Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25406 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 20/09/2021), n.25406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22678/2015 proposto da:

G.T., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE TRIBULATO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, ENTE PUBBLICO NON ECONOMICO,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO BOCCEA 34, presso lo studio dell’avvocato

ANNA RITA FERA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO

MATAFU’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1072/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 15/07/2015 R.G.N. 1074/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2021 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO

VISONA’ visto D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 1072, pubblicata il 15 luglio 2015, la Corte d’appello di Messina, adita dal Consorzio Autostrade Siciliane, in via principale, e da G.T., in via incidentale, ha così statuito: “…in parziale riforma della decisione impugnata, condanna il CAS a corrispondere a G.T. a titolo di risarcimento del danno per l’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati fino all’anno 2001, la somma di importo pari a tre mensilità della retribuzione globale di fatto erogata alla cessazione del contratto a termine intercorso nell’anno 2001, oltre interessi come per legge; conferma nel resto l’impugnata sentenza e rigetta l’appello incidentale…”.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il termine apposto ai contratti stipulati nella vigenza della L. n. 230 del 1962, era illegittimo perché le “temporanee esigenze” non erano riconducibili a nessuna delle ipotesi di cui all’art. 1 lettere da a) ad e) di tale legge e che, di contro, i contratti a termine stipulati in epoca successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, erano legittimi perché la specificazione delle esigenze poste a fondamento della apposizione del termine di durata era costituita dall’intesa, intervenuta con le OO.SS. aziendali, che aveva recepito l’Accordo Nazionale del 20 luglio 2002, H quale aveva previsto la formazione di una graduatoria unica per il reclutamento del personale dalla quale attingere i lavoratori da assumere a termine con la qualifica di ATE (Agente Tecnico Esattore) al fine di individuare annualmente una quota di personale cui garantire un periodo annuale di lavoro a tempo indeterminato.

3. Essa, poi, ha affermato che la conversione dei rapporti di lavoro sorti dai contratti a termini ritenuti illegittimi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato era impedita dal divieto imposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, disposizione conforme alla clausola 5 dell’Accordo CES, UNICE, e CEEP, allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella lettura datane dalla Corte di Giustizia, in caso di abusivo utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato;

4. La Corte territoriale, richiamando i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 27481 del 2014, ha ritenuto che il risarcimento, in conformità ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività, rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione di contratti a termine, era configurabile quale sanzione “ex lege” a carico del datore di lavoro, e che per la sua liquidazione era utilizzabile, in via tendenziale, il criterio indicato dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, e non il sistema indennitario omnicomprensivo previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, né il criterio previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

5. Sulla scorta di tale premessa e, tenuto conto delle dimensioni e del numero dei dipendenti, del numero dei contratti ritenuti illegittimi, dell’iter lavorativo del Cortese (sic) e della durata dei contratti e del comportamento delle parti, la Corte territoriale ha liquidato il danno nell’importo corrispondente a tre mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore all’atto della cessazione dell’ultimo dei contratti a termine.

6. Avverso tale pronuncia G.T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria. Il Consorzio Autostrade Siciliane ha resistito con controricorso. Il P.M. ha depositato memoria scritta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, come conv. nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, e ha concluso per il rigetto del primo motivo e per l’accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

7. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, dell’art. 11, del D.Lgs. n. 368 del 2001, e la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Contesta alla Corte territoriale di non avere esaminato anche il secondo dei contratti stipulati da esso ricorrente con il Consorzio nell’anno 2000 e di avere, invece, affermato la nullità soltanto del primo dei contratti stipulati con il Consorzio e non anche del secondo contratto, anch’esso stipulato nella vigenza della L. n. 230 del 1962.

8. Con il secondo motivo (erroneamente rubricato come “III”), la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nel testo vigente ratione temporis, nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Assume l’erroneità dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i contratti stipulati nel periodo 1.10.2002 – 28.9.2009, erano legittimi perché l’apposizione del termine trovava causa nella necessità di copertura “delle esigenze di contratto a tempo determinato, al fine di individuare annualmente una quota di personale cui garantire un periodo minimo di lavoro a tempo determinato (verbale accordo 20.7.2002)”.

9. Al riguardo, sostiene che tale affermazione è frutto di “refuso di altra pronuncia (“circostanza resa ancor più evidente dal sovente richiamo in parte motiva a tale sig. C. quale ricorrente”) e deduce che in atti non era stato prodotto nessun verbale di accordo del 20.7.2002 e che, nell’atto di appello, il Consorzio, contumace nel giudizio di primo grado, nulla aveva eccepito.

