Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25420 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25420 Anno 2013
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 4804-2008 proposto da:
RONCELLA

ANTONIO

RNCNTN28A17B496C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 19, presso lo
studio dell’avvocato RIITANO BRUNO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato RIITANO ADOLFO
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

1857

COMUNE ROMA, in persona del Commissario straordinario
pro tempore dott.

MARIO MORCONE,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE, 21,

1

Data pubblicazione: 12/11/2013

presso lo studio dell’avvocato MURRA RODOLFO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1995/2006 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, SEZIONE SPECIALIZZATA AGRARIA, depositata il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/10/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato BRUNO RIITANO;
udito l’Avvocato RODOLFO MURRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
raccoglimento dei primi tre motivi di ricorso,
assorbito il quarto.

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09/02/2007 R.G.N. 2739/2004;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l. Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata agraria,
rigettava la domanda di affrancazione proposta da Antonio
Roncella nei confronti del Comune di Roma.
2. La Corte d’appello di Roma, Sezione specializzata

proposto dalla parte soccombente, che condannava al pagamento
delle ulteriori spese del grado.
Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora
interessa in questa sede, che il rapporto agrario
intercorrente tra le parti era un ordinario contratto di
affitto agrario, non rientrante in quello di miglioria per il
quale l’art. l della legge 25 febbraio 1963, n. 327, consente

agraria, con sentenza del 9 febbraio 2007, rigettava l’appello

93(–la possibilità dell’affrancazione. Secondo tale norma,
infatti, sono da inquadrare nella figura del contratto di
miglioria i rapporti nei quali il coltivatore abbia apportato
al fondo dei miglioramenti con impianto di colture arboree o
arbustive. Nel caso specifico, invece, le uniche migliorie
contrattualmente stabilite consistevano nella sterpatura,
spurgo dei fossi e sistemazione delle strade esistenti,
trattandosi di fondo che si trovava in buono stato locativo;
si trattava, cioè, di una specificazione del generico obbligo
del coltivatore di attenersi alla buona tecnica agraria. Nel
contratto, poi, era espressamente previsto che il concedente
riservava a sé la facoltà di eseguire miglioramenti a proprie
spese, mentre era vietato al conduttore di compiere
3

miglioramenti senza il consenso del proprietario. Dall’insieme
di tali elementi risultava, perciò, l’impossibilità di
applicare la norma che consentiva al conduttore di esercitare
il diritto di affrancazione.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma

motivi.
Resiste il Comune di Roma con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 e 1647 cod.
civ., nonché dell’art. 1 della legge n. 327 del 1963, della
legge 11 giugno 1925, n. 998, oltre ad omessa e
contraddittoria motivazione.
Rileva il ricorrente che la Corte d’appello, dopo aver
correttamente richiamato l’art. l della legge n. 327 del 1963,
non ne avrebbe poi fatto una corretta applicazione, sul
rilievo che esso si applichi solo ai rapporti nei quali il
miglioramento è presupposto per la coltivazione del fondo.
Tale interpretazione sarebbe illegittima, perché la norma del
1963 si limita a prevedere il diritto di affrancazione in
favore dell’affittuario che ha compiuto le migliorie, senza
prevedere che il miglioramento sia da considerare come un
presupposto.
1.1. Il motivo non è fondato.
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propone ricorso il Roncella, con atto affidato a quattro

Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il
legislatore ha definito con disposizione tassativa il tipo di
migliorie necessarie affinché un rapporto ultratrentennale (di
quelli in uso nelle Province del Lazio) possa essere
considerato “a miglioria” e dichiarato perpetuo,

con

secondo comma, della legge n. 327 del 1963, è necessario che
il coltivatore abbia impiantato nel terreno delle «colture
arboree o arbustive», con o senza fabbricati rurali, o
provvedendovi direttamente con propria spesa o pagandone il
valore al precedente coltivatore, al quale sia subentrato. Non
possono considerarsi idonee, al riguardo, le generiche
attività di miglioramento quali il livellamento, lo scasso ed
il dissodamento del terreno (sentenze 3 aprile 1996, n. 3079,
e 18 luglio 1997, n. 6631).
Più di recente, poi,

questa Corte ha chiarito

richiamando sul punto la sentenza della Corte costituzionale
n. 53 del 1974 – che il rapporto di miglioria presuppone che
il fondo venga concesso incolto e nudo, cioè privo di
soprassuoli, affinché il coltivatore vi immetta le colture
necessarie ad accrescere la produttività del bene.
1.2. La sentenza della Corte romana si è attenuta ai
principi ora richiamati ed ha fornito, a sostegno, una serie
di argomentazioni che dimostrano l’evidente infondatezza del
motivo in esame.

5

conseguente diritto all’affrancazione. A norma dell’art. l,

00_,

La pronuncia, infatti, con motivazione correttamente
argomentata e priva di vizi logici, dopo aver osservato che la
norma speciale sopra richiamata si applica solo a quei
contratti nei quali la miglioria rappresenta la causa del
negozio, ha rilevato che nel caso di specie il rapporto

ordinario contratto di affitto agrario. Le uniche migliorie a
cui

era

tenuto

l’affittuario

non

erano

altro

che

specificazione dell’obbligo di attenersi alle regole della
buona tecnica agraria, tanto più che il fondo si presentava nel momento dell’immissione in possesso del padre dell’odierno
ricorrente – in buono stato locativo. Oltre a ciò, la Corte
territoriale ha avuto cura di precisare che l’art. 11 del
contratto intercorso fra le parti vietava al conduttore di
eseguire

opere

migliorative

senza

il

consenso

del

proprietario.
È evidente, dunque, alla luce dei precedenti di questa
Corte e dell’accurata ricostruzione in fatto operata dal
giudice di merito, che non sussiste alcuna violazione delle
norme invocate col motivo in esame, in quanto il contratto in
oggetto difettava proprio dei requisiti che sono
indispensabili

ai

fini

dell’inquadramento nella

norma

dell’art. l della legge n. 327 del 1963.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1633 cod.
6

intercorrente fra il Roncella ed il Comune di Roma era un

‘\AA-•

civ., applicabile alla fattispecie ancorché successivamente
abrogato, nonché del capitolato generale per l’affitto a
miglioria dei fondi rustici dell’agro romano, oltre ad omessa
motivazione in ordine alla c.t.u. relativa a fatti decisivi
per il giudizio.

che a carico dell’affittuario sussistessero solo alcuni
obblighi marginali di miglioria, non avrebbe tenuto conto
delle risultanze della c.t.u., dalla quale emergeva che i
miglioramenti eseguiti erano ben altri, che esulavano dal
concetto di normale coltivazione del fondo. In considerazione
delle profonde modifiche intervenute nella lavorazione
agricola dal 1945 – anno di inizio del rapporto – fino ad
oggi, risulterebbe evidente che i miglioramenti eseguiti dal
Roncella non furono frutto di arbitrio, per cui il contratto
doveva ritenersi superato dalla successiva legislazione
regolatrice della materia.
2.1. Il motivo non è fondato.
Anche volendo tralasciare il dato formale per cui il
quesito di diritto posto a sostegno del motivo è ai limiti
dell’inammissibilità – perché prende in considerazione la sola
argomentazione per cui la miglioria realizzata costituirebbe
inadempimento, mentre la motivazione della sentenza impugnata
è molto più ampia – il motivo è formulato in modo da non
rispettare l’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e

