Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25418 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25418 Anno 2013
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 30651-2007 proposto da:
BUNDONE ANGELO BNDTMS58S15G0460,

BUNDONE TOMASO

BNDNGL65R02G064K, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA UGO BARTOLOMEI 18, presso lo studio dell’avvocato
MICHELI ELISABETTA, rappresentati e difesi
dall’avvocato PORRI VARESCO giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

TOSCOAGRICOLA DI PALA ELVASIO & C. S.A.S.00119860492
in persona del socio accomandatario e legale
rappresentante

PALA

ELVASIO,

1

elettivamente

Data pubblicazione: 12/11/2013

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso
lo studio dell’avvocato ROMANO CESAREO GERARDO, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
VILLAGROSSI CLARA giusta delega in atti;
– controricorrente

di FIRENZE, SEZIONE AGRARIA, depositata il
25/07/2007, R.G.N. 658/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/10/2013 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

avverso la sentenza n. 963/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 21.12.2006, il Tribunale di Livorno,
sez. specializzata agraria – decidendo nella controversia
insorta tra la Toscoagricola di Pala Elvasio & C. s.a.s. e
Tommaso e Angelo Bundone in ordine al contratto di soccida
stipulato in data 10.09.1990 e al successivo

contratto di affitto in data 11.11.1990 – rigettava la domanda
della società Toscoagricola intesa alla dichiarazione della
nullità del contratto di soccida del 10.09.1990, mentre
accoglieva la subordinata tesi dell’intervenuta riconduzione
del suddetto contratto di soccida ad affitto ai sensi
dell’art. 27 della legge n. 203/1082; dichiarava, quindi, la
cessazione dello stesso contratto, così come ricondotto ad
affitto, nonchè del contratto di affitto stipulato dalle parti
in data 11.11.1990; rigettava, inoltre, la domanda proposta in
via riconvenzionale dai Bundone intesa alla restituzione di
maggiori somme pagate in forza del contratto di soccida
rispetto a quelle spettanti a titolo di canone di affitto;
condannava i Bundone al pagamento delle spese processuali.
La decisione, gravata da impugnazione di Tommaso e Angelo
Bundone, era riformata limitatamente alla regolazione delle
spese con sentenza in data 25.09.2007, con la quale la Corte
di appello di Firenze, sez. specializzata agraria„ in
parziale accoglimento dell’appello, compensava le spese del
primo grado, comprese quelle di c.t.u. e, per l’effetto,
condannava la Toscoagricola s.a.s. a restituire agli
appellanti C 17.765,75; compensava le spese dell’appello.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per

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inter partes

cassazione Tommaso e Angelo Bundone, svolgendo due motivi.
Ha

resistito

la

Toscoagricola

s.a.s.,

depositando

controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Intervenuto il giudicato sul punto della riconduzione

dello stesso contratto, unitamente al successivo contratto di
affitto, la controversia è incentrata sulla pretesa di
restituzione, avanzata in via riconvenzionale dagli odierni
ricorrenti, di maggiori somme che si assumono corrisposte in
virtù dell’originaria convenzione di soccida,

sub specie di

partecipazione agli utili dell’allevamento e agli incrementi
del bestiame, rispetto a quelle che (in tesi) avrebbe dovuto
essere versate, in difetto di un canone pattizio, in base ai
valori di mercato.
Al riguardo la Corte territoriale

condividendo le

conclusioni del primo giudice in punto di diniego della
pretesa di ripetizione di indebito – ha evidenziato, da un
lato, che il canone convenuto dalle parti con separato
contratto in data 11.11.1990, non poteva essere assunto come
termine di rifermento del corrispettivo dell’originario
contratto di soccida del 10.09.1990, ricondotto ad affitto
(giacche quest’ultimo non comprendeva il pieno godimento della
porzione concessa in data 11.11.1990) e, dall’altro, che,
ferma l’operatività ex lege

(quanto alla durata e agli altri

profili del rapporto) della riconduzione della soccida
all’affitto ai sensi dell’art. 27 della legge n. 203 del 1982,
restava preclusa la (ri)determinazione di un canone “equo”,

4

del contratto di soccida in affitto, nonchè sulla cessazione

per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della
relativa disciplina con sentenza della Corte costituzionale
n.318/2002 intervenuta nelle more del processo.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
o falsa applicazione dell’art. 27 L. n. 203/1982 (art. 360 n.3

mercato del fondo in oggetto e avere, quindi, ritenuto
applicabile il canone pattizio, convenuto in relazione al
convertito contratto di soccida. Il motivo si conclude con il
seguente quesito: «si può applicare (ed è conforme all’art. 27
L. 203 del 1982) al contratto di soccida con conferimento di
pascolo ricondotto all’affitto ai sensi dell’art. 27 L. 203
del 1982, la clausola che nel suddetto contratto di soccida
regolamentava la ripartizione degli utili dell’impresa
associativa comune

