Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25393 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. III, 12/10/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 12/10/2018), n.25393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 13799-2017 proposto da:

U.M., in proprio, A.F. in proprio, ODONTOLIFE SNC

DI U.M. & A.F. in persona del legale

rappresentante pro tempore Dr. U.M., elettivamente

domiciliatiati in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 62, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIETTA GRECO, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANDREA DE VINCENTIS giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT SPA, in persona della Dott.ssa G.A.N.

procuratrice speciale, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE A. DA BRESCIA 9-10, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA FIORETTI, che la rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1283/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO CHE

1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 1283/2017 nel rigettare l’appello proposto da Odontolife snc di U.M. e A.F., nonchè dai soci U.M. e A.F. – ha confermato la sentenza n. 8974/2015 del Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda risarcitoria proposta dalla suddetta società nei confronti Dell’Unicredit s.p.a.

Era accaduto che la Odontolife snc di U.M. e A.F., società che svolgeva attività di odontoiatria, nonchè i soci della stessa U.M. e A.F. avevano convenuto davanti al Tribunale di Milano Unicredit s.p.a., istituto con il quale avevano intrattenuto rapporti di conto corrente bancario, per ottenere il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento agli obblighi di conservazione della documentazione relativa ad operazioni bancarie effettuate dai propri clienti, secondo quanto prescritto dall’art. 119 T.U.B..

In particolare, la società attrice si era lamentata del fatto che l’Istituto convenuto aveva omesso di fornire la copia degli assegni negoziati a suo credito (e, quindi, gli importi dei corrispettivi versati da propri clienti e dalla banca incassati) sui conti correnti accesi presso la filiale della banca convenuta, copie che sarebbero state ad essa necessarie per resistere alla pretesa erariale di accertamento di un maggior reddito di impresa. In conseguenza della mancata difesa, secondo i ricorrenti, si sarebbe verificato un aggravamento dell’imposizione fiscale in relazione agli anni 2006 e 2007.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 8974/2015 aveva rigettato la domanda argomentando sul fatto che, pur in presenza dell’accertato inadempimento agli obblighi di cui all’art. 119 TUB da parte dell’Istituto bancario, la società attrice non aveva provato il nesso causale tra l’inadempimento contestato alla banca ed il danno da essa parte lamentato (in dipendenza delle “maggiori imposte versate per non avere potuto fornire adeguata giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio accertatore”).

Avverso la sentenza del giudice di primo grado la società attrice aveva proposto appello, ma l’impugnazione, come sopra rilevato, è stata respinta dalla Corte territoriale con la sentenza per cui è ricorso.

2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli propongono ricorso la società Odontolife s.n.c., nonchè in proprio i soci U.M. e A.F..

Resiste con controricorso Unicredit S.p.a..

Diritto

RITENUTO CHE

1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

Precisamente, i ricorrenti denunciano:

– con il primo motivo (pp. 7-19), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi e controversi nella parte in cui la Corte territoriale ha erroneamente valutato gli elementi documentali emersi in giudizio ed i motivi di appello formulati; al riguardo i ricorrenti – dopo aver premesso che, a seguito della loro richiesta, l’Istituto convenuto con nota 13/3/2012 aveva comunicato di non essere in grado di fornire la documentazione richiesta – deducono che, a fronte della ricevuta pretesa erariale, a seguito di consultazioni con il proprio professionista di fiducia, si erano determinati a presentare istanza di accertamento con adesione; aggiungono che nella successiva fase, per effetto della carenza documentale causata da Unicredit, erano riusciti a fornire una efficace giustificazione soltanto di parte delle movimentazioni bancarie contestate, come per l’appunto era stato indicato dal loro consulente di parte dr. M.F. nella relazione in atti; sostengono che il maggior reddito imponibile, ad essi imputato, era stato causato dalla menzionata carenza documentale e quantificano il danno subito a titolo di maggiori imposte versate per non aver potuto fornire adeguata giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio accertatore; rilevano che il grave inadