Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25415 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. III, 10/10/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 10/10/2019), n.25415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19547-2017 proposto da:

LA CATTOLICA ASSICURAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA RL, in persona del

Procuratore Speciale Dott. B.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MENDOLA 198, presso lo studio dell’avvocato

MARIO MATTICOLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SUVA ISTITUTO NAZIONALE SVIZZERO ASSICURAZIONE INFORTUNI, in persona

del legale rappresentante per l’Italia F.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 4, presso lo studio

dell’avvocato RENATO AMATO, rappresentato e difeso dall’avvocato

SABRINA MACRI’;

P.M., P.E., P.B., P.D., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA COURMAYEUR 79, presso lo studio

dell’avvocato GIANFRANCO MAZZULLO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VANDA PAGANETTI BIANCHI, ANTONIO SALA DELLA

CUNA;

– controricorrenti –

e contro

PI.MA., (OMISSIS), AZIENDA AGRICOLA CUSINI MARIA, GENERALI

ITALIA SPA 00885351007, BE.AD.;

– intimati –

Nonchè da:

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CILIBERTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

LA CATTOLICA ASSICURAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA RL;

– intimata –

Nonchè da:

AZIENDA AGRICOLA C.M., in persona del legale rappresentante

nonchè omonima titolare C.M.;

PI.MA., (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA

BUFALOTTA 174, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA BARLETTELLI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUSCONI LUISA;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2894/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento motivo 3 La

Cattolica, 4 e 5 Generali Italia, 2 e 3 altri ricorsi incidentali,

rigetto nel resto;

udito l’Avvocato MARIO MATTICOLI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE CILIBERTI;

udito l’Avvocato GIANFRANCO MAZZULLO;

udito l’Avvocato PATRIZIA BARLETTELLI;

udito l’Avvocato RENATO AMATO per delega;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 4-6-2010 M., B., E. e P.D. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Sondrio Be.Ad., Pi.Ma., la Società Cattolica di Assicurazione ed Ina Assitalia (ora Generali Italia) per sentire accertare la responsabilità di Be.Ad. e Pi.Ma. nel sinistro stradale occorso il (OMISSIS) all’attore P.M. (che in conseguenza dello stesso aveva riportato gravissime lesioni personali, e in particolare paraplegia e cistorettoplegia), e condannare quindi in solido i convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti da P.M. nonchè dei danni non patrimoniali subiti dai genitori B. ed P.E. e dalla sorella P.D..

Nel giudizio intervennero volontariamente sia l’Istituto sociale svizzero SUVA (istituto Nazionale Svizzero di Assicurazione contro gli Infortuni), che agì in surroga per richiedere la refusione delle prestazioni assistenziali e previdenziali erogate ed erogande in favore del proprio assicurato P.M. (lavoratore in (OMISSIS)), sia, su chiamata in causa dei convenuti Pi.Ma. ed Ina Assitalia, anche l’azienda agricola C.M., proprietaria del mezzo agricolo condotto da Pi.Ma. e coinvolto nell’incidente.

Con sentenza 206/2014 l’adito Tribunale dichiarò che il sinistro era stato causato da Pi.Ma. ed Be.Ad., conducenti del trattore e dell’autovettura Golf coinvolti nell’incidente, con il concorso di colpa al 30% dello stesso attore P.M., e condannò i convenuti in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori (Euro 1.771.010,23 in favore di P.M. ed Euro 331.445,50 in favore dei genitori e della sorella), nonchè a corrispondere all’Istituto SUVA l’importo dallo stesso erogato.

La Corte d’Appello di Milano ha rideterminato in Euro 857.054,24 il danno non patrimoniale ed in Euro 871.321,87 il danno patrimoniale spettante a P.M., confermando nel resto l’impugnata sentenza.

