Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25402 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 11/11/2020), n.25402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15792-2016 proposto da:

V.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FALERIA 17,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO RUSSO (STUDIO LEGALE RUSSO

& PARTNERS), rappresentato e difeso dall’avvocato VIRGILIO

QUAGLIATO;

– ricorrente –

contro

ADLER EVO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 31, presso lo studio

dell’avvocato COSTANTINO TONELLI CONTI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DAVID FRACCHIA;

– controricorrente –

e contro

HUMANGEST S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 55/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 08/02/2016 r.g.n. 353/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIERO PONZOLETTI, per delega Avvocato VIRGILIO

QUAGLIATO;

udito l’Avvocato MONICA MARUCCI, per delega Avvocato DAVID FRACCHIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Pesaro accoglieva la domanda proposta da V.R., intesa ad ottenere la declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato conseguente all’illegittimità del contratto di somministrazione di lavoro intercorso fra la s.r.l. Adler Evo e la Humangest e delle successive tre proroghe, e, dichiarata la nullità del contratto e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la società utilizzatrice e la lavoratrice, condannava la Adler Evo al risarcimento del relativo danno.

2. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza dell’8.2.2016, accoglieva l’appello principale proposto dalla società Adler Evo s.r.l. ed, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda della V., rilevando che la causale del contratto di somministrazione era ammissibile e sufficientemente specifica sia perchè indicativa delle oggettive esigenze aziendali attinenti al settore produttivo, sia perchè riproducente l’espressione utilizzata dal c.c.n.l., potendo il riferimento alle “punte di intensa attività”, riferita a quattro nuove commesse, costituire valido motivo di ricorso alla somministrazione, per essere nel caso esaminato l’urgenza di assunzione di manodopera a ciò conseguente dimostrata dalla prova orale espletata.

2.1. La Corte distrettuale respingeva, invece, l’appello incidentale condizionato della lavoratrice, osservando come, anche per le proroghe, le emergenze non prevedibili avevano giustificato il ricorso alle stesse.

3. Di tale decisione domanda la cassazione al V., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società Adler Evo, che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. La Humangest è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 1, lett. c e del D.Lgs. n. 368 del 2001, in relazione alla mancanza di motivazione sottesa al ricorso alla somministrazione di lavoro, sostenendo che, mentre le punte di intensa attività sono controllabili e denotano un’esigenza transitoria, altra cosa è che l’assunzione avvenga per l’esecuzione di più commesse, mancando addirittura l’esigenza temporanea stessa, e che, peraltro, la ripetizione di una formula legale non può, per definizione, che essere generica e come tale non rilevante ai fini considerati.

2. Con il secondo motivo, la V. lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, dell’art. 21, comma 1, lett. c) medesimo D.Lgs. e del D.Lgs. n. 368 del 2001, in relazione alla erronea valutazione in diritto della causale della somministrazione di lavoro e delle proroghe contrattuali, adducendo che la Corte non abbia correttamente interpretato le risultanze probatorie che avevano, al contrario, dimostrato l’assoluta mancanza di motivazioni in capo alla società per utilizzare l’istituto della somministrazione, evidenziando, in particolare, che una delle commesse fosse a fine ciclo, il che rendeva evidente che non potesse costituire una ragione legittimante l’apposizione del termine per essere la fase espansiva del lavoro cessata da tempo.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente ascrive alla decisione violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21 in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nella parte in cui la Corte non ha esaminato in modo conforme a diritto la causale del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, limitandosi a riportare il contenuto di decisioni della Suprema Corte relative alla necessità di sufficiente specificazione della causale e della ragione giustificativa del ricorso alla somministrazione per renderne possibile il controllo di effettività e ritenendo che le esigenze richiamate integrassero nulla più che una clausole di stile.

4. Il primo motivo va disatteso in quanto, come è noto, la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’impresa.

4.1. La norma introduce una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, per cui si impone più che mai la necessità di una verifica diretta ad accertare, non la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine (come, invece, previsto espressamente dalla norma transitoria di cui al D.Lgs, n. 276 del 2003, art. 86, comma 3, diretto a mantenere in vita fino alla scadenza le clausole dei contratti collettivi stipulati ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1), quanto, piuttosto, la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente, allo scopo di escludere il rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dalla norma di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, o se non addirittura il rischio del superamento del limite rappresentato dalla necessità che non siano perseguite finalità elusive delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo atte ad integrare l’ipotesi, sanzionata, della somministrazione fraudolenta (cfr. Cass. 22.11.2019 n. 30563, con richiamo, in particolare, a Cass. 15/07/2011 n. 15610).

