Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25414 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. III, 10/10/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 10/10/2019), n.25414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12769-2017 proposto da:

E.G., D.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato AMINA LABBATE,

rappresentati e difesi dall’avvocato VIVIANA PATROCINIO;

– ricorrenti –

contro

S.G.A., S.V.;

– intimati –

Nonchè da:

S.G.A., S.V., in qualità di eredi,

il primo di S.D. e S.A.A., il secondo

della sola S.A.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato

LUISA GOBBI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI LEONARDO

COVELLA;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1118/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento motivo 2 e 3

p.q.r. e 6, rigetto nel resto, rigetto ricorso incidentale;

udito l’Avvocato FABRIZIO D’ERRICO per delega;

udito l’Avvocato VIVIANA PATROCINIO;

udito l’Avvocato LUISA GOBBI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.D., affetto da sordomutismo, effettuò a partire dal 1997, in favore dei coniugi D.F. ed E.G. (anch’essi affetti da sordomutismo), numerosi atti di disposizione del suo patrimonio; in particolare a loro favore emise numerosi assegni per notevoli importi, provvide a bonifici bancari, versò ratei della pensione e, in data 10-4-2001, vendette agli stessi due appartamenti, dichiarando al notaio che il prezzo era stato già corrisposto.

In esito a denunzia penale del fratello S.G. iniziarono a carico dei detti coniugi le relative indagini, inizialmente per il reato di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) e poi per estorsione aggravata dall’avere posto la vittima in condizione di incapacità di agire (art. 629 c.p.).

In esito all’udienza preliminare del 6-11-07 (nella quale S.D. si costituì parte civile), D.F. ed E.G. vennero rinviati a giudizio per estorsione aggravata.

Nel corso del giudizio penale, in data (OMISSIS), morì S.D. e, al fine di ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso subiti, si costituirono il fratello S.G. e la sorella S.A..

Con sentenza n. 623 del 19-10-09 il Tribunale penale di Lecce assolse i coniugi dal reato di estorsione per insussistenza del fatto (mancata prova della violenza).

Detta sentenza divenne irrevocabile ai fini penalistici in quanto impugnata ex art. 576 c.p.p. (cioè ai soli effetti civili) esclusivamente dalle parti civili S.G. e S.A..

Con sentenza n. 310 del 15-2-2012 la Corte d’Appello di Lecce, prima sezione penale, decidendo sul detto gravame delle parti civili, ritenne i coniugi civilmente responsabile del reato loro ascritto (estorsione aggravata) solo per il periodo successivo al febbraio 2003 (ritenendo accertata solo da tale data un condotta violenta dei coniugi nei confronti di S.D.), e condannò quindi gli stessi al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede.

Con sentenza 1979 del 18-7/17-9-2014 la S.C., decidendo sul ricorso proposto in data 30-10-2012 ex art. 576 c.p.p. sia dai coniugi D.- E. sia da S.G., annullò ai soli effetti civili, fermo restando gli effetti penali della statuizione impugnata, la detta sentenza 310/2012 della Corte d’Appello, rinviando ex art. 622 c.p.p. al giudice civile competente per valore in grado di appello; in particolare la S.C. ritenne i fatti (e cioè le cospicue e continue elargizioni di denaro nonchè di beni mobili e immobili effettuate da parte della persona offesa in favore degli imputati) non più oggetto di contestazione; ritenne dette elargizioni senza alcuna ragione d’essere; ritenne inoltre non oggetto di specifica contestazione il comportamento degli imputati e la situazione psicologica di piena vulnerabilità della stessa persona offesa; ritenne quindi evidente che gli imputati avevano abusato dello stato di vulnerabilità di S.D. e, ben consci di detta vulnerabilità, ne avessero sfruttato la debolezza al fine di procurarsi un profitto, non disdegnando in alcuni casi di ricorrere anche ad aggressioni fisiche e verbali; di conseguenza, la S.C., esercitando i suoi poteri officiosi in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto, qualificò lo stesso come delitto di circonvenzione di incapace; al riguardo precisò che non vi era alcun pregiudizio della difesa e nessuna decisione a sorpresa, in quanto la circonvenzione di incapace era proprio il reato oggetto della denuncia ed esaminato da parte di entrambi i giudici di merito; nè siffatta diversa qualificazione giuridica poteva ritenersi una “reformatio in peius”, atteso che il divieto di reformatio in peius riguardava il solo trattamento sanzionatorio in concreto stabilito dal giudice (nel caso di specie non mutato) e che comunque il reato come riqualificato era meno grave di quello ritenuto in sentenza.