In particolare la Corte territoriale, per quanto, ancora rileva, ha, in primo luogo, confermato la dinamica del sinistro in questione; tanto in base sia alle dichiarazioni (ritenute attendibili ed utilizzabili) rese nell’immediatezza del fatto alla Polizia Giudiziaria dal testimone D.R. (che procedeva in sella alla sua bicicletta nella stessa direzione del trattore e dell’autovettura) sia alle altre risultanze processuali (rapporto incidente dei c.c. di Taranto, rilievi tecnici ed osservazioni del CTU); nello specifico ha ritenuto accertato: che P.M., alla guida del suo motociclo, percorreva il tratto curvilineo della strada comunale di montagna “(OMISSIS)” ad una velocità compresa tra i 55 ed i 60 Km/h mentre nel senso opposto procedevano in sequenza, dopo avere superato il ciclista D.R., un trattore “Carraro Trigone” con rimorchio (pressa imballatrice) condotto da Pi.Ma. (di proprietà dell’azienda agricola ” C.” ed assicurato con Generali Italia SpA) ed una Volkswagen Golf (di proprietà e condotta da Ba.Ad., assicurata con la Società Cattolica); che il motociclista P., nel percorrere un tratto di curva verso sx della strada in questione senza tenere strettamente la mano dx ma comunque all’interno della carreggiata di sua pertinenza, aveva urtato contro la parete sx del rimorchio dell’attore perdendo il controllo del mezzo, e, a seguito dell’impatto, era caduto rovinosamente a terra unitamente alla moto, andando ad urtare contro il guard-rail posto sulla sua dx; l’urto lo aveva fatto poi ritornare, sempre unitamente alla moto, al centro della carreggiata, ove era stato investito dalla Golf; vi era, quindi, sia una responsabilità del conducente del trattore, che occupava i 2/3 della carreggiata (in quanto verosimilmente allargatosi, a seguito del sorpasso del ciclista, e non ancora rientrato nella corsia di sua pertinenza) e che, invece, trainando un rimorchio di dimensioni più ampie, avrebbe dovuto procedere a ridottissima velocità e con ogni cautela necessaria ad evitare che l’ingombro del mezzo potesse costituire un ostacolo alla circolazione; sia una responsabilità del conducente della Golf, che aveva effettuato una manovra di sorpasso della bicicletta del D. non in condizioni di sicurezza, atteso il limitato campo di visibilità per via del tratto curvilineo e della presenza del trattore con rimorchio, ed aveva tardivamente reagito alla situazione di pericolo creata dal rimbalzo del ciclomotore verso il centro della carreggiata.

La Corte ha, poi, ribadito che non doveva provvedersi alla ripartizione interna di responsabilità tra Pi.Ma. ed Be.Ad., non essendoci specifica domanda in tal senso; ha ritenuto generica la censura concernente il mancato esame del danno differenziale (e cioè la omessa valutazione del danno riportato dall’attore P.M. in un precedente incidente); ha ritenuto corretto, nel caso concreto, desumere un danno patrimoniale futuro al 100% dalla riscontrata perdita al 100% della capacità di lavoro specifica di P.M. (che prima del sinistro aveva svolto l’attività di muratore), valutando invero inverosimile il suo impiego nel settore terziario; ha ritenuto, inoltre, corretta la liquidazione equitativa di detto danno, considerando realistica la capitalizzazione della rendita, e ritenendo invece non equa l’applicazione della detrazione del montante di anticipazione con detrazione degli interessi a scalare, e non congrua l’applicazione del coefficiente di capitalizzazione di cui al R.D. n. 1403 del 1922; ha inoltre osservato che la specificazione del contenimento del risarcimento entro il massimale era stata formulata tardivamente in appello, mentre avrebbe dovuto essere formulata nella comparsa di costituzione in primo grado; ha poi proceduto alla rideterminazione delle somme spettanti a titolo di danno patrimoniale, in quanto ha rilevato che dall’importo totale doveva essere detratto prima il 30% per l’affermato concorso di colpa dello stesso attore, e che poi dalla somma così ottenuta dovevano detrarsi le somme anticipate dall’istituto SUVA.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Cattolica Assicurazioni soc. coop. a r.l., affidato a quattro motivi.