(di soccida), determinando così un canone

di affitto ed una corrispondente prestazione di pagamento
dell’affittuario (ex soccidario) di identico eguale valore
alla quota di utili che spettava al soccidante in virtù del
ricondotto contratto di soccida, senza violare l’art. 27 L.
203 del 1982, che impone, nel caso di difformità dallo schema
legale dell’affitto della clausola relativa alla prestazione
(come erroneamente ritenuta dal Giudice di secondo grado,
quella clausola che nell’originario contratto di soccida,
prevedeva, come sopra detto specificamente al punto 6 del
contratto in atti – doc. n. 1 della soc. Toscoagricola in 1 0
grado “di dividere mensilmente al 50% gli utili
dell’allevamento ed in ugual misura il bestiame incrementato
alla fine del contratto”) di sostituire quella clausola con

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cod. proc. civ.) per non avere determinato il canone di

quella prevista per lo schema dell’affitto

e

che prevede

(necessariamente) il pagamento di un canone?».
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia
motivazione illogica e contraddittoria circa la determinazione
e/o il ritenuto canone del contratto ad affitto: e ciò, vuoi,

durata, allo schema del contratto di affitto,

“imponendo”,

invece, quanto al canone, il corrispettivo mutuato dal
contratto di soccida, vuoi, ancora, per avere fatto
applicazione, della sentenza della Corte Costituzionale n.
318/2002 al periodo 1990/1995, antecedente alla pronuncia di
incostituzionalità, sebbene la normativa in materia di “equo
affitto” di cui agli artt. 9 e 62 legge n. 203/1982 avesse in
precedenza superato il vaglio di costituzionalità. A
conclusione del motivo parte ricorrente indica ai sensi
dell’art. 366 bis cod. proc. civ.

«quale fatto controverso in

relazione al quale la motivazione si assume illogica e
contraddittoria, la determinazione per il periodo 1990-1995,
del canone annuale relativo al ricondotto contratto di
affitto, al fini del raffronto, per le eventuali restituzioni,
con le eventuali maggiori somme pagate, in detto periodo, in
forza del differente contratto di soccida con conferimento di
pascolo ricondotto ad affitto».
2. I motivi di ricorso sollecitano, per la loro stretta
connessione, una trattazione unitaria. In particolare il
secondo motivo – pur formulato con riferimento al n.5
dell’art. 360 cod. proc. civ. e formalmente enunciando un c.d.
quesito di fatto

(«chiara indicazione» richiesta dall’art. 366

6

per avere la Corte di appello fatto riferimento, quanto alla

bis

cod. proc. civ. del

«fatto controverso») –

nella sostanza, la medesima

questio iuris,

ripropone,

sottesa al primo

motivo, della pretesa “incompatibilità” della clausola
determinativa della partecipazione agli utili con il contratto
di affitto e della conseguente necessità di rideterminazione

dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza
n.318/2002 sia temporalmente inapplicabile alla controversia
all’esame.
D’altra parte

il

controllo della Cassazione

sulla

motivazione si riferisce alla sola giustificazione del
giudizio di fatto, perché quello sul giudizio di diritto
rientra nel n. 3 del citato art. 360, posto che, nell’ipotesi
in cui investe la motivazione di diritto, il vizio può dare
luogo alla sola correzione della decisione ai sensi dell’art.
384 dello stesso codice; con la conseguenza che le censure in
oggetto, sotto il profilo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc.
civ., risultano inammissibili.
2.1. Ciò precisato, ritiene il Collegio che le suesposte
censure non meritino accoglimento neppure sotto il profilo
della violazione di legge.
Invero la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
di principi acquisiti nella giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui in tema di contratti agrari, all’esito della
declaratoria d’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 62
legge n. 203 del 1982 (e delle norme dalle prime richiamate) a
seguito della sentenza n. 138 del 2002 della Corte Cost. sono
divenute prive d’effetto le tabelle per i canoni d’equo

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del canone equo, prospettando a margine il rilievo che la

affitto e i redditi dominicali stabiliti, per effetto del
suindicato art. 62 legge n. 203 del 1982, a norma del R.D.L.
n. 589 del 1939, con la conseguenza che risultano legittimi,
in mancanza di previsione normativa di livelli massimi
d’equità (non potendo al riguardo nemmeno prospettarsi una

legge n. 567 del 1962, a suo tempo abrogata, per
incompatibilità, ai sensi dell’art. 58, secondo comma, legge
n. 203 del 1982), gli accordi liberamente intervenuti tra le
parti anche senza l’assistenza delle rispettive
in ordine alla determinazione

organizzazioni di categoria

del canone d’affitto, e risulta conseguentemente priva di
fondamento normativo la domanda di ripetizione,

