Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25397 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 11/11/2020), n.25397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18163-2015 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 40,

presso lo studio dell’avvocato MARIA GRANILLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA FORTE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

e contro

F.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 35/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 29/01/2015 R.G.N. 405/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 35/2015, pubblicata in data 29 gennaio 2015, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’impugnazione del Ministero della Giustizia ed in riforma della decisione del Tribunale di Macerata, respingeva la domanda proposta, anche nei confronti del controinteressato F.E., da A.G. (cancelliere in servizio nell’ufficio del giudice di pace di (OMISSIS)), intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento di esclusione del ricorrente dalla procedura per l’attribuzione della fascia economica superiore di cui al P.D.G. 2 dicembre 2010 con ordine al Ministero di consentire al predetto di partecipare a detta procedura;

a sostegno della statuizione di accoglimento il Tribunale aveva escluso che l’applicazione della sanzione disciplinare conservativa (della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per giorni cinque) fosse ostativa alla partecipazione alla procedura selettiva in quanto detta sanzione, ancorchè comminata nel periodo di riferimento, era tuttavia rimasta senza effetto (per non avere il Ministero rispettato i termini per aderire alla procedura arbitrale e per nominare l’arbitro), per di più, neppure applicata dall’Amministrazione giudiziaria;

la Corte territoriale, invece, riteneva che il fatto che le parti non avessero coltivato la procedura arbitrale non determinasse la sopravvenuta inefficacia della sanzione disciplinare conservativa, sanzione peraltro eseguita mediante notifica all’interessato nel luglio 2011 ed evidenziava, altresì, che la connotazione ostativa riguardava la mera applicazione della sanzione indipendentemente dalla sua esecuzione;

2. avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.G. con sei motivi;

3. il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;

4. F.E. è rimasto intimato;

5. non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. nonchè omessa e contraddittoria motivazione;

sostiene che andasse dichiarata l’inammissibilità dell’appello per avere il Ministero prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado avendo dato esecuzione alla stessa senza alcuna riserva;

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e ss. del c.c.n.q. su arbitrato e conciliazione del 23.1.2001 poi rinnovato con c.c.n.q. del 24.7.2003 come richiamato dall’art. 19, comma 4 c.c.n.l. 2002/2005 del comparto dipendenti ministeriali;

censura la sentenza impugnata per aver sostanzialmente ritenuto ordinatorio il termine di 10 giorni di cui all’art. 3 e richiama Cass. 21 dicembre 2000, n. 16050;

3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2,3 e 6 c.c.n.q. su arbitrato e conciliazione del 23.1.2001 poi rinnovato con c.c.n. q. del 24.7.2003 come richiamato dall’art. 19, comma 4 c.c.n.l. 2002/2005 del comparto dipendenti ministeriali;

censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto come ostativa alla partecipazione alla procedura di progressione economica una sanzione assunta dal datore di lavoro, tempestivamente impugnata e non irrogata;

4. con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.;

censura la sentenza impugnata per aver erroneamente applicato il principio dell’onere della prova a seguito di specifica contestazione dei fatti di causa;

assume che il documento da cui sarebbe emersa l’avvenuta esecuzione della sanzione disciplinare nel 2011 (e cioè comunque dopo la diffida stragiudiziale con cui la parte aveva chiesto al Ministero di procedere all’annullamento dell’esclusione dalla procedura) non sarebbe mai stato notificato al dipendente e sarebbe peraltro confutato dalla buste paga di luglio, agosto, settembre 2011 non evidenzianti alcuna decurtazione a titolo di sospensione della retribuzione;

5. con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175 – 1375 c.c.;

censura la sentenza impugnata per non aver in alcun modo considerato il dovere di correttezza, imparzialità e buona fede che deve connotare il comportamento del datore di lavoro;

rileva che, nella specie, l’inerzia della P.A., confliggente irreparabilmente con gli indicati principi, non avrebbe potuto risolversi in conseguenze negative per il dipendente;