10. Addebita, quindi, alla Corte territoriale di avere violato gli artt. 115 e 116 c.p.c. “per il mancato deposito in atti del verbale sindacale richiamato e per la mancata formulazione di alcuna eccezione sul punto” nonché di avere violato l’art. 1 del d.gs. n. 368 del 2001 perché la ragione indicata nei contratti, generica e priva di specificazione, non consentiva il controllo di veridicità e, inoltre, perché non era stata provata la ricorrenza della esigenza che aveva giustificato l’apposizione della clausola di durata.

11. Sostiene che tutti gli undici contratti dedotti in giudizio dovevano essere considerati illegittimi e che di tanto doveva tenersi conto nella determinazione dei danni.

12. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116, e 416 c.p.c., degli artt. 2043, 2697, 2727, 2728, e 2729 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, della L. n. 183 del 2010, art. 32, dell’art. 1226 c.c., e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

13. Precisato di non avere mai domandato la conversione dei rapporti a termine in rapporto a tempo indeterminato, ma di avere chiesto la liquidazione dei danni in misura equivalente a quella prevista per i rapporti di lavoro di impiego privato, addebita alla Corte territoriale di non avere motivato sulle ragioni del rigetto dell’appello incidentale, vertente sul quantum della richiesta risarcitoria, e di non avere tenuto conto della prova offerta in ordine allo stato di disoccupazione e delle persistenti difficoltà di trovare una nuova occupazione in Sicilia. Inoltre, contesta la congruità della misura del risarcimento del danno, richiama i principi di effettività e di dissuasività affermati dalla Corte di Giustizia e asserisce che il quantum del risarcimento liquidato dal giudice di primo grado (venti mensilità dell’ultima retribuzione di fatto) è congruo.

14. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 36, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51, e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Sostiene che il “criterio tendenziale” adottato dalla Corte d’appello (L. n. 604 del 1966, art. 8) è in contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51, che prevede, nella materia dell’impiego pubblico privatizzato, l’applicazione della L. n. 300 del 1970, in ogni caso, e sostiene che il criterio di liquidazione del danno è quello previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

15. Deduce, inoltre, l’incongruità della misura del danno liquidato dalla Corte territoriale perché quest’ultima non aveva tenuto conto del numero dei contratti oggetto dedotti in giudizio (11), dell’arco temporale nel quale essi erano stati stipulati (oltre 10 anni), delle dimensioni del Consorzio e del comportamento complessivamente tenuto dalle parti (mancato riscontro alla lettera di messa in mora, contumacia nel Consorzio nel giudizio di primo grado, mancata produzione dei contratti).

Esame dei motivi.

16. Il primo motivo è infondato.

17. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, condiviso dal Collegio, nell’ambito del processo del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poiché racchiude gli elementi del comando giudiziale, i quali non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicché le proposizioni contenute in quest’ultima, contrastanti col dispositivo, devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (Cass. 67211/2021, Cass. 10238/2019, Cass. 23463/2015, Cass. 3024/2016, Cass. 23463/2015, Cass. 21885/2010).

18. Come già evidenziato nel p. n. 1 di questa sentenza, la Corte territoriale nel dispositivo della sentenza ha dichiarato l’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati fino all’anno 2001. Il ricorso alla forma plurale utilizzata quanto alla preposizione articolata, al sostantivo ed al verbo (dei contratti…stipulati) e del tempo di riferimento (fino all’anno 2001) non apre spazio ad alcun dubbio sul fatto che la Corte territoriale ha dichiarato l’illegittimità di tutti (due) i contratti stipulati fino all’anno 2001.

19. E che la Corte territoriale avesse ben chiaro che il ricorrente nel ricorso aveva domandato la nullità dei termini apposti a tutti (due) i contratti stipulati nel regime della L. n. 230 del 1962, emerge anche dalle argomentazioni motivazionali spese sulla abusiva reiterazione dei contratti a termine (sono stati richiamati la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE e i principi affermati dalla Corte di Giustizia, sentenza impugnata pg. 8, secondo capoverso, pg. 9, pg. 10) e dai criteri adottati per la liquidazione del danno (nella sentenza impugnata si fa cenno, anche “al numero dei contratti ritenuti illegittimi”, pg 11), mentre il riferimento al “primo contratto, stipulato nel 1999…” (pg. 7 primo rigo) è evidente frutto di mera disattenzione nella redazione della sentenza, posto che nel secondo rigo, è utilizzata la forma verbale “siano” (pg. 7 secondo rigo) in stretta connessione logica con l’affermazione “non potendosi ricondurre ad alcuna di tali ipotesi le temporanee esigenze, genericamente indicate nei contratti in questione … (pg. 6 penultimo e ultimo righi).