Hanno resistito con controricorso M., B., E. e P.D. nonchè l’Istituto SUVA, che hanno presentato anche ulteriori memorie di replica.

Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C. hanno resistito con controricorso e, à loro volta, hanno proposto ricorso incidentale, affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successive memorie.

Generali Italia ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, affidato a sette motivi ed illustrato anch’esso da successive memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso principale la Cattolica Assicurazioni deduce “nullità della sentenza di secondo grado ex art. 360 c.c., comma 1, n. 3 per violazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, per l’omesso esame e travisamento circa un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione rea le parti, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativo alla velocità, alla condotta ed alla posizione del veicolo condotto dal sig. Be. al momento del sinistro”; in particolare si duole che la Corte territoriale, sulla base degli esiti della CTU disposta in primo grado e senza considerare le risultanze della perizia disposta dalla Procura della Repubblica, non abbia considerato: che il motociclista procedeva ad una velocità poco prudenziale di 60 Km/h; che il sorpasso del ciclista, ad opera del Be., non era vietato e, al momento dell’impatto con il corpo del motociclista, lo stesso era stato già completato; che non vi era stata alcuna “colposa distrazione” nella condotta di guida del Be., il quale non avrebbe potuto eseguire alcuna manovra di emergenza per evitare l’impatto; che il corpo del povero motociclista non era stato “arrotato”; siffatte omissioni avevano poi comportato la violazione dell’art. 2054 c.c., atteso che, se fosse stata considerata la perizia redatta in sede penale, il Be. sarebbe andato esente da ogni responsabilità, quale spettatore impotente delle tragiche ed improvvise evoluzioni del sinistro.

Con il secondo motivo la Cattolica Assicurazioni deduce “nullità della sentenza per motivazione omessa o meramente apparente, sul punto relativo alla contestata mancata adeguatezza e palese insufficienza della CTU medico-legale con conseguente richiesta di rinnovo, con la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 4”; al riguardo si duole che la Corte territoriale, con motivazione apparente in quanto perplessa ed obiettivamente incomprensibile, nulla abbia precisato sulla contestata “inadeguatezza ed insufficienza delle indagini peritali medico-legali con conseguente errata valutazione dei danni non patrimoniali e patrimoniali, ivi compresi quelli da invalidità specifica”; in particolare lamenta che la Corte di merito, a fronte delle contestazioni in appello sulla mancata considerazione di postumi invalidanti riportati da P.M. in un precedente incidente, abbia ritenuto siffatte censure inammissibili ex art. 342 c.p.c. per non avere gli appellanti specificato in che modo la rappresentata circostanza avrebbe potuto ripercuotersi sugli esiti degli espletati accertamenti peritali.

Con il terzo motivo la Cattolica Assicurazioni, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 12226 e 2056 c.c. nonchè del R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, sostiene che la Corte territoriale abbia erroneamente calcolato il danno patrimoniale conseguente alla perdita della capacità lavorativa e quello inerente le spese di assistenza medica, calcolando l’importo dovuto su base equitativa mediante semplice moltiplicazione della somma base per il numero di anni di presumibile vita futura del danneggiato, senza invece adottare, trattandosi di somme anticipate “ora per allora”, i necessari coefficienti di capitalizzazione.

Con il quarto motivo la Cattolica Assicurazioni, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., si duole che la Corte d’Appello, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva condannato in solido tutti i convenuti al risarcimento del danno, non abbia provveduto alla – pur richiesta – quantificazione delle rispettive quote di corresponsabilità dei diversi soggetti coinvolti.

Con il primo motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2054 e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., si duole che la Corte d’Appello, pur in assenza di qualsiasi idonea prova, abbia dichiarato il maggior grado di corresponsabilità (70%) in capo a Pi.Ma. ed Be.Ad.,in presenza invece di prov documentali che dimostravano indiscutibilmente l’esclusiva responsabilità capo al motociclista P.M.; in particolare non era stato considerato che (come evidenziato dai rilievi dei c.c. e dalla relazione del perito del P.M) P.M. stesse viaggiando in prossimità del centro della carreggiata e ad una velocità (55/60 Km/h) non consona allo stato dei luoghi, e che (come evidenziato dal detto perito) la velocità max sviluppabile dal trattore era quella di Km/h 31,08, il trattore al momento dell’urto era in posizione corretta sulla carreggiata, lo spazio libero tra il muro e la fiancata dell’imballatrice era nell’ordine di 70-80 cm.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte d’Appello abbia omesso l’esame della posizione dei veicoli sulla carreggiata e della velocità degli stessi al momento dell’occorso, tenuto anche conto delle caratteristiche costruttive del mezzo agricolo di proprietà dell’azienda agricola C.M..

Con il terzo motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, si duole che la Corte d’Appello, pur essendo stato rilevato che il danneggiato aveva subito un precedente incidente con postumi permanenti di cui il CTU non aveva tenuto conto, abbia ritenuto inammissibile la censura ex art. 342 c.p.c. per non avere gli appellanti specificato in che modo la rappresentata circostanza avrebbe potuto ripercuotersi sugli esiti degli espletati accertamenti peritali.

Con il quarto motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. e del R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, si duole che la Corte di Appello abbia liquidato il danno patrimoniale senza considerare che il danno futuro è un danno non ancora prodottosi al momento della liquidazione e pertanto soggetto a capitalizzazione anticipata.

Con il quinto motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando – e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per violazione dell’art. 11 c.p.c., si duole che la Corte di Appello abbia dichiarato l’inammissibilità della domanda di contenimento nei limiti del massimale, omettendo di esaminare l’eccezione di massimale pari ad Euro 1.549.370,70 proposta da Generali in primo grado e reiterata in grado di appello, nonostante la mancata contestazione sul punto e nonostante Generali avesse depositato la polizza assicurativa del trattore contenente il suddetto limite.

Con il sesto motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione dell’art. 144, comma 1 codice delle assicurazioni private e dell’art. 189 c.p.c. e art. 2697 c.c., si duole che la Corte d’Appello abbia condannato Generali, in solido con gli altri convenuti, al risarcimento, nei confronti di P.M. e dei suoi familiari, dell’intero danno liquidato, senza tener conto del massimale vigente al momento del sinistro; tanto nonostante Generali avesse ritualmente eccepito e documentato il limite del massimale e nessuna delle parti in causa avesse contestato l’esistenza di una responsabilità dell’assicurazione per “mala gestio”.

Con il settimo motivo di ricorso incidentale Generali Italia Spa, denunziando ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte d’appello, statuendo sulla condanna ultra massimale, abbia omesso di esaminare l’eccezione del limite del massimale formulata da Generali ed il relativo documento depositato.

Con il primo motivo di ricorso incidentale Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C. si associano alle censure svolte, in ordine alla motivazione dell’impugnata sentenza, dalla Cattolica con il primo motivo di ricorso principale e dalla Generali con il primo e secondo motivo di ricorso incidentale.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C., denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione anche dell’art. 342 c.p.c., si associano alle censure svolte da Cattolica (secondo motivo di ricorso principale) e Generali (terzo motivo di ricorso incidentale) in ordine a quanto affermato dalla Corte d’Appello con riguardo al diniego della richiesta di rinnovazione della CTU medico-legale.