6. con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362 e 1366 c.c. nonchè contraddittoria motivazione in punto di interpretazione dell’art. 2 del bando;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe confutato in punto di fatto la privilegiata interpretazione dell’espressione riportato di cui al bando proprio valorizzando, in modo del tutto illogico, l’avvenuta esecuzione irrogazione della sanzione disciplinare solo nel 2011;

assume che una interpretazione della previsione del bando andava, comunque, effettuata in ossequio al criterio della buona fede, “in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere”, con la conseguenza che giammai la stessa avrebbe potuto consentire la produzione di effetti negativi non espressamente previsti per il soggetto interessato;

2. il primo motivo di ricorso è infondato;

va ricordato che l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione;

ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole alla controparte, anche quando la riserva d’impugnazione non venga resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (v. Cass. 29 maggio 2012, n. 8537; Cass. 11 luglio 2012, n. 11769; Cass. 30 novembre 2012, n. 21385; Cass. 14 gennaio 2013, n. 698);

8. gli altri motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono fondati nei termini di seguito illustrati;

8.1. risulta dalla sentenza impugnata ed è pacifico tra le parti che, in sede di bando per l’attribuzione della fascia economica superiore (P.D.G. 9 agosto 2010), fosse stato indicato, richiamandosi e riproducendosi testualmente la previsione dell’art. 24 del c.c.n.i. del personale non dirigenziale del Ministero della Giustizia relativo al quadriennio 2006/2009, che “possono partecipare alla procedura di cui al presente bando tutti i dipendenti in servizio nei ruoli di questa Amministrazione alla data del 10 gennaio 2009, anche se in posizione di comando o di fuori ruolo presso altra pubblica amministrazione, mentre non vi possono partecipare i dipendenti che, alla medesima data, si trovino in stato di sospensione cautelare dal servizio o abbiano riportato nei due anni precedenti (2007/2008) una sanzione disciplinare diversa dal rimprovero verbale, dal rimprovero scritto o dalla multa (…)” – v. anche pag. 27 del ricorso per cassazione -;

8.2. orbene il significato del termine riportato di cui alla indicata previsione, per poter essere tale da incidere già al momento della valutazione dei requisiti per l’ammissione alla procedura determinando l’esclusione dalla stessa, non poteva che significare che la condizione soggettiva ostativa alla partecipazione alla selezione fosse, per quello che in questa sede rileva, l’esistenza nel curriculum lavorativo del dipendente relativo al biennio precedente di una sanzione disciplinare diversa dal rimprovero verbale, dal rimprovero scritto o dalla multa;

8.3. è di tutta evidenza che doveva trattarsi, per legittimare la diretta ed immediata esclusione dalla procedura, di una sanzione non solo irrogata ma anche definitivamente (Ndr: testo originale non comprensibile) della cui legittimità non potesse più discutersi, essendo sempre possibile, per l’amministrazione, in caso di sanzione disciplinare sub iudice l’ammissione alla procedura con riserva che accompagna la “carriera” del titolare di essa fino a quando non venga definitivamente sciolta;

8.4. nel caso in esame le considerazioni che si vanno a svolgere depongono per l’insussistenza, con riferimento agli anni 2007 e 2008, di una sanzione con le caratteristiche indicate;

8.5. risulta, infatti, che il ricorrente aveva tempestivamente impugnato, ai sensi della previsione di cui agli artt. 2,3 e 6 del c.c.n. q. su arbitrato e conciliazione del 2001, poi rinnovato con c.c.n.l. del 24/7/2003, richiamato dall’art. 19, comma 4 c.c.n.l. comparto dipendenti ministeriali 2002/2005, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per cinque giorni di cui alla nota ricevuta in data 6/2/2007 avanzando in data 26/2/2007 richiesta di compromettere in arbitri la controversia;