Con atto 11/15-12-2014 S.G. (quale erede sia di S.D. sia di S.A., deceduta il (OMISSIS)) e S.V. (quale erede di S.A.) hanno riassunto il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce in sede civile.

Con sentenza n. 1118 del 15-11-2016, depositata il 18-11-2016, la Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato, ai soli effetti civili, i coniugi D.- E. responsabili esclusivi del danno procurato a S.D. e li ha condannati al risarcimento del detto danno in favore delle costituite parti civili S.G. e S.V. (quali eredi di S.D.), da liquidarsi in separata sede.

In particolare la Corte:

1)ha rigettato la preliminare eccezione, sollevata dai coniugi, di carenza di legittimazione attiva di S.V. e S.G..

Al riguardo ha evidenziato:

che S.D. si era regolarmente costituito parte civile nel corso del primo grado e che, alla sua morte, legittimamente i suoi fratelli S.G. e S.A., quali eredi, avevano chiesto il risarcimento del danno subito dal fratello, e poi proposto appello avverso la sentenza di assoluzione, ribadendo la richiesta risarcitoria;

che la proposizione del ricorso per Cassazione da parte solo di S.G. (e non di S.A.gata) non poteva incidere sulla detta legittimazione attiva degli attori, che avevano sempre ed unicamente agito per il risarcimento del danno prodotto a S.D.; tanto sia per il principio dell’immanenza della costituzione di parte civile nel processo penale (art. 76 c.p.p., comma 2) sia perchè S.G. aveva sempre agito per l’intero credito ereditario;

che infondata ed inammissibile, in quanto tardiva, era anche l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di S.V. per non avere la sua dante causa ( S.A.) conferito mandato specifico al difensore per impugnare la sentenza di primo grado; siffatto motivo di nullità non era invero più rilevabile dopo la deliberazione della sentenza di secondo grado e comunque non era stata oggetto di ricorso per Cassazione, sicchè sul punto doveva ritenersi formato il giudicato:

2) ha rigettato la sollevata preliminare eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno; tanto con riferimento sia al reato di estorsione aggravata, di cui all’originaria imputazione, sia al reato di circonvenzione di incapace, come riqualificato dalla S.C.; ed invero:

quanto al reato di estorsione aggravata, per il quale era prevista la pena edittale massimale di venti anni, non era decorso il termine prescrizionale di venti anni ex art. 157 c.p., comma 1, e art. 2947 c.c., comma 3, atteso che il primo atto di elargizione era avvenuto il 13-6-97 e la costituzione di parte civile era avvenuta il 6/11/2007; al riguardo ha evidenziato che, ai fini dell’azione civile, il termine prescrizionale da considerarsi era quello previsto per il reato come configurato nel capo di imputazione, a nulla rilevando la sua successiva e diversa qualificazione;

quanto al reato di circonvenzione di incapace, la sua riqualificazione (operata dalla S.C. con la sentenza 1979 del 17/9/2014) non incideva sul diritto risarcitorio, in quanto il nuovo termine prescrizionale di cui all’art. 2947 c.c., comma 1, doveva farsi decorrere da tale pronuncia 3) ha rigettato le sollevate eccezioni preliminari di violazione del diritto di difesa conseguente alla riqualificazione del reato come circonvenzione di incapace, ribadendo al riguardo quanto precisato in argomento dalla S.C. nella menzionata sentenza.

4) nel merito ha quindi affermato la responsabilità esclusiva, ai fini civili, dei coniugi D.- E. in ordine all’evento dannoso sin dal 1997, e, in riforma delle statuizioni di condanna al risarcimento contenute nella cassata sentenza della Corte d’Appello penale, ha condannato gli stessi al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili ( S.G. e S.V., quali eredi di S.D.), da liquidarsi in separata sede.

5) ha, invece, ritenuto inammissibili, in quanto richieste nuove formulate solo con l’atto di riassunzione, le domande di nullità dell’atto di vendita per notar B. del 10-4-2011 e di restituzione degli immobili oggetto della vendita stessa; al riguardo ha evidenziato che, in precedenza, erano state formulate solo richieste, ontologicamente diverse, di risarcimento del danno.

Avverso detta sentenza D.F. e E.G. propongono ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi ed illustrato anche da successiva memoria ex art. 378 c.p.c..

S.G. e S.V. resistono con controricorso e propongono a loro volta ricorso incidentale, affidato a tre motivi, cui resistono i coniugi D.- E..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo “eccesso di potere giurisdizionale, vizio risultante dal testo della sentenza impugnata, nullità della sentenza, atto abnorme ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 4 “, sostengono l’abnormità della sentenza impugnata (e cioè la sentenza 1118/2016 della Corte d’Appello civile di Lecce) per avere la stessa riformato, agli effetti civili, una sentenza (e cioè la sentenza 310/2012 della Corte d’Appello penale di Lecce) non più giuridicamente sussistente in quanto già annullata in precedenza dalla S.C. con la sentenza 1979/2014.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, risolvendosi in una censura di natura solo terminologica sull’espressione “in riforma”, contenuta nell’impugnata sentenza; è vero, infatti, che siffatta espressione è impropria, non essendo devoluto al “giudice del rinvio” il potere di riformare la sentenza già annullata dalla S.C.; detta imprecisione non incide, tuttavia, in alcun modo sul contenuto sostanziale della decisione, che, in ossequio a quanto devolutogli dalla S.C., si è pronunciata sulla responsabilità degli imputati agli effetti civili e sul risarcimento dei conseguenti danni (pur se, al riguardo, erroneamente, come sarà in seguito evidenziato, rinviando per la liquidazione dello stesso ad altra sede).

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame e/o travisamento degli atti e dei fatti di causa, si dolgono che la Corte territoriale abbia di fatto omesso di pronunciarsi sull’eccezione di carenza totale di legittimazione attiva di S.V. e di carenza parziale di legittimazione attiva di S.G., “travisando gli atti processuali”; nello specifico lamentano che la Corte territoriale non abbia considerato il decisivo fatto che S.A. era deceduta il (OMISSIS), e quindi dopo lo spirare del termine (30-10-2012) per proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 310 del 15-2-2012 della Corte d’Appello penale di Lecce; S.A., pertanto, aveva fatto consapevole acquiescenza alla detta sentenza, tanto che solo S.G. risultava avere proposto (avverso la stessa) ricorso per Cassazione, conferendo il relativo mandato al difensore.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale è effettivamente incorsa nel vizio denunciato, in quanto, omettendo di prendere in esame la detta data del decesso di S.A., non ha poi considerato la decisiva circostanza che la sentenza n. 310 del 15-22012 della Corte d’Appello penale di Lecce era passata in giudicato nei suoi confronti, e che, di conseguenza, la successiva sentenza della SC. 1979 del 18/7-17/9/2014, che aveva deciso sul ricorso proposto solo da S.G. (oltre che dai coniugi D.F. ed E.G.), non poteva avere alcun effetto nei confronti di S.A.; il giudizio, quindi, non poteva essere riassunto dagli eredi di quest’ultima.

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 2943 e 2947 c.c., artt. 157, 160, 161 e 81 c.p., nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame e/o travisamento di atti processuali decisivi e dei fatti di causa, si dolgono che la Corte territoriale abbia di fatto omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione dell’azione di risarcimento danni; in particolare sostengono che la Corte territoriale abbia travisato atti processuali decisivi quando non ha rilevato che il diritto al risarcimento del danno relativo al reato qualificato come circonvenzione di incapace era già prescritto al momento (6-11-2007) della costituzione di parte civile di S.D..

Il motivo è, sotto il primo profilo (violazione dell’art. 112 c.p.c.), inammissibile non essendo in linea con la statuizione impugnata, che, come agevolmente desumibile dalla su esposta sintesi della decisione impugnata, si è pronunziata, sia pure non nel senso auspicato dai ricorrenti, sulla detta eccezione.

Sotto gli altri profili il motivo è fondato.

Erroneamente, infatti, la Corte territoriale, pur considerando che la richiesta risarcitoria era stata avanzata per la prima volta in seguito alla costituzione di parte civile di S.D. avvenuta all’udienza preliminare del 6-11-2007, ha in toto rigettato la sollevata eccezione di prescrizione.

A seguito della su menzionata decisione di questa S.C, non può, invero, più dubitarsi che il fatto illecito in questione integri il reato di circonvenzione di incapace di cui all’art. 643 c.p., per il quale è prevista la pena massima di anni sei, e che quindi si prescrive – ex art. 157 c.p. – in sei anni; ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, detto termine di prescrizione va, pertanto, applicato anche all’azione civile risarcitoria per cui è causa e va, quindi, nel caso concreto, limitato l’eventuale risarcimento ai singoli fatti compiuti entro il detto termine.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunziano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – sotto un primo aspetto, violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 3, in relazione alle formulate richieste istruttorie, nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame delle stesse; sotto altro aspetto, -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del combinato disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Si dolgono, in particolare, che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare le motivate formulate richieste istruttorie, erroneamente ritenendo che l’affermazione della S.C., secondo cui non si era verificata alcuna lesione del diritto di difesa a seguito della nuova riqualificazione giuridica del fatto, esonerasse il giudice del rinvio dal motivare sia il rigetto delle richieste istruttorie sia la dichiarazione di esclusiva responsabilità del danno in capo ad essi ricorrenti.

Il motivo è infondato.

Nel caso di specie, come su evidenziato, la S.C. ha ritenuto accertato il fatto e la sussistenza del reato di circonvenzione di incapace, ed ha valutato che, nonostante l’operata riqualificazione, non vi era stata violazione del diritto di difesa; di conseguenza, la Corte territoriale ha correttamente verificato la responsabilità civile dei coniugi in ordine ai fatti così come accertati dalla S.C., senza quindi alcuna necessità di procedere all’esame alle richieste istruttorie in ordine all’accertamento dei detti fatti, implicitamente ritenute irrilevanti stante appunto la valutazione sugli stessi già operata dalla S.C.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame degli atti e dei fatti di causa, si dolgono che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulla sollevata eccezione di inammissibilità ed improponibilità della domanda (proposta dagli attori) di risarcimento del danno morale; al riguardi evidenziano che nelle conclusioni scritte davanti al Tribunale penale in primo grado le parti civili si erano limitate a chiedere il risarcimento del danno nella misura di Euro 1.000.000,00, senza alcuna precisazione in ordine al danno morale, richiesto nell’atto di costituzione, e da considerare pertanto oggetto di rinuncia.

Il motivo, attenendo alla liquidazione del danno e considerando che la Corte ha deciso che la liquidazione del danno dovesse essere fatta valere in altra sede, va esaminato unitamente al secondo motivo di ricorso incidentale, al quale è connesso.

Con il sesto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2652 c.c., comma 1, n. 6 e art. 2688 c.c., commi 1 e 2, si dolgono che la Corte territoriale, pur avendo rigettato la domanda concernente la declaratoria di nullità dell’atto di vendita di immobili per notar B. del 10-4-2001 e pur avendo S.G. e 0 S.V. provveduto alla trascrizione della detta domanda, non abbia poi ordinato al Conservatore dei RR.II. la trascrizione della detta domanda.

Il motivo è fondato.

Ai sensi dell’art. 2652 c.c., commi 1, n. 6 e comma 2, invero, deve essere giudizialmente ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda diretta a far dichiarare la nullità di atti soggetti a trascrizione (quale la compravendita immobiliare in questione) qualora la detta domanda (come nel caso di specie) sia stata rigettata.

Con il primo motivo di ricorso incidentale S.G. e S.V., denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 74 c.p.p., art. 185 c.p., 622, 392 e 394 c.p.c., si dolgono che la Corte abbia dichiarato inammissibili le domande di nullità dell’atto di vendita per notar B. e di restituzione degli immobili oggetto dello stesso atto; al riguardo sostengono che l’atto di disposizione patrimoniale in questione rientrava tra le condotte ascritte agli imputati e qualificate dalla Corte di Cassazione come delitto di circonvenzione di incapace e che la domanda di nullità dell’atto stipulato dall’incapace conseguiva a detto accertamento, e quindi rientrava tra i profili per i quali la Corte aveva rimesso la valutazione al giudice di rinvio.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non può ritenersi che la domanda di nullità dell’atto di vendita per notar B., e di restituzione degli immobili oggetto dello stesso atto, consegua automaticamente, o comunque sia inclusa, in quella di accertamento del fatto illecito (poi qualificato come delitto di circonvenzione di incapaci) sol perchè ricompreso tra gli atti che l’autore del detto delitto ha indotto la persona incapace a compiere; siffatta domanda di nullità, invero, è distinta da quella di risarcimento dei danni provocati dal detto illecito, essendone all’evidenza diversi il petitum e la causa petendi; nè può ritenersi che la stessa rientri tra i profili in ordine ai quali la S.C. aveva rimesso la valutazione al Giudice di rinvio, atteso che, per effetto dell’annullamento (da parte della S.C.) ai soli effetti civili della sentenza impugnata, oggetto del giudizio di rinvio è solo l’an ed il quantum debeatur a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza del dedotto fatto illecito.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale S.G. e S.V., denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 622 c.p.p. e artt. 392,393 e 394 c.p.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia rimesso ad altro Giudice la liquidazione del danno; al riguardo sostengono che il giudizio che ha luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale ai sensi dell’art. 622 c.p.p. (quale quello di specie) deve considerarsi come giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile al giudizio di cui all’art. 392 c.p.c. e ss.; la Corte, pertanto, sulla base delle ordinarie regole sull’onere della prova, doveva, sulla base delle risultanze emerse nel corso del procedimento penale, accertare la sussistenza e la consistenza del danno.

Il motivo è fondato.

Erroneamente la Corte territoriale ha rimesso ad altro Giudice la liquidazione del danno.

Va, invero, rilevato che, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali, ed essendo venuta meno, con l’esaurimento della fase penale del giudizio, la ragione stessa di attrazione dell’illecito civile nell’ambito delle regole della responsabilità penale, la domanda risarcitoria va esaminata non solo secondo le regole proprie dell’illecito aquiliano (v. Cass. 15859/2019 e Cass. 16916/2019), ma anche nella sua totalità, senza quindi alcuna scissione tra ran” ed il “quantum”, non sussistendo, rispetto al giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.c. dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello, altro ulteriore Giudice; siffatta scissione, peraltro, costringerebbe le parti ad un processo ulteriore e, quindi, ad un incostituzionale (perchè – di per sè – non necessario) incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il loro diritto.

L’accoglimento di detto motivo comporta l’assorbimento del quinto motivo di ricorso principale concernente la liquidazione del danno

Con il terzo motivo di ricorso incidentale S.G. e S.V., denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4 si duole che la Corte, nonostante il giudizi fosse un giudizio civile, abbia liquidato le spese processuali in applicazione d parametri previsti dal detto D.M. per i giudizi penali.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento parziale del ricorso principale e di incidentale, e dal conseguente rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, diversa composizione, anche per nuova regolamentazione delle spese di lite in ragione dell’esito complessivo del giudizio.

In conclusione, pertanto, vanno accolti il secondo, terzo e sesto motivo di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso incidentale; assorbiti il quinto motivo di ricorso principale ed il terzo motivo di ricorso incidentale; va dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso principale e vanno, invece, rigettati il quarto motivo di ricorso principale ed il primo motivo di ricorso incidentale; per l’effetto, va cassata l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Lecce, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo, terzo e sesto motivo di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso incidentale; assorbiti il quinto motivo di ricorso principale ed il terzo motivo di ricorso incidentale; dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso principale e rigetta il quarto motivo di ricorso principale ed il primo motivo di ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Lecce, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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