Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25401 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 09/10/2019), n.25401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20616-2018 proposto da:

ASIA NAPOLI – AZIENDA SERVIZI IGIENE AMBIENTALE SPA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

FIORILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO D’APONTE;

– ricorrente –

contro

S.A., B.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7525/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’08/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 7525/2017 aveva accolto l’appello proposto da S.A. e B.G. avverso la decisione con la quale il locale tribunale aveva rigettato la domanda dagli stessi diretta al riconoscimento dell’obbligo di A.S.I.A Napoli, di cui erano dipendenti, di provvedere alla manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) prevista e accertata dal D.Lgs. n. 81 del 2008 PI) loro assegnati ed al loro lavaggio, oltre che il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno subito per gli oneri economici sostenuti per i lavaggi effettuati presso lavanderie private.

La corte territoriale, accertata la natura protettiva dell’igiene e sicurezza degli indumenti in questione, in relazione alle mansioni svolte di operatori ecologici addetti alla raccolta di rifiuti solidi urbani, riteneva sussistente l’obbligo di manutenzione in questione a carico della società, liquidando il danno subito da ciascun lavoratore equitativamente in complessivi Euro 688,00 oltre interessi legali dalla decisione al saldo.

Avverso tale decisione proponeva ricorso la A.S.I.A. Napoli affidato a due motivi.

Il S. e il B. rimanevano intimati.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 74 ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la nozione di D.P.I”.

2) Con il secondo motivo è dedotta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 74 ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la sussistenza o meno dell’obbligo aziendale di fornire ai lavoratori D.P.I.”.

Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti al medesimo presupposto di identificazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e dell’accertamento del conseguente (eventuale) obbligo in capo al datore di lavoro.

Se pur si superino i profili di inammissibilità delle censure per il confuso contestuale richiamo a vizi di violazione di legge e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (quest’ultima non più ammissibile a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma, n. 5 – SU Cass. n. 8053/2014), se ne deve comunque affermare la infondatezza.

Deve premettersi che questa Corte, con riferimento a fattispecie relativa ad una lavoratrice addetta ad attività di pulizia delle vetture dei treni, ha chiarito che “In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, gli indumenti con funzione protettiva dal contatto con sostanze nocive o patogene rientrano tra i dispositivi di protezione individuale, previsti dalla L. n. 626 del 1994, art. 40 (applicabile “ratione temporis”), sicchè rispetto ad essi è configurabile un obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza (Cass. 18674/2015).

Ha invece escluso la esistenza dell’obbligo e la natura di DPI in caso di indumenti che ” per le loro caratteristiche di capi comuni di abbigliamento (tute di stoffa) e la loro funzione di vestizione in quanto strumentali al solo scopo di mera preservazione degli abiti civili dell’attuale ricorrente dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa” (cass. n. 5176/2014- Cass. n. 29760/2017)

Risulta quindi dirimente, rispetto alla valutazione cui il Giudice è chiamato, la corretta individuazione della concreta fattispecie ed in particolare della tipologia di indumenti cui essa si riferisce.

Con accertamento di merito in questa sede non rivedibile, la corte territoriale ha accertato (pg 5 sentenza) che i giubbotti e pantaloni assegnati servivano a fini igienici ovvero di protezione dei lavoratori in quanto esposti a polvere e rifiuti, e dunque finalizzati a fungere da schermo rispetto ad agenti patogeni di pregiudizio alla salute.

La valutazione così svolta deve quindi far ritenere che la conclusione cui la corte territoriale è addivenuta circa la natura di DPI degli indumenti in questione risulta coerente con la individuazione della esistenza dell’obbligo datoriale di manutenere i Dispositivi necessari per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, trattandosi di ricorso vertente su questioni sulle quali esiste un orientamento consolidato della Corte rispetto al quale non sussistono ragioni per discostarsi (Cass. n. 7155/2017; conf. Cass. n. 4366/2018). Nulla per le spese.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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