8.6. risulta, altresì, che tardiva (in quanto non effettuata entro il previsto termine di 10 giorni) era stata l’adesione alla procedura e la nomina dell’arbitro unico da parte del Ministero;

tale tardiva adesione e nomina non è stata contestata in punto di fatto dal Ministero che ha incentrato le proprie difese sulla deduzione della insussistenza di una decadenza e di un termine perentorio – v. pag. 3 della sentenza impugnata – così come non è stata in alcun modo contrastata la tesi del ricorrente secondo la quale proprio per effetto di tale tardiva nomina il procedimento arbitrale non avesse ricevuto alcun ulteriore impulso;

8.7. come si evince, del resto, dal ricorso e dalla stessa prospettazione del Ministero appellante cristallizzata nella sentenza impugnata, l’ A., pur avendo preliminarmente eccepito la tardività dell’adesione all’arbitrato da parte del Ministero, aveva, tuttavia, in via subordinata, comunicato all’Amministrazione l’accettazione della nomina, sia pur tardiva, dell’arbitro da quest’ultima designato;

8.8. orbene, in una situazione di tal fatta è da escludere che l’ A. avesse rinunciato alla intrapresa procedura conciliativa ai sensi dell’art. 6, comma 2 c.c.n. q. che consente tale possibilità solo “in caso di mancato accordo sulla designazione dell’arbitro”;

8.9. ed allora non poteva che venire in rilievo il comma 3 medesimo art. 6, a termini del quale “le sanzioni disciplinari restano sospese fino alla definizione della controversia, salvo il caso di rinuncia di cui al comma precedente”;

8.10. in questo contesto, l’inerzia della P.A. nel non dare impulso alla procedura conciliativa, a sopperire alla quale, con l’inizio dell’azione giudiziaria, non aveva interesse il dipendente, avendo comunque determinato l’effetto sospensivo, ha avuto quale conseguenza che di tale sanzione non si potesse tenere conto;

8.11. nè rileva che alla sanzione conservativa in questione il Ministero (in costanza, come detto, di sospensione determinata dalla richiesta di devoluzione della controversia all’arbitro unico) abbia dato esecuzione nel luglio del 2011, dopo la ricezione della diffida con cui l’ A. aveva chiesto l’annullamento in via di autotutela della disposta esclusione dalla selezione (v. pag. 4 del ricorso ed il richiamato doc. 9 del fascicolo di primo grado del ricorrente), essendo evidentemente preclusa alla P.A. l’esecuzione di una sanzione tempestivamente contestata dal dipendente, rimasta sospesa per effetto delle previsioni del c.c.n. q. su arbitrato e conciliazione e la cui legittimità non era mai stata accertata per l’inerzia della medesima P.A.;

8.12. in conseguenza va escluso che, all’atto della domanda di partecipazione alla procedura per l’attribuzione della fascia economica superiore, potesse ritenersi riportata una sanzione sospesa in quanto sottoposta alla verifica di legittimità nella sede conciliativa attivata dal dipendente cui la P.A. interessata non aveva, poi, dato impulso;

9. conclusivamente va rigettato il primo motivo di ricorso e vanno accolti gli altri;

la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dichiarandosi l’illegittimità del provvedimento di esclusione del ricorrente dalla procedura per l’attribuzione della fascia economica superiore (bandita con P.D.G. 9/8/2010) di cui al P.D.G. 2/12/2010 e ordinando al Ministero convenuto di consentire al ricorrente la partecipazione a detta procedura con tutti i conseguenti provvedimenti;

10. la regolamentazione delle spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.

11. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara l’illegittimità del provvedimento di esclusione del ricorrente dalla procedura per l’attribuzione della fascia economica superiore (bandita con P.D.G. 9/8/2010) di cui al P.D.G. 2/12/2010 e ordina al Ministero convenuto di consentire al ricorrente la partecipazione a detta procedura con tutti i conseguenti provvedimenti; conferma la statuizione sulle spese di cui alla sentenza di primo grado e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di A.G., delle spese del giudizio di appello che liquida in Euro 2.500 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese generali e delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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