Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25416 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/10/2017, (ud. 23/06/2017, dep.26/10/2017),  n. 25416

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9254-2014 proposto da:

S.R., T.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CHISIMAIO 29, presso lo studio dell’avvocato OLIVIA POLIMANTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO CANESTRINI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.G., G.W.J., SE.AR.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA PEZZALI, rappresentati e difesi dall’avvocato

STEFANO GIAMPIETRO giusta procura a margine del controricorso;

ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY, in persona del dott.

GA.PI., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. VASARI 5

presso lo studio dell’avvocato RAOUL RUDEL che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GINO VALLE giusta procura a margine

del controricorso;

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 312/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2010 S.R. ed T.A. convennero dinanzi al Tribunale di Trento il Ministero della Difesa, Se.Ar., M.G. e G.W.J., esponendo che:

(-) Se.Ar., M.G. e G.W.J. erano militari appartenenti all’arma dei Carabinieri;

(-) il (OMISSIS), alle 5.00 del mattino, i convenuti si recarono nell’immobile sito a (OMISSIS), al fine di catturare tale L.B.G., raggiunto da un provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall’autorità giudiziaria;

(-) nell’esecuzione di tale operazione, i Militi errarono nell’individuare l’abitazione della persona da fermare, e fecero irruzione nell’abitazione degli attori, bloccando S.R., persona estranea ai fatti (che peraltro venne immediatamente rilasciato);

(-) all’accaduto aveva assistito la moglie di S.R., T.A..

Gli attori chiesero perciò, sulla base dei fatti appena riassunti, la condanna di tutti i convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale rispettivamente patito in conseguenza della violazione del domicilio, dello spavento e della manus iniectio.

2. Se.Ar., M.G. e G.W.J. si costituirono e, oltre a chiedere il rigetto della domanda, domandarono che in caso di accoglimento della pretesa attorea fossero garantiti dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la società Zurich, che provvidero a chiamare in causa.

Il Ministero della Difesa si costituì e chiese il rigetto della domanda attorea.

La Zurich si costituì e chiese anch’essa il rigetto della domanda attorea.

3. Con sentenza 3.7.2012 n. 651 il Tribunale rigettò la domanda.

La Corte d’appello di Trento, adita dai soccombenti, con sentenza 20.11.2013 n. 312 rigettò il gravame.

Ritenne il giudice d’appello che la condotta dei militari non potesse ritenersi colposa: sia per l’oggettiva impossibilità di identificare con esattezza il domicilio della persona da catturare; sia per la condotta ambigua di S.R., che dapprima attese prima di aprire la porta di casa; e dopo averla aperta, intravedendo tre persone in divisa, la richiuse subito: condotta che ad avviso della Corte d’appello non poteva non rafforzare nei Militi il sospetto di trovarsi dinanzi alla persona ricercata.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.R. e da T.A., con ricorso fondato su tre motivi.

Hanno resistito con un controricorso unitario ed illustrato da memoria Se.Ar., M.G. e G.W.J..

Con separati controricorsi hanno resistito altresì il Ministero della Difesa e la Zurich, che ha pur essa depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1176,2043 e 2059 c.c..

Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato le norme suddette, perchè ha escluso la colpa dei Carabinieri nonostante essi tennero di una condotta violativa delle regole di comune prudenza e diligenza.

Assumono che la colpa civile deve essere accertata confrontando la condotta concretamente tenuta dall’autore del danno, con quella che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, l’homo eiusdem generis et condicionis di cui all’art. 1176 c.c.; soggiungono che nel caso di specie, un ufficiale di polizia giudiziaria accorto e diligente avrebbe tenuto una condotta diversa da quella dei tre convenuti, perchè prima di procedere all’irruzione avrebbe accertato con sicurezza quale fosse l’abitazione del ricercato; deducono, infine, che l’eventuale condotta di S.R., oltre ad essere incolpevole, non poteva scusare la condotta dei Carabinieri, giacchè l’errore altrui non può scusare una condotta di per sè colpevole.

1.2. Il motivo è infondato.

La colpa civile consiste essenzialmente nella devianza da una regola di condotta.

La regola di condotta, dalla cui violazione può scaturire la colpa, può consistere in una norma giuridica o in una regola di comune prudenza.

La pronuncia giudiziale della colpa civile esige pertanto due accertamenti: la ricostruzione della condotta che si assume essere stata colposa, e la individuazione della regola cui la condotta si sarebbe dovuta uniformare.

Quando la condotta che si assume colposa sia consistita nella violazione d’una norma giuridica (di legge, di regolamento, di contratto), l’individuazione di tale norma costituisce una valutazione in diritto, come tale sindacabile in sede di legittimità.

