Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25395 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. I, 20/09/2021, (ud. 18/06/2021, dep. 20/09/2021), n.25395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26912/2020 proposto da:

A.A.J., elettivamente domiciliato in Forlì viale

Matteotti 115, presso lo studio dell’avv. Rosaria Tassinari, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, ((OMISSIS)), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato in data

11/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/06/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino nigeriano (Edo State) ha presentato domanda di protezione internazionale dichiarando di avere lasciato il suo paese perché il fratellastro ha cercato di ucciderlo, avvalendosi di amici appartenenti a una setta.

La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale di Bologna, adito dal ricorrente, previo rinnovo dell’audizione ha escluso il profilo di rischio individuale poiché il ricorrente non ha denunciato alle autorità locali le minacce ricevute e quindi non è possibile verificare se lo Stato avrebbe potuto proteggerlo; ha escluso altresì la sussistenza del rischio di violenza indiscriminata derivante dal conflitto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha escluso, infine, la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, rilevando che lo studio della lingua italiana e lo svolgimento di attività di lavoro a tempo determinato non sono da soli sufficienti a integrare fattori ostativi al suo rientro in patria dove ha ancora i riferimenti familiari.

Avverso il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi. L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 18 giugno 2021.

Diritto

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il Tribunale applicato il principio dell’onere della prova attenuato e per non avere valutato la credibilità alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nonché il difetto di motivazione.

Il ricorrente afferma che il racconto è lineare e privo di contraddizioni rappresentando una realtà dei fatti del tutto verosimile, supportata dalle fonti internazionali e che non emergono contraddizioni avendo il ricorrente fatto il massimo sforzo per dettagliare i fatti. Il Tribunale non ha considerato che i dubbi solo ipotetici ma tali da non inficiare irrimediabilmente l’attendibilità del racconto non giustificano il rigetto della domanda e che in ogni caso ove vi fossero dubbi il giudicante avrebbe dovuto riconvocare il richiedente e porgli altre domande; infine aggiunge che la mancanza di riscontri non equivale all’insussistenza dei fatti narrati.

Il motivo è inammissibile.

1.2- Il Tribunale di Bologna ha escluso la sussistenza di un rischio individuale di danno grave derivante da agente privato, così come prospettato dal richiedente, sul corretto rilievo che non risulta che il ricorrente abbia chiesto l’intervento delle autorità locali e pertanto non è possibile ritenere che lo Stato non avrebbe potuto proteggerlo da eventuali condotte dannose. Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale i responsabili del persecuzione o del danno grave sono anche i soggetti non statuali, se lo Stato o le organizzazioni che controllano il territorio “non possono o non vogliono fornire protezione” contro persecuzioni o danni gravi.

La persecuzione da agente privato rileva quindi solo nel caso in cui l’organizzazione statale non sia in grado, in concreto, di proteggere il suo cittadino; pertanto è essenziale che il richiedente, sul quale incombe l’onere di allegazione (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020) specifichi se si è rivolto o meno alle autorità e quale è stata la risposta. Ciò in quanto il giudice non deve valutare in astratto l’efficienza dei sistemi giudiziari dei paesi terzi, bensì verificare se in concreto e in quella specifica situazione la protezione dello Stato si è rivelata o potrebbe rivelarsi inefficiente, indagine che il giudice non può compiere se il richiedente non illustra i dettagli della propria vicenda individuale anche su questo punto.

Correttamente pertanto il Tribunale ha evidenziato che nella storia manca un tassello necessario al fine di valutare il rischio individuale.

Questa statuizione del Tribunale non è stata oggetto di specifica censura da parte del ricorrente che si limita ad affermare genericamente che la storia è verosimile e che egli ha fatto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla.

Così non e’, perché l’onere di allegazione nel caso in cui si deduca il rischio di un danno grave da agente privato, riguarda anche tutti gli elementi necessari a consentire al giudice di valutare in concreto la capacità dello Stato di proteggere il cittadino: pertanto il richiedente asilo che alleghi il rischio di persecuzione o danno grave da agente privato non può limitarsi a narrare di avere subito atti persecutori o aggressioni e minacce, ma deve specificare anche se si è rivolto alle autorità o per quali motivi non è stato possibile rivolgersi ad una autorità statale o ad una organizzazione che controlla il territorio, ovvero ancora per quali ragioni la richiesta di protezione non è stata accolta.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perché il tenuto conto di quanto risulta dal sito della Farnesina sulla pericolosità della situazione in Nigeria in particolare per gli attacchi di (OMISSIS); le fonti evidenziano un quadro di insicurezza nel nord-est del paese, sparizioni forzate; lamenta inoltre che non sarebbe stata individuata la zona di provenienza e che in ogni caso in Nigeria vi sono una pluralità di zone o regioni critiche.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale, muovendo dal dato di fatto che il richiedente non proviene dai paesi del nord est della Nigeria ma da Edo State ha tratto le informazioni sul paese di origine, (Country of origin information, in acronimo COI) dai Report di affidabili agenzie internazionali che si occupano di diritti umani, quali EASO; Amnesty International, Human Rights debitamente citandole e riportando anche nel provvedimento il collegamento ipertestuale. Sono stati analizzati Report degli anni 2018 e 2019, escludendo la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata da conflitto sulla base di una ricerca completa ed anche aggiornata.

Questa affermazione è stata censurata affermando che in Nigeria vi sono diverse zone critiche e descrivendo diffusamente le violenze perpetrate dal gruppo di (OMISSIS) nel nord-est del paese.

Tuttavia la Corte ha bene evidenziato che in Edo State zona di dichiarata provenienza del ricorrente (sud della Nigeria) non ricorre la predetta situazione di violenza indiscriminata.

Ai fini della protezione internazionale il conflitto rileva infatti se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019).

4.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente deduce che il Tribunale non ha compiutamente esaminato la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale e internazionale di fornire protezione per le persone che fuggono da paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire la vita senza pericoli per la propria incolumità, in relazione alle condizioni di violenza diffusa e indiscriminata sussistente nel paese.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che il Tribunale ha escluso la sussistenza di violenza indiscriminata da conflitto che quindi non può invocarsi ai fini della protezione umanitaria, si tratta di censure estremamente generiche non correlate alla vicenda individuale se non nella parte in cui si chiede una inammissibile revisione del giudizio di fatto operato dal Tribunale affermando che il richiedente si è integrato nel territorio dimostrando un comportamento rispettoso e svolgendo attività di lavoro; la circostanza è stata tuttavia considerata e valutata dal Tribunale che ha ritenuto insufficiente integrare gli estremi di un radicamento del ricorrente sul territorio lo studio della lingua e la attività lavorativa a tempo determinato in assenza di condizioni di vulnerabilità e specifici indicatori di necessità di protezione. Del tutto inconferente è poi il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 4890/2019 sulla irretroattività delle disposizioni del D.L. n. 113 del 2018, posto che esplicitamente il Tribunale ha fatto riferimento alla disciplina previgente che prevedeva il rilascio di permesso di soggiorno per seri motivi di carattere umanitario non tipizzati o predeterminati dal legislatore.

Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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