilo parte ricorrente non si preoccupa di precisare, allegare e documentare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il momento processuale nel quale sarebbe stata proposta l’eccezione tesa ad inibire l’applicazione della L. Fall., art. 64. Infatti, (Sez. 1 -, Ordinanza n. 8978 del 29/03/2019 (Rv. 653241 – 01) in tema di azione revocatoria degli atti a titolo gratuito, incombe sul curatore la prova della gratuità dell’atto e del compimento nel periodo sospetto, mentre grava sulla controparte l’onere di dimostrare i presupposti per l’applicazione dell’esimente della proporzionalità degli atti rispetto al patrimonio, che ha natura di eccezione in senso stretto da proporre, a pena di decadenza, nei termini preclusivi previsti dal codice di rito;

quanto poi al terzo motivo va richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui nei casi in cui il fondo patrimoniale sia costituito successivamente all’assunzione del debito è sufficiente il presupposto della scientia damni quale consapevolezza da parte del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (Cass. n. 13343 del 2015);

analogamente infondate sono le doglianze oggetto del quarto motivo per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, la Corte territoriale adotta due autonome motivazioni per rigettare la medesima questione sottoposta al suo esame. Rileva che la censura riguardante la contestata anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo era stata formulata “in modo del tutto generico, senza contrastare in modo efficace le affermazioni del primo giudice, si che non si ravvisano elementi per modificare la decisione adottata dal Tribunale”. Tale prima argomentazione non è stata contrastata efficacemente in questa sede e rende inammissibile per difetto di interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c. la doglianza. D’altra parte, anche in questa sede, dallo stesso contenuto del ricorso emerge l’anteriorità del decreto ingiuntivo del 17 maggio 2008 relativo al credito di Euro 40.139 rispetto all’atto di costituzione del fondo per i bisogni della famiglia del 23 giugno 2009. In ogni caso, la Corte territoriale ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui occorre fare riferimento al momento della insorgenza del credito, necessariamente precedente la data del decreto ingiuntivo, perchè l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicchè anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 22/03/2016, Rv. 639291 – 01). Pertanto occorre fare riferimento all’obbligazione contrattuale posta a sostegno del decreto ingiuntivo n. 8275 del 17 maggio 2008 al fine di verificare in quale precedente data Italfondiario aveva erogato le somme in favore di F.;

in questi termini si è espressa reiteratamente la giurisprudenza di legittimità ribadendo che il credito non sorge nel momento dell’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti dei fideiussori, ma al momento in cui è venuta ad esistenza l’obbligazione restitutoria del debitore principale nei confronti dell’istituto di credito (Cass. n. 6113/2017);

su tali profili ricorre, altresì, un’evidente violazione dell’art. 366, n. 6 c.p.c. non avendo parte ricorrente in alcun modo documentato la causa petendi di quel credito, al fine di rappresentare una realtà probatoria differente rispetto a quella posta a sostegno delle decisioni di merito;

quanto alla posizione di SPV occorre rilevare la inammissibilità del controricorso con il quale la società interviene quale cessionaria del credito di Intesa Sanpaolo e ciò in applicazione analogica di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa corte riguardo alla posizione del creditore ammesso al passivo che ricorra per cassazione e successivamente ceda il credito a terzi (Sez. U, Sentenza n. 5944 del 24/03/2016, Rv. 638989 – 01);

si deve dare continuità al costante orientamento di questa Corte per il quale è inammissibile l’intervento proposto dal terzo direttamente in sede di legittimità (cfr. Cass. 11/05/2010, n. 11375), mancando al riguardo una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma (in senso conforme si vedano, ex aliis, anche Cass. Sez. Un. 27466/2016 in motivazione, Cass. 27/12/2016, n. 27044; Cass. 23/03/2016, n. 5759; 19/02/2015 n. 3336; 30/05/2014, n. 12179; 07/04/2011, n. 7986);

con riguardo all’ammissibilità dell’intervento nel giudizio di legittimità esiste un orientamento costante di questa Corte secondo cui sono soggetti del giudizio di cassazione unicamente coloro che furono parti dei giudizi precedenti (fra le molte, Cass. civ., sez. VI, n. 7467/2017; Cass. civ., sez. I, n. 17974/2015; Cass. civ., sez. lav., n. 6348/2009; Cass. civ., Sez. Un., n. 9753/1994). Da ciò si fa discendere la conseguenza dell’inammissibilità dell’intervento di soggetti che non furono parti in tali giudizi precedenti, difettando la loro legittimazione, senza che, in proposito, si ponga come fondata una questione di legittimità costituzionale: Cass. civ., Sez. Un., n. 1245/2004; Cass. civ., sez. II, n. 5126/1999;

un fattispecie parzialmente differente è quella dell’intervento effettuato dal successore a titolo particolare nel diritto controverso, attraverso una iniziativa non avente lo scopo di sostenere o aderire alla posizione sostanziale e processuale della parte già presente nel processo, ma per esercitare una legittimazione propria, derivatagli dall’acquisto di diritti e obblighi ceduti dal titolare originario. La giurisprudenza di legittimità riconosce la legittimazione conseguente alla successione derivativa, affermando che ciò costituisce titolo per la proposizione autonoma del ricorso per cassazione avverso la decisione di merito, ma non anche per l’intervento nel giudizio di legittimità;

l’orientamento di legittimità in tema di inammissibilità dell’intervento è risalente (prende le mosse da Cass. n. 954 del 1967, ma trova la prima decisione argomentata sul punto in Cass. n. 5606 del 1979). Ad accezione di una isolata decisione (Cass. civ., sez. I, n. 10598/2005) relativa all’ipotesi di intervento adesivo del terzo (per il quale si è affermato che non sussiste alcuna preclusione all’intervento), l’orientamento di questa Corte è sostanzialmente consolidato ed omogeneo;

il principio trova deroga nell’unica ipotesi in cui l’applicazione rigida della regola dell’inammissibilità dell’intervento nel giudizio di cassazione determinerebbe un’eccessiva limitazione dell’esercizio del diritto di difesa. Così si è affermato che, nel giudizio di cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso il decreto di liquidazione del suo compenso, è ammissibile l’intervento dell’assuntore del concordato che sia subentrato nelle posizioni obbligatorie del debitore originario, in quanto successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. civ., sez. I, n. 18967/2013). La posizione sostanziale del terzo, quale unico soggetto ancora interessato alla sorte del processo, ha consentito di adeguare al caso concreto la regola dell’inammissibilità dell’intervento. L’ipotesi è quella del successore a titolo particolare che assume interamente la posizione del suo dante causa. Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2016, n. 11638, ha chiarito che il successore a titolo particolare può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa (diversamente al terzo sarebbe di fatto precluso il diritto di difesa). Negli stessi termini, e più di recente, si è affermato che la possibilità del successore ex art. 111 c.p.c. di intervenire nel giudizio di legittimità deve essere riconosciuta nell’ipotesi di mancata costituzione del dante causa, ai fini dell’esercizio del potere d’azione derivante dall’acquistata titolarità del diritto controverso, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa (Sez. 5 -, Ordinanza n. 33444 del 27/12/2018, Rv. 652035 – 01), la regola generale dell’inammissibilità dell’intervento del terzo trae fondamento dalla mancanza di una espressa previsione normativa relativa al giudizio di legittimità, che consenta al terzo di partecipare come interventore volontario al giudizio davanti alla Corte, con facoltà di esplicare difese e assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, cioè quelle che hanno partecipato al giudizio di merito. Si vedano, ad esempio, Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2005, n. 10215;

accanto a tale argomentazione, che valorizza la peculiarità del procedimento di legittimità, si accompagna, in maniera quasi tralatizia, l’affermazione secondo cui l’art. 105 c.p.c. troverebbe applicazione soltanto al giudizio di cognizione di primo grado, perchè compreso nel titolo IV del libro primo dello stesso codice relativo all’esercizio dell’azione – riferibile esclusivamente al processo di cognizione di primo grado; questo assunto troverebbe fondamento nel dettato dell’art. 344 c.p.c., che non consente l’intervento in appello, con l’eccezione della legittimazione riconosciuta ai terzi che potrebbero proporre opposizione di terzo. Il sistema normativo sarebbe pertanto coerente, in un quadro ispirato all’esigenza che il processo inizi per quanto possibile tra i soggetti interessati e legittimati e proceda, poi, riducendosi al minimo le eventualità di variazioni nell’individuazione delle parti;

questa Corte intende dare continuità all’orientamento che precede affermando il seguente principio di diritto: è inammissibile l’intervento nel giudizio di legittimità di soggetti che non furono parti nei precedenti procedimenti, attesa la mancanza di una espressa previsione normativa riferita al giudizio di legittimità e per la peculiarità di tale ultimo procedimento. La legittimità di una limitazione di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, con l’eccezione generale dell’ipotesi di successione ex art. 111 c.p.c., nella quale è consentito intervenire anche nel giudizio di legittimità, ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza nei rapporti tra F.F. e Italfondiario S.p.A., mentre a causa dell’inammissibilità dell’intervento di SPV Project 1702 srl, vanno compensate le spese nei rapporti tra tale società e il ricorrente. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente Italfondiario S.p.A, liquidandole in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e compensa quelle nei rapporti tra il ricorrente e SPV Project 1702 srl.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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