Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25418 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. III, 10/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22393-2017 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA MANCUSO, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANILO FRATTAGLI;

– ricorrente –

contro

AURORA GROUP SPA in persona del legale rappresentante pro tempore

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI

MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ADRAGNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVAN BATTISTA GRECO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 551/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 18-8-2006 la Aurora Group snc di C.R. e P.M. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Trapani D.B. per sentirlo condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inadempimento all’obbligo, assunto con contratto di compravendita 25-62004, di ottenere e consegnare entro il 31-8-2005 il certificato di abitabilità del fabbricato oggetto del detto contratto.

Con sentenza 9/16-11-2011 l’adito Tribunale rigettò la domanda; in particolare il Tribunale, pur ritenendo sussistente il dedotto inadempimento, ritenne che non fosse stato dimostrato il danno allegato (da configurarsi come “mancato guadagno” in relazione all’uso – di “casa per le vacanze” o comunque di profitto – che la società si era proposta di fare del bene acquistato).

Con sentenza 551/2017 la Corte d’Appello di Palermo, in accoglimento del gravame proposto da Aurora Group spa (ex Aurora Group snc), ha parzialmente accolto la domanda attrice, condannando il convenuto al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 39.200,00, oltre interessi; nello specifico la Corte, dopo avere precisato che il venditore-costruttore ha, tra l’altro, l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità, ha evidenziato che l’inadempimento a siffatto obbligo è – ex se – foriero di “danno emergente”, in quanto costringe l’acquirente o a provvedere in proprio o a tenersi l’immobile senza certificato, con un valore di scambio inferiore a quello che lo stesso immobile diversamente (e cioè in presenza di certificato) avrebbe; tanto a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all’alienazione; la Corte, poi, in ordine all’entità di tale danno, non avendo riscontrato sufficienti dati di giudizio in ordine ai riflessi della mancanza di certificato sulle quotazioni di mercato, ha ritenuto prudenziale quantificare il danno nella misura del 10% del prezzo di acquisto.

Avverso detta sentenza D.B. propone ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi.

Aurora Group spa, in persona del Presidente e L.R. C.P., resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – vizio di ultrapetizione, nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che la Corte abbia statuito su una domanda (quella di “danno emergente”) mai formulata nel giudizio di primo grado, ove l’attore aveva chiesto la liquidazione del danno come lucro cessante.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – vizio di ultrapetizione, nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che la Corte d’Appello abbia liquidato il danno in via equitativa in mancanza di richiesta di parte.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. nonchè art. 115 c.p.c., si duole che la Corte abbia quantificato il danno con liquidazione equitativa in assenza di prova dello stesso.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. nonchè art. 115 c.p.c., si suole che la Corte abbia quantificato il danno con liquidazione equitativa senza indicare il percorso logico seguito per la sua quantificazione.

Con il quinto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte non abbia preso in considerazione la regolarità urbanistica del bene compravenduto, con conseguente assenza di danno patrimoniale.

I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.

Non sussiste, innanzitutto, il vizio di ultra petizione denunziato nei primi due motivi.

Questa S.C. ha già precisato che “la circostanza che l’attore abbia erroneamente qualificato il tipo di pregiudizio non patrimoniale di cui chiede il risarcimento non è ostativa all’accoglimento della domanda, se di quel pregiudizio, intrinsecamente connesso alla situazione data, abbia comunque allegato e provato gli elementi costitutivi” (Cass. 7868/2019).

Nella specie, come invero evidenziato nello stesso ricorso (v. pag. 7), l’attore, con la citazione in primo grado, aveva richiesto, tra l’altro, il risarcimento dei danni consistiti “nel minore valore delle unità immobiliari compravendute dipendente dalla ridotta commerciabilità del bene”; a prescindere, quindi, dal nomen iuris utilizzato (danno emergente o lucro cessante), la Corte, nel momento in cui ha ritenuto spettante il risarcimento per il solo fatto che l’immobile senza certificato di abitabilità aveva un valore di scambio inferiore a quello che diversamente avrebbe avuto, ha risarcito proprio siffatta ridotta commerciabilità del bene, valutando la stessa in astratto, e cioè a prescindere dall’effettiva alienazione o dalla destinazione all’alienazione; la questione posta, pertanto, è puramente terminologica, non rilevante in concreto nel caso in esame.

Nè può ritenersi che la Corte sia incorsa nel detto vizio per avere proceduto ad una valutazione equitativa senza che siffatta valutazione fosse stata oggetto di specifica domanda, atteso che il giudice, accertato l'”an”, può ricorrere anche d’ufficio a criteri equitativi per supplire all’impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare (conf. Cass. 21246/2012; 17492/2007).

Contrariamente, poi, a quanto sostenuto nel terzo motivo di ricorso, la Corte non ha proceduto alla liquidazione equitativa del danno pur in mancanza della prova dello stesso.

La Corte, invero, correttamente uniformandosi a Cass. 23157/2013, ha statuito che l’inadempimento all’obbligo di consegna del certificato di abitabilità è “ex se” foriero di danno per il minor valore dell’immobile che ne consegue, accertando pertanto, la sussistenza del danno sulla base della mera mancata consegna del detto certificato; compiuto tale accertamento sull'”an debeatur”, ha poi proceduto ad esercitare il potere di liquidare il danno in via equitativa conferitogli dalli art. 1226 cc., essendo obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare (conf. Cass. 20889/2016).

Il quarto motivo è inammissibile in quanto con lo stesso si denunzia, sub specie di violazione di legge, un vizio motivazionale (la mancata indicazione del percorso logico seguito per addivenire alla quantificazione del danno), senza tuttavia attenersi ai criteri ed ai limiti previsti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5., applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a dedurre la mancata indicazione del percorso logico seguito per addivenire alla quantificazione del danno.

Nè la motivazione può ritenersi solo apparente ed in violazione del “minimo costituzionale” di esternazione dei motivi.

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte di appello, come agevolmente desumibile dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili, correttamente ragguagliando il danno ad una percentuale del prezzo di acquisto.

Il quinto motivo è inammissibile.

La regolarità urbanistica del bene compravenduto non può essere considerato fatto (da intendersi in senso naturalistico) omesso, nè tanto meno fatto decisivo, atteso che oggetto dell’inadempimento è la mancata consegna del certificato; al riguardo giova precisare che, per ammissione dello stesso ricorrente, il mancato rilascio del certificato di abitabilità è dipeso dal mancato collaudo delle opere di urbanizzazione primaria dovuto al pagamento i sanzioni amministrative sempre collegate alla realizzazione (o non realizzazione) delle opere di urbanizzazione.

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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