ex art. 28

legge n. 11 del 1971, delle somme corrisposte in eccedenza a
detti livelli (Cass. 20 dicembre 2004, n. 23628). Ne consegue,
altresì, che deve ritenersi precluso al giudice sia l’esame,
nel merito, di domande formulate ai sensi dell’art. 28 della
legge 11 febbraio 1971, n. 11, allorché dirette ad ottenere la
restituzione di somme pagate dal conduttore oltre i “livelli
massimi di equità”, sia l’esame (né per essere accolte perché
fondate, né per essere rigettate in assenza dei relativi
requisiti o per essere dichiarate precluse per intervenuta
decadenza) di eventuali domande

comunque denominate

avanzate in forza dell’art. 7 della legge 12 giugno 1962, n.
567 (Cass. 19 aprile 2010, n. 9266; Cfr. anche Cass. 19
novembre 2007, n. 23931).
2.2. Va altresì considerato che le sentenze di accoglimento
di un’eccezione di legittimità costituzionale pronunciate

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“riviviscenza” della norma di cui all’art. l, commi due e ss.,

dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con
l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il
relativo rapporto definitivamente esaurito. Possono, peraltro,
legittimamente ritenersi “esauriti” i soli rapporti rispetto
ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il

non anche quelli scaturenti da contratti che, per scadenza o
per qualsiasi altra ragione, non siano più produttivi degli
effetti loro propri, con la conseguenza che, cessata
l’efficacia di un contratto per naturale scadenza del relativo
termine, il rapporto da esso (scaturito e) scaturente non può
qualificarsi esaurito nei casi in cui risulti attualmente
pendente, in relazione ad esso, una controversia giudiziaria,
di talchè l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale
intervenuta nelle more del giudizio (nella specie, la sentenza
n. 318 del 2002, dichiarativa dell’illegittimità
costituzionale degli artt. 9 e 62 della citata legge n. 203
del 1982), anche in sede di giudizio di cassazione, deve
ritenersi del tutto legittimamente applicabile sino a quando
non sia intervenuto il passaggio in giudicato della relativa
sentenza (Cass. 28 luglio 2005, n. 15809), senza che possa
introdursi alcuna distinzione tra contratti stipulati prima
del 1988 e contratti intervenuti successivamente, o tra canoni
pagati prima della sentenza n. 139 del 1984 e canoni
corrisposti successivamente, non rilevando, al fine di
invocare la perdurante applicabilità di dette norme ai
contratti più risalenti, la circostanza che in precedenza la
medesima questione di costituzionalità fosse stata ritenuta

9

c9/’

termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge, e

infondata da detta sentenza: pertanto risulta priva di
fondamento normativo la domanda di ripetizione,

ex

art. 28

legge n. 11 del 1971, delle somme corrisposte in eccedenza ai
livelli massimi d’equità stabiliti dalle tabelle di equo
canone (Cass. 5 marzo 2007, n. 5074).
Correttamente, dunque, i giudici del merito hanno fatto
applicazione della sentenza n. 318 del 2002, dichiarativa
dell’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della
citata legge n. 203 del 1982, siccome intervenuta nelle more
del giudizio di primo grado.
2.3. Con più specifico riferimento alla questione che qui
si agita della pretesa “incompatibilità” rispetto allo schema
del ricondotto contratto di affitto, va innanzitutto osservato
che la deduzione è carente sotto il profilo
dell’autosufficienza, giacchè parte ricorrente non chiarisce
se la clausola di cui trattasi “esaurisse” il corrispettivo
pattuito dalle parti (cfr. a tal riguardo Cass. 16 settembre
2008, n. 23720 nel senso della legittimità in tema di affitto
di fondo rustico, della clausola determinativa del canone, in
parte, in misura fissa periodica e, in parte, in rapporto ai
risultati dello sfruttamento agrario del terreno).
A prescindere

da

quanto

sopra,

è

assorbente

la

considerazione dell’incostituzionalità della normativa in
materia di equo affitto con la conseguente applicabilità di
quello pattiziamente convenuto. Se poi le parti hanno
determinato una diversa prestazione in forza di altro
contratto poi ricondotto ad affitto, tale prestazione non è
ripetibile ove non sia dichiarata nulla ovvero non sia

.

dichiarato nullo quel contratto (nel qual caso la restituzione
si fonderebbe sulla mancanza di causa). E poiché nella
fattispecie l’azione di nullità è stata rigettata dal
Tribunale con sentenza passata

in parte qua in giudicato, la

prestazione fatta ha un fondamento pattizio ed, in assenza di

In conclusione il ricorso va rigettato .
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
E 3.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre accessori come
per legge.
Roma 9 ottobre 2013
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

O -11

“t5Q–

un limite massimo di equità, non è soggetta a ripetizione.

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