4.2. Correttamente la Corte d’appello ha affrontato la questione pervenendo alla conclusione che, poichè il controllo giudiziario sulle ragioni che consentono la somministrazione è limitato per legge all’accertamento dell’esistenza di quelle stesse ragioni che la norma pone a base del ricorso ad una tale tipologia di contratto e non può estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, rimane ferma la necessità che la società convenuta in giudizio dia la dimostrazione della effettiva esistenza dell’esigenza alla quale si ricollega la singola assunzione del lavoratore.

4.3. Tale soluzione è perfettamente logica in quanto risponde alle suddette esigenze di verifica del rispetto del summenzionato dettato normativo di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, sulle causali che consentono il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, oltre che del divieto di ricorso a forme di somministrazione fraudolenta. Nella specie la ragione giustificativa è stata ritenuta assistita da adeguata dimostrazione attraverso l’espletamento della prova orale e tanto è sufficiente per ritenere la pronuncia conforme ai principi affermati in materia.

5. Il secondo motivo si incentra su considerazioni che denotano una interpretazione delle prove e ricostruzione dei fatti effettuate dalla ricorrente in maniera antitetica a quella effettuata dalla Corte, ciò che non può costituire valido fondamento della deduzione di violazione di legge quale contenuta nel motivo di ricorso, che come tale è inammissibile.

6. Quanto alla dedotta necessità – delineata nel terzo motivo – di applicare la formulazione originaria del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 correlata alla necessità di motivare in maniera dettagliata il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato per evitare abusi o abili forzature della normativa e dell’intento del legislatore, è sufficiente il richiamo a Cass. 13515 del 20.5.2019, a tenore della quale “se, come ancora recentemente è stato ribadito (Cass. 14 marzo 2018, n. 6152), per alcuni aspetti il contratto di lavoro somministrato può essere accostato, sotto il profilo funzionale, al contratto a tempo determinato, essendo entrambi strumenti obiettivamente alternativi di acquisizione, diretta e indiretta, di prestazioni lavorative temporanee, il primo si distingue tuttavia in modo chiaro dal secondo”. E’ stato evidenziato come “il contratto di somministrazione è un contratto commerciale tipico, collegato funzionalmente al contratto di lavoro somministrato stipulato dal lavoratore con l’agenzia di somministrazione, con il coinvolgimento pertanto di tre soggetti (anzichè due). Anche le finalità sono diverse, come si evince dalla Direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale e recepita con il D.Lgs. n. 24 del 2012, che, a differenza della Direttiva 1999/70/CE, non pone l’obiettivo della prevenzione dell’abuso del ricorso alla somministrazione. E ciò perchè l’impiego tramite l’agenzia interinale non è considerato pericoloso, essendo apprezzato come forma di impiego flessibile, in quanto può concorrere “efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili” (art. 4). La Direttiva impegna anzi gli Stati membri ad un “riesame delle restrizioni e divieti”, che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4), presenti negli ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati “soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi”. Sicchè, in linea con i suddetti tratti identificativi del contratto di somministrazione come innanzi definiti, alle ragioni indicate nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4 è stato attribuito il significato di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, nella distinzione di significato e ratio delle norme relative al contratto a termine da quelle relative alla somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto (Cass. 6 ottobre 2014, n. 21001, con ampio richiamo di precedenti conformi in motivazione e più specifico riferimento alla sufficiente specificità delle ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione, indicate in “punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo”).

6.1. Questa Corte ha pure recentemente richiamato (Cass. 19 marzo 2019, n. 7637) la preclusione della possibilità di scrutinare la legittimità del contratto di somministrazione sulla base delle regole previste in materia di lavoro a termine alla luce del recente arresto della Corte di Giustizia Europea, che ha chiarito come il lavoro somministrato o interinale non sia soggetto all’accordo quadro e alle direttive comunitarie in materia di lavoro a termine, imponendo così di mantenere distinti e separati i due ambiti normativi (CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, in causa C-290/12).

7. Tutte le ragioni esposte conducono al rigetto dell’impugnazione.

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate, in favore della Adelr Evo srl, nella misura indicata in dispositivo. Nulla va statuito per le spese nei confronti dell’altra società che non ha svolto alcuna attività difensiva.

9. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5250,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%. Nulla per spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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