Quando, invece, la condotta che si assume colposa sia consistita nella violazione d’una regola di comune prudenza, lo stabilire se una tale regola esista e quale ne sia il contenuto costituisce un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato.

Nel caso di specie, ovviamente, non esistevano norme di legge che stabilissero con quali criteri andasse individuato, da parte della polizia giudiziaria, il domicilio d’un ricercato da sottoporre a custodia cautelare. Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha valutato la condotta dei convenuti alla stregua della diligenza da essi esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c., e l’averla esclusa è valutazione per un verso non sindacabile in questa sede, in quanto avente ad oggetto un accertamento di fatto; e per altro verso è valutazione sorretta da una motivazione certo non mancante, nè irrazionale.

La Corte d’appello, infatti, ha accertato che il domicilio degli odierni ricorrenti aveva la porta d’ingresso accanto alla porta d’ingresso dell’appartamento del ricercato; che tra le due porte vi erano due campanelli posti verticalmente uno sopra l’altro, senza alcuna indicazione che consentisse di stabilire a quale appartamento si riferisse il campanello superiore, ed a quale quello inferiore.

Ha quindi ritenuto la Corte d’appello che i militari operanti si trovarono in una condizione di “obiettiva incertezza” causata dallo stato dei luoghi; incertezza acuita dalla ambiguità del comportamento di S.R., il quale dopo aver domandato chi avesse bussato, e dopo aver ricevuto la risposta “Carabinieri”, socchiuse la porta per poi richiuderla in tutta fretta, comportamento che non irragionevolmente è stato ritenuto dalla Corte d’appello “connotato da scarsa chiarezza e collaborazione”.

Del resto, da chi esegue una misura cautelare de libertate non ci si può attendere nulla di meno che efficienza e decisività nell’azione, sia per garantire la propria incolumità, sia per prevenire la fuga o reazioni violente del ricercato.

Correttamente, pertanto, la corte d’appello ha ritenuto che lo sfondamento della porta e l’immobilizzazione delle persone che si trovavano all’interno dell’appartamento, pur erronea, non sia stata colposa.

Non vi è stata, in conclusione, alcuna violazione di norme di diritto da parte della corte d’appello; lo stabilire, poi, quale dovesse essere la condotta del carabiniere “diligente” ex art. 1176 c.c. in un caso come quello di specie, è valutazione di fatto, non sindacabile in questa sede, e comunque sorretta da una motivazione non contraddittoria nè irragionevole.

2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni strettamente connesse. Con tali censure i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare due fatti decisivi, ovvero:

(a) che nel caso di specie non ricorreva nessuna circostanza obiettiva idonea a trarre in inganno i carabinieri circa l’effettiva residenza della persona ricercata;

(b) che il provvedimento cautelare cui i Militi convenuti dovevano dare esecuzione risaliva a 20 giorni prima di quello in cui venne eseguito, sicchè i Carabinieri in quel lasso di tempo avrebbero avuto ogni possibilità di individuare esattamente l’abitazione del prevenuto.

2.2. Ambedue i motivi sono infondati.

La prima censura è infondata perchè la Corte d’appello si è fatta carico di spiegare per quali ragioni le condizioni dei luoghi fossero tali da non consentire agli operanti di stabilire quale fosse l’appartamento riferibile alla persona da arrestare. E, come s’è detto, stabilire se queste circostanze fossero davvero decettive o non lo fossero, è questione di fatto riservata al giudice di merito.

2.3. La seconda censura è infondata perchè il fatto che si assume essere stato trascurato non è significativo, e di conseguenza non è decisivo.

Infatti, in mancanza di qualsiasi altro elemento, non è possibile stabilire se la ritardata esecuzione dell’arresto rispetto alla data del provvedimento restrittivo sia dovuta a negligenza degli operanti, ad esigenze investigative, ad irreperibilità del prevenuto, o ad altre ragioni ancora. Nemmeno è possibile sapere se i tre Militi operanti ricevettero l’ordine di procedere all’arresto ad horas, e quindi se fosse o meno a loro imputabile il ritardo tra la data dell’ordinanza restrittiva, e l’esecuzione dell’arresto.

Di conseguenza, anche se la Corte d’appello avesse preso in esame quel fatto, da esso solo non avrebbe mai potuto trarre la conseguenza della sussistenza d’una condotta colposa dei tre convenuti.

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna S.R. e T.A., in solido, alla rifusione in favore di Se.Ar., M.G. e G.W.J., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna S.R. e T.A., in solido, alla rifusione in favore di Ministero della Difesa delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna S.R. e T.A., in solido, alla rifusione in favore di Zurich Insurance Company PLC delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.R. e T.A., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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