20. Il secondo motivo è inammissibile.

21. La censura di violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, non è riferibile al decisum perché la Corte territoriale non ha affatto affermato che la disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, poteva essere derogata dall’Accordo Nazionale del 20 luglio 2002 ma ha rinvenuto in questo le ragioni che avevano giustificato l’apposizione del termine ai contratti stipulati tra il Consorzio e la ricorrente a partire dall’anno 2002.

22. Va anche osservato che le censure, tra le quali quelle che contestano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., risultano formulate in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 6. Le censure, infatti, sono fondate sul verbale di Accordo del 20 luglio 2002 e sullo sviluppo processuale dei giudizi di merito (contumacia del Consorzio di primo grado), senza riprodurre nel ricorso, quanto meno nelle parti salienti e rilevanti, l’Accordo, i verbali delle udienze celebrate nel giudizio di primo grado, gli scritti difensivi delle parti, atti di cui non viene individuata la specifica sede di produzione processuale, impedendo, per tal via a questa Corte, di renderne possibile l’esame (Cass. Sez. Un. 34469/2019).

23. Non è pertinente il richiamo operato nella memoria difensiva depositato dalla ricorrente alla decisione di questa Corte n. 13418 del 2018, in quanto relativo a fattispecie nella quale non veniva in discussione alcun profilo di inammissibilità delle censure, diversamente da quanto accade nel caso in esame (cfr. p. n. 22 di questa sentenza).

24. Il terzo motivo e il quarto motivo devono essere trattati congiuntamente in ragione della stretta connessione delle censure formulate.

25. Il terzo motivo è infondato perché la Corte territoriale ha spiegato le ragioni del rigetto dell’appello incidentale formulato dalla odierna ricorrente, correlato alla misura del risarcimento del danno, ha liquidato il danno in via presuntiva perché ha ritenuto non necessaria la allegazione e la prova del suo verificarsi (statuizione non oggetto di ricorso incidentale da parte del Consorzio), ed ha tenuto conto proprio dei criteri di cui la ricorrente lamenta la mancata applicazione, tra i quali quello del numero dei contratti di cui era stata dichiarata la illegittimità (stipulati prima dell’anno 2002).

26. Il quarto motivo è fondato.

27. Questa Corte ha affermato, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 5072 del 2016, che nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

28. Nella richiamata sentenza è stato precisato, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, che nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge in modo legittimo sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari.

29. E’ stato, inoltre, osservato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno.

30. Rilevato che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori” (cfr. (cui hanno dato seguito, fra le tante, Cass. 4.3.2020 n. 6097, Cass. 23.6.2020 n. 12363, Cass. 8927 e 8885 del 2017 Cass. nn. 16095 e 23691 del 2016).

31. La Corte di giustizia, pronunziandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Trapani, con la ordinanza del 5 settembre 2016, partendo dai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sopra richiamati, ha osservato, sotto il profilo specifico del principio di effettività della misura sanzionatoria, che: gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola 5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, sicché non può nemmeno essere loro imposto di concedere in assenza di ciò un’indennità destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto (sentenza Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018 in causa C 494/2016, punto 47); tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione dell’esistenza di una perdita di opportunità, il ricorso a presunzioni dirette a garantire ad un lavoratore che abbia sofferto, a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione, una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è tale da soddisfare il principio di effettività (sentenza Corte di Giustizia UE cit., punto 50);

32. Il giudice Europeo ha, poi, confutato la tesi secondo cui la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine, in quanto la stessa non tiene conto del fatto che il danno comunitario presunto, L. n. 183 del 2010, ex art. 32, nel settore pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per l'”utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e pertanto il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione (cfr. in tali termini, Cass. 3.12.2018 n. 31175).

33. In conclusione, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, devono essere rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso e deve essere dichiarato inammissibile il secondo motivo.

34. La sentenza impugnata va dunque cassata in ordine al motivo accolto e la causa rimessa, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania, che dovrà limitarsi a quantificare il danno conseguente all’abuso per l'”utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato” attenendosi al seguente principio di diritto: “In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito”.

PQM

La Corte:

accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta il primo ed il terzo e dichiara l’inammissibilità del secondo.

Cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Catania, anche quanto alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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