Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25404 del 12/12/2016


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Cassazione civile, sez. I, 12/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep.12/12/2016),  n. 25404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI MORMANNO, elettivamente domiciliato in Roma, via Bruxelles,

n. 27, nello studio dell’avv. Paola Nigro; rappresentato e difeso

dall’avv. Vincenzo Maradei, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.F., M.R., EREDI DI M.F.,

elettivamente domiciliate in Roma, via Zanardelli, n. 23, nello

studio dell’avv. Angelo Tanzi; rappresentate e difese dall’avv.

Mario Mari, giusta procura speciale a mergine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, n. 869,

depositata in data 14 ottobre 2010;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 10 maggio 2016

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Sergio Del Core, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con atto di citazione del 5 febbraio 1990 il sig. M.F., in proprio e quale erede del fratello V., conveniva davanti al Tribunale di Castrovillari il Comune di Mormanno, chiedendo la determinazione dell’indennità di espropriazione relativa a un fondo sottoposto a procedimento ablativo per la realizzazione di un edificio scolastico. In precedenza, con una decisione della Corte di appello di Catanzaro depositata in data 5 gennaio 1981, era stato affermato il diritto dei proprietari alle indennità di esproprio e di occupazione, da liquidarsi ai sensi della L. n. 385 del 1980, art. 2.

1.1 – Il Tribunale adito, rigettata con sentenza non definitiva l’eccezione del Comune secondo cui l’indennità avrebbe dovuto essere determinata ai sensi della L. n. 385 del 1980, con decisione del 22 novembre 2001 condannava il Comune di Mormanno al pagamento della somma di Euro 997,98.

1.2 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, avendo già dichiarato, con decisione depositata il 21 ottobre 2008, la nullità delle sentenze di primo grado, determinava l’indennità di espropriazione in Euro 228.820,71 e quella di occupazione in Euro 19,664,32, aderendo – previo giudizio di irricevibilità delle osservazioni a firma del responsabile tecnico dell’Ufficio comunale – alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio all’uopo nominato, fondate sulla natura edificabile del suolo.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Mormanno propone ricorso, affidato a due motivi, cui le sigg.re M.M.F. e R., eredi del sig. M.F., resistono con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo del ricorso principale, deducendosi violazione dell’art. 2909 c.c., nonchè “vizio di motivazione”, si sostiene che la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciare in merito all’eccezione fondata sulla preclusione nascente dal giudicato formatosi a seguito di una precedente decisione resa inter partes della stessa Corte di appello di Catanzaro in data 5 gennaio 1981, con la quale si riconosceva “il diritto di M.F. e M.V. all’indennità di esproprio da determinarsi ai sensi della L. n. 385 del 1980, art. 1, nonchè il diritto all’indennità di occupazione..”. Il sig. M.F., il quale aveva agito anche come erede del fratello V., deceduto nel frattempo, non avrebbe potuto, “per il principio del ne bis in idem”, rivolgendosi al Tribunale di Castrovillari per ottenere la determinazione dell’indennità, proporre un secondo giudizio “su questione già trattata e decisa con sentenza passata in giudicato”.

2.1 – La censura è inammissibile, laddove denuncia un vizio motivazionale in merito ad un error in procedendo, in relazione al quale questa Corte, essendo giudice del fatto, inteso in senso processuale, ha il potere di accertarlo indipendentemente dalle argomentazioni svolte nella decisione impugnata.

2.2 – Sotto l’altro profilo dedotto va osservato, in primo luogo, che la doglianza si fonda su una nozione di cosa giudicata che non trova rispondenza nell’art. 2909 c.c.: il vincolo derivante dall’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non si riflette, sul piano processuale, sul divieto generalizzato – come sembra sostenersi nel ricorso – di far valere in giudizio il diritto già azionato, ma semplicemente impedisce di rimettere in discussione in altri giudizi l’oggetto dell’accertamento già operato. La sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro nell’anno 1981, non impugnata ed invocata dal Comune di Mormanno, in realtà, pur senza procedere alla relativa liquidazione, affermava il diritto degli attori a percepire le indennità di espropriazione e di occupazione: l’accertamento operato fra le stesse parti e con riferimento al medesimo rapporto li vincola anche in eventuali giudizi successivi (Cass., 16 giugno 2006, n. 13916), e quindi nella specie non sussisteva alcuna preclusione, salva l’incidenza di fatti estintivi sopravvenuti, nella specie neppure dedotti, a far valere in un giudizio successivo il diritto così come affermato nella menzionata decisione.

2.3 – Non può omettersi di sottolineare, d’altra parte, che con decisione non definitiva del 6 ottobre 2008, non impugnata da alcuna delle parti, la stessa Corte di appello aveva statuito, in maniera vincolante per le fasi successive del giudizio, che l’indennità dovesse essere determinata sulla base del valore di mercato del bene, criterio sul quale la decisione impugnata si fonda.

3 – Deve viceversa ritenersi meritevole di accoglimento la seconda censura.

3.1 – Vale bene premettere che la configurazione formale della rubrica del motivo di ricorso non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass., 30 marzo 2007, n. 7981, relativa a ricorso in cui, a fronte della evocazione, nella rubrica dei motivi, dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per vizio di motivazione, il contenuto delle contestazioni concerneva anche il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto; Cass., 7 novembre 2012, n. 19234; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1370).

3.2 – Nella specie, pur essendosi indicato in rubrica il vizio di motivazione, la censura attiene nella sostanza (anche) a un profilo squisitamente giuridico, essendosi dedotto che nella specie la qualificazione giuridica del terreno, ritenuto edificabile, era stata meramente presunta, per altro a fronte di documentazione di segno opposto richiamata in una memoria, contenente osservazioni alla consulenza tecnica d’ufficio, relative alla collocazione dei terreni, all’epoca dell’ablazione, in zona agricola.

3.3 – Premesso che la ricognizione giuridica del terreno, tuttora rilevante, costituisce il prius logico e giuridico delle determinazione dell’indennità, deve ribadirsi che, come sopra accennato, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – rimane ancora valida anche ai fini della determinazione dell’indennità. L’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo, fondato sulla edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37.

3.4 – In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass., n. 7987/2011; Cass., n.9891/2007; Cass., n. 3838/2004; Cass., n. 10570/2003; Cass., Sez. un., nn. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; Cass., n. 2605/2010; Cass. nn. 21095 e 16537/2009).

3.5 – Deve quindi constatarsi che la corte distrettuale (oltre a incorrere nel denunciato vizio motivazionale, omettendo di confutare i dettagliati rilievi mossi alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio: Cass., 2 dicembre 2011, n. 25862; cass., 24 aprile 2008, n. 10688; Cass., 1 marzo 2007, n. 4797), ha sostanzialmente eluso tale dovere, da un lato, affermando, che le deduzioni del Comune non potevano essere condivise, non essendo stata allegata la relativa documentazione, per tale ragione “non verificabile”, dall’altro persino trascurando di considerare la natura del procedimento espropriativo, finalizzato, come emerge dagli scritti difensivi di entrambe le parti, alla realizzazione di una scuola media.

3.6 – Sotto il primo profilo deve osservarsi che le previsioni urbanistiche di un determinato Comune sono verificabili – e vanno verificate – indipendentemente dalle produzioni documentali delle parti.

3.7 Non può omettersi di richiamare, quanto al secondo aspetto, l’orientamento, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15389 del 2007; n. 15616 del 2007; 12862 del 2010; n. 8231 del 2012; n. 14347 del 2012), secondo cui la destinazione di aree ad edilizia scolastica configura, un tipico vincolo conformativo – in quanto trascende le necessità di zone circoscritte, ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti -, ma, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, determina il carattere di non edificabilità delle relative aree, neppure sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato.

4 – La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, che, in diversa composizione, applicherà – senza incorrere negli evidenziati vizi motivazionali, i principi sopra indicati, provvedendo, altresì, in ordine al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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