Con il terzo motivo di ricorso incidentale Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C. si associano alle censure svolte, in ordine all’esatto calcolo del danno patrimoniale, dalla Cattolica con il terzo motivo di ricorso principale e dalla Generali con il quarto motivo di ricorso incidentale; al riguardo evidenziano anche -ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c. – che SUVA nel giudizio di appello aveva precisato di avere erogato l’importo di CHF 101.186,00 per spese “anche future” e ne aveva richiesto la restituzione; sul punto la Corte territoriale, senza alcuna motivazione e senza considerare la conseguente parziale duplicazione del danno conseguente al sinistro, aveva affermato la “infondatezza dell’allegazione di mancata detrazione di quanto erogato da SUVA per lo stesso titolo”.

Con il quarto motivo di ricorso incidentale Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C. si associano alle censure svolte, in relazione alla mancata qualificazione delle quote di corresponsabilità dei soggetti coinvolti nel sinistro, dalla Cattolica con il quarto motivo di ricorso principale.

Il primo motivo di ricorso principale della Cattolica Assicurazioni soc. coop. a r.l. nonchè il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale della Generali Italia Spa ed il primo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. ed Azienda Agricola C., da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono inammissibili.

Le censure, invero, si risolvono, anche quelle prospettate sub specie di violazione di legge, in una critica, non consentita in sede di legittimità, rispetto all’accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale in relazione alla dinamica dell’incidente in questione; in particolare le dette doglianze non sono in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a contestare, sulla base dei rilievi dei c.c. e delle conclusioni del perito nominato dalla Procura, la dinamica come ricostruita dalla Corte, sostenendo non la mancata considerazione di un “fatto” ma una diversa valutazione (rispetto a quanto accertato in sentenza) delle risultanze probatorie in ordine alla velocità ed alla posizione dei veicoli coinvolti.

Il secondo motivo di ricorso principale della Cattolica, il terzo motivo di ricorso incidentale della Generali ed il secondo motivo del ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C., da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.

Sostengono i ricorrenti la carenza di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla questione, alla stessa sottoposta, relativa alla mancata considerazione del “danno differenziale” ed al diniego della richiesta di rinnovo della CTU medico-legale; Pi.Ma. e l’Azienda Agricola C. sostengono, in particolare, anche la violazione dell’art. 342 c.p.c..

Il denunziato vizio motivazionale è insussistente.

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte territoriale, come agevolmente già desumibile dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili; in particolare, infatti, la Corte di appello ha ritenuto inammissibile ex art. 342 c.p.c. la censura concernente la mancata considerazione del “danno differenziale”, non avendo le società appellanti specificato in che modo la circostanza rappresentata (e cioè i postumi invalidanti conseguenti al precedente sinistro occorso allo stesso P.M. il (OMISSIS)) “avrebbe potuto ripercuotersi sugli esiti degli espletati accertamenti peritali in termini di condizionamento del giudizio finale relativo all’invalidità permanente/danno biologico del danneggiato, ed in che misura avrebbe potuto incidere sulla quantificazione dei danni non patrimoniali e patrimoniali”.

Infondato è anche il denunziato vizio di violazione dell’art. 342 c.p.c., atteso che, come desumibile anche da quanto riportato in ricorso, la censura si è limitata genericamente a contestare la mancata considerazione del precedente incidente e dei postumi riportati da P.M. in esito allo stesso, senza tuttavia specificamente indicare detti postumi e la loro idoneità ad influire su quelli, di per sè di estrema gravità, conseguenti all’incidente per cui è causa.

Il terzo motivo di ricorso principale della Cattolica, il quarto motivo di ricorso incidentale della Generali ed il terzo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C., da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati.

I ricorrenti, in sintesi, si dolgono che la Corte territoriale abbia liquidato il danno patrimoniale conseguente alla perdita della capacità lavorativa (e quello inerente le spese di assistenza medica) mediante semplice moltiplicazione della somma base per il numero di anni di presumibile vita futura del danneggiato.

Al riguardo va, invero, ribadito il principio secondo cui “In caso di lesioni personali con postumi invalidanti permanenti, ove il danno patrimoniale futuro (costituisca esso danno emergente, come per le spese mediche non ancora sostenute, ovvero lucro cessante da perdita o riduzione della capacità lavorativa) sia liquidato nella forma della capitalizzazione anticipata, dalla somma capitalizzata e liquidata in relazione ai valori monetari della data della pronuncia va effettuata la detrazione del montante di anticipazione (calcolato sulla base degli interessi a scalare (Cass. 1215/2006).

L’integrale risarcimento ex art. 1223 c.c. dei danni permanenti, quali i danni patrimoniali derivanti dalla perdita definitiva della capacità di lavoro (che infatti sono destinati a riprodursi anno per anno per tutta la vita lavorativa della vittima) e dalle spese di assistenza necessarie per il futuro, può avvenire attraverso liquidazione sia in forma di rendita (art. 2057 c.c.) sia in forma di capitale; in particolare, in quest’ultima ipotesi, per trasformare in capitale il reddito perduto dalla vittima, sono possibili in teoria due criteri: il primo criterio consiste nel sommare prima tutti i renditi che la vittima perderà tra il momento della liquidazione e il momento futuro in cui avrebbe comunque cessato il lavoro, e nell’applicare poi al risultato un saggio di sconto, per tenere conto del fatto che la vittima percepisce immediatamente redditi, che, se fosse rimasta sana, avrebbe invece incassato solo tra “n” anni (se non si eliminasse, infatti, attraverso lo sconto, il c.d. “montante di anticipazione” e cioè il vantaggio realizzato dal creditore nel percepire oggi una somma che egli avrebbe concretamente perduto solo in futuro, il danneggiato trarrebbe ingiusto vantaggio dal risarcimento, in violazione del principio dell’integralità dello stesso); il secondo criterio consiste nel moltiplicare il reddito annuo perduto dalla vittima (al netto delle imposte e debitamente rivalutato all’epoca della liquidazione) per un numero (c.d. coefficiente di capitalizzazione) che tenga già conto del montante di anticipazione; il giudice di merito, nell’esercizio del suo potere di liquidazione equitativa di detto danno, è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione dallo stesso ritenuti preferibili, purchè aggiornati e scientificamente corretti (v., a titolo di esemplificazione, quelli riportati dalle su menzionate sentenze di questa C.S. Euro 20615/2015 e 10499/2017); conf. Cass. 9048/2018; Cass. 10499/2017; cass. 20615/2015; al riguardo va tuttavia evidenziato che questa S.C. ha già stabilito che “il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali, a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e non sono perciò consentiti dalla regola di integralità del risarcimento di cui all’art. 1223 c.c.” (Cass. 20615/2015).

In particolare, per quanto concerne il danno permanente futuro consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica “vita natural durante”, questa S.C. ha precisato che lo stesso “non può essere liquidato attraverso la semplice moltiplicazione della spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita, oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e, quindi, abbattendo il risultato in base ad coefficiente di anticipazione, ovvero, infine, attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie (Cass. 7774/2016).

Erroneamente, pertanto, la Corte territoriale, in violazione dei detti principi, ha ritenuto “non equa”, essendosi verificata (a seguito dell’evento dannoso occorso al P.) la perdita totale della capacità lavorativa specifica, l’applicazione della detrazione del montante di anticipazione con detrazione degli interessi a scalare, e, in relazione al danno per spese mediche e di assistenza futura, ha ritenuto non applicabile il c.d. coefficiente di capitalizzazione anticipata.

In ordine alla determinazione del detto danno patrimoniale va, infine, evidenziato, con riferimento specifico al terzo motivo di ricorso incidentale proposto da M. P. e dall’Azienda Agricola C., che la Corte d’Appello (v. pag. 31 sentenza impugnata) ha calcolato l’ammontare del danno in maniera indipendente da quanto erogato da SUVA, e, successivamente, per calcolare il risarcimento dovuto agli attori, ha detratto dal danno totale la somma pagata da SUVA; siffatta specifica doglianza è quindi infondata.