7

Osserva il ricorrente che la Corte dì merito, nel ritenere

si risolve nel tentativo di ottenere da questa Corte un nuovo
esame del merito.
Da un lato, infatti, il ricorrente sostiene che il giudice
di merito non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione le
conclusioni della relazione svolta dal c.t.u., ma non si

documento sarebbe favorevole alla sua tesi. Da un altro lato,
poi, il motivo in esame si traduce, dietro lo schermo della
censura di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc.
civ., nell’evidente tentativo di mettere ancora in discussione
le prove raccolte, affermando di aver compiuto le migliorie
che la sentenza impugnata ha escluso e lamentando che il
rigetto della domanda deriverebbe, tra l’altro, dalla mancata
considerazione delle profonde innovazioni nelle tecniche
agricole che sono intervenute dal momento in cui il contratto
ha avuto inizio.
Si tratta, come si vede, di censure che pongono a questa
Corte una serie di considerazioni del tutto estranee al
giudizio di legittimità.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omessa
motivazione circa la mancata ammissione di prova testimoniale
vertente su circostanze decisive per il giudizio.
Rileva in proposito il ricorrente che la Corte d’appello
non avrebbe in alcun modo motivato circa la mancata ammissione

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preoccupa né di riportarle né di indicare dove e perché tale

di prova testimoniale su specifico capitolato, trattandosi di
circostanze tutte decisive ai fini del giudizio.
3.1. Il motivo è infondato.
Anche volendo trascurare il fatto che il ricorso – pur
trascrivendo i capitoli di prova dei quali dichiara di aver

tale prova testimoniale sarebbe stata richiesta, va ribadito
che il giudizio sulla rilevanza delle prove e la conseguente
ammissione delle stesse è compito tipico del giudice di
merito, non sindacabile in questa sede se non sotto il profilo
dell’astratta decisività della prova omessa (sentenza 17
maggio 2007, n. 11457). Ed è evidente, nel caso in esame, che
il capitolato trascritto riveste aspetti marginali rispetto al
punto centrale del ricorso.
4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1374 e
1375 cod. civ., oltre ad omessa motivazione sul comportamento
complessivo delle parti, anche in ordine al capitolato
generale per l’affitto a miglioria dei fondi rustici dell’agro
romano.
Si osserva, in proposito, che la Corte territoriale
avrebbe omesso di valutare il comportamento delle parti alla
luce del criterio generale della buona fede. Ciò in quanto il
contratto obbligava l’affittuario a tutte le conseguenze che

9

chiesto l’ammissione – non si cura di precisare dove e quando

ne derivavano secondo gli usi e l’equità, comportamento che il
Roncella aveva sempre scrupolosamente osservato.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, contiene un generico rilievo a presunte
omissione della Corte d’appello nella valutazione del

invocando il contenuto del contratto intercorso fra le parti.
Come questa Corte ha più volte insegnato, il novellato
art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., oltre a
richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti
posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in
quale sede processuale il documento, pur individuato in
ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione postula
che si individui dove il documento sia stato prodotto nelle
fasi di merito e, in ragione dell’art. 369, secondo comma, n.
4), cod. proc. civ., anche che esso sia stato prodotto in sede
di legittimità (Sezioni Unite, sentenza 2 dicembre 2008, n.
28547, nonché ordinanza 25 marzo 2010, n. 7161). Il ricorso
nulla dice sul punto, né spiega se e dove il contratto sia
stato prodotto in sede di legittimità.
Oltre a ciò, si deve rilevare che il quesito di diritto
formulato a conclusione del motivo è inammissibile,
risolvendosi nella prospettazione di un profilo di merito del
tutto estraneo al giudizio di legittimità

(se il comportamento

complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del

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comportamento complessivo delle parti secondo buona fede,

contratto, è conforme a buona fede ed è in esecuzione a quanto
generalmente si pratica nell’agro romano, p. 21 del ricorso).
È evidente, infatti, che la sussistenza della buona fede è
valutazione del giudice di merito, e comunque la prova
positiva su questo punto non implica, di per sé, che

l’esercizio dell’affrancazione.
5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

rigetta

il ricorso e condanna i ricorrenti, in

solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi euro 4.700, di cui euro 200 per
spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 9 ottobre 2013.

sussistano anche le altre condizioni necessarie per

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