Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25406 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. III, 10/10/2019, (ud. 22/02/2019, dep. 10/10/2019), n.25406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17754-2017 proposto da:

P.E., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GUIDO FIORILLO;

– ricorrente –

contro

F.E., S.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7666/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione F.E. e S.S., in proprio e nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori D. e S.A., evocavano in giudizio P.E., quale socio accomandatario della Pizzeria Antico Grottino di P.E. & C. s.a.s., davanti al Tribunale di Velletri, richiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa delle immissioni intollerabili di odori, vapori e fumi provenienti dal locale adibito a pizzeria. Allegavano denunzia-querela proposta nei confronti del convenuto, in relazione all’installazione abusiva sulla parete condominiale di una canna fumaria che produceva immissioni di fumi e fuliggine, e che non consentiva di aprire le finestre dell’abitazione sita al terzo piano; depositavano i verbali delle autorità che, sin dal 2001, avrebbero constatato l’irregolarità della situazione, e la consulenza di parte, redatta nell’ambito di un separato giudizio civile, promosso dai condomini dello stabile, dalla quale emergevano carenze costruttive e funzionali nell’istallazione della canna fumaria, oltre agli accertamenti eseguiti successivamente dagli ispettori della Asl competente territorialmente.

2. Si costituiva la società convenuta chiedendo il rigetto della domanda, non sussistendo alcuna immissione superiore ai limiti di legge. La causa era istruita con l’espletamento della prova testimoniale e consulenza tecnica di ufficio.

3. Il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, con sentenza n. 498/2011 rigettava la domanda compensando le spese, rilevando che,dalle dichiarazioni dei testi escussi, che si erano occupati della vicenda per ragioni del proprio ufficio, non era emersa l’intollerabilità dei fumi e delle fuliggine provenienti dalla canna, poichè il titolare della pizzeria si era adeguato alle prescrizioni che gli enti avevano richiesto nel tempo.

4. Avverso tale decisione proponevano appello la F. e lo S., in proprio e nella dedotta qualità, lamentando il travisamento dei fatti, l’insufficiente valutazione delle risultanze processuali, l’illogicità della motivazione e il contrasto della pronunzia con la giurisprudenza in materia. Si costituiva l’appellato insistendo per il rigetto dell’impugnazione.

5. Con sentenza del 21 dicembre 2016 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza appellata, accoglieva la domanda, condannando la Pizzeria Antico Grottino di P.E. & C. s.a.s. al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

6. Avverso tale decisione P.E., quale socio accomandatario della Pizzeria Antico Grottino di P.E. & C. s.a.s. propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

7. Questa Corte, Sezione Sesta, con ordinanza interlocutoria del 30 luglio 2018 n. 20160 disponeva la trattazione della controversia in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 844 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere applicabile, in via cumulativa, l’azione ai sensi dell’art. 844 e quella ai sensi dell’art. 2043 c.c. Le risultanze processuali evincibili dalle consulenze attesterebbero che il ricorrente avrebbe adeguato la canna fumaria alle norme di legge, che l’episodio oggetto di condanna penale nel 2005 non si sarebbe ripetuto e che, successivamente a quella data, le immissioni non sarebbero state intollerabili.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione l’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 rilevando, con considerazioni analoghe a quelle oggetto del precedente motivo, che dopo l’episodio oggetto della sentenza penale non vi sarebbero state più immissioni illecite.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., lett. e) in quanto il giudice di appello non avrebbe considerato che alla controparte erano state rigettate “tutte le domande spiegate: azioni reali possessoria e connesse domande di danno”. Tali vicende sarebbero state definite con sentenze aventi efficacia di giudicato.

4. Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 poichè la esposizione sommaria dei fatti di causa è del tutto carente. Lo stesso ricorrente ammette di non voler “ripercorrere il lungo iter processuale rinveniente dalla vicenda” che sintetizza dicendo che la stessa riguarda l’istallazione di una canna fumaria in un locale ad uso commerciale e che la vicenda è stata definita con una sentenza del 2005 del Tribunale di Velletri e del 2009 del Tribunale di Velletri. Entrambi i dati sono inconferenti perchè la sentenza di primo grado del nostro giudizio è del 2011 e viene precisato di che cosa si è occupato il Tribunale di Velletri nelle due precedenti decisioni e quali fossero le parti dei giudizi. Vi è un riferimento alla decisione del 2011, nella quale il giudice darebbe atto che, il P., alla fine si sarebbe adeguato alle prescrizioni di legge relative alla realizzazione della canna fumaria, mentre il giudice di appello, errando nella decisione, avrebbe condannato il ricorrente al risarcimento dei danni.

5. Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

6. Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti.

7. In effetti, il tenore dell’esposizione del fatto omette: a) l’indicazione dei fatti costituivi della domanda, se proposta ex art. 2043 c.c. o art. 844 c.c. o entrambe e se per danni patrimoniali all’immobile o alla salute o entrambi e subiti da quali tra i quattro attori; b) le ragioni poste a sostegno della comparsa di costituzione del tutto omessa; c) le modalità di svolgimento del giudizio di primo grado, attività istruttoria, consulenza e prove testimoniali; d) le ragioni della decisione di primo grado sono accennate, ma vi è il riferimento del tutto oscuro ad altre due sentenze precedenti del Tribunale di Velletri presumibilmente instaurate dai condomini, ma di cui non si conosce nulla; e) sono ignoti i motivi di appello e del tutto omesse le ragioni della decisione di secondo grado, se non che la sentenza ha comportato la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni.

8. Lo scrutinio dei tre motivi risulta impossibile in ragione delle dette lacune.

9. I motivi, strettamente connessi, sono, altresì, inammissibili per ulteriori ragioni.

10. In primo luogo viene dedotta la violazione delle due norme codicistiche e viene riportato il passaggio della decisione oggetto di contestazione, con specifico riferimento alla argomentazione del giudice di appello secondo cui “venendo in considerazione unicamente la illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ai sensi dell’art. 844 c.c.”. In realtà, poi, la doglianza si occupa di tutt’altro. La censura riguarda esclusivamente la valutazione degli elementi di prova richiedendo alla Corte di legittimità una inammissibile verifica dell’attività istruttoria espletata.

11. In secondo luogo i motivi sono dedotti in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, con riferimento alla allegazione, individuazione nell’ambito del fascicolo di legittimità o comunque trascrizione degli elementi di prova sulla base dei quali parte ricorrente fonda la argomentazione, secondo cui non vi sarebbe stata alcuna condotta illecita successiva all’accertamento che aveva prodotto il processo penale. Sotto tale profilo il riferimento a “tutti i c.t.u. che si sono occupati della vicenda” è assolutamente generico non facendo riferimento, nè al contenuto degli elaborati, nè alla circostanza se si tratti di quelli espletati nel presente giudizio o in altri procedimenti, peraltro individuati in maniera oltre modo generica nella premessa del ricorso con riferimento al giudizi “di cui alle sentenze 158 del 2005 del Tribunale di Velletri e 325 del 2009 del Tribunale di Velletri”. Analoghe considerazioni riguardano il riferimento ad un presunto verbale “del 16 luglio 2006 (vedasi sentenza 325 del 2009)” di cui non viene indicato l’oggetto, la collocazione nell’ambito del presente procedimento e neppure gli elementi che possano individuare un diverso procedimento, le parti di quel giudizio e le statuizioni.

12. Quanto al terzo motivo, nel quale parte ricorrente sembra eccepire una sorta di giudicato esterno, oltre alle considerazioni già espresse, la violazione pare riferirsi all’ipotesi prevista all’art. 360 c.p.c., n. 5 (e non lett. e) e cioè all’omessa valutazione di un fatto storico e non giuridico. La disposizione, pertanto, non è applicabile alla questione dedotta, che viene comunque illustrata in aperta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 atteso che l’assoluta genericità della formulazione della doglianza non consente di comprendere a quali giudizi la parte intende riferirsi, quale sarebbe l’oggetto del giudicato e rispetto a quali parti le decisioni invocate sarebbero state adottate.

13. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla per le spese perchè la parte intimata non ha svolto attività processuale in questa sede. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza Suprema di Cassazione, il 22 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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