Il quarto motivo di ricorso principale della Cattolica ed il quarto motivo di ricorso incidentale di P.M. e dell’Azienda Agricola C., da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Lamentano, in sintesi, i ricorrenti l’omissione, da parte della Corte d’Appello, della richiesta quantificazione delle rispettive quote di corresponsabilità dei diversi soggetti coinvolti.

Per costante principio di questa S.C., posto a base della decisione anche dall’impugnata sentenza, “in tema di fatto illecito imputabile a più persone, la questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate può essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili, senza che tale domanda possa ricavarsi dalle eccezioni con cui il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato” (Cass. 32930/2018; 18497/2006; 15687/2001).

Nella specie nessuno dei condebitori ha esercitato detta azione di regresso nè ha chiesto espressamente, in vista del regresso, l’accertamento sulla gravità delle rispettive colpe, non essendo al riguardo sufficiente (come invece ritenuto in ricorso) la generica invocazione, in via del tutto subordinata, di “una limitazione di eventuali responsabilità sulla base del dedotto e del provato”.

Il quinto motivo del ricorso incidentale proposto da Generali è fondato, con conseguente assorbimento del sesto e settimo.

Lamenta, in sintesi, la ricorrente che, pur essendo stata proposta sin dalla costituzione in giudizio in primo grado la relativa eccezione, la Corte d’Appello non abbia contenuto la statuizione di condanna entro il limite del massimale (Euro 1.549.370,70).

E’ vero, infatti che, come già precisato da questa S.C., l’eccezione dell’assicurazione di contenimento della domanda nei limiti del massimale costituisce un’eccezione in senso proprio, impeditiva del maggior risarcimento richiesto dal danneggiato, sicchè è soggetta alle preclusioni previste per siffatte eccezioni, e quindi deve essere proposta nella comparsa di risposta in primo grado ex art. 167 c.p.c.. (conf. Cass. 13754/2006)

Nella specie, tuttavia, la Corte territoriale, ritenendo siffatta eccezione tardivamente proposta solo con l’atto d’appello, ha omesso di rilevare che la stessa era stata invece correttamente sollevata sin dalla comparsa di risposta (ove era stato espressamente evidenziato che la prodotta polizza era stata contratta dalla Azienda Agricola C. con INA Assitalia per la r.c. sino alla concorrenza del massimale di Euro 1.549.370) e ribadita nel verbale dell’udienza di prima comparizione del 9-3-2010 nonchè nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 4 e nella comparsa conclusionale.

In conclusione, pertanto, vanno dichiarati inammissibili il primo motivo di ricorso principale della Cattolica Assicurazioni soc. coop. a r.l. nonchè il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale della Generali Italia Spa ed il primo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. ed Azienda Agricola C.; vanno rigettati il secondo ed il quarto motivo di ricorso principale della Cattolica, il terzo motivo di ricorso incidentale della Generali ed il secondo e quarto motivo del ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C.; vanno, invece, accolti il terzo motivo di ricorso principale della Cattolica, il quarto ed il quinto motivo di ricorso incidentale della Generali (con conseguente assorbimento del sesto e settimo) ed il terzo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C.; per l’effetto va quindi cassata, in relazione ai motivi accolti, l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo motivo di ricorso principale della Cattolica Assicurazioni soc. coop. a r.l., il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale della Generali Italia Spa ed il primo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. ed Azienda Agricola C.; rigetta il secondo ed il quarto motivo di ricorso principale della Cattolica, il terzo motivo di ricorso incidentale della Generali ed il secondo ed il quarto motivo del ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C.; accoglie il terzo motivo di ricorso principale della Cattolica, il quarto ed il quinto motivo di ricorso incidentale della Generali (assorbiti il sesto e settimo) ed il terzo motivo di ricorso incidentale di Pi.Ma. e dell’Azienda Agricola C.; cassa, in relazione ai motivi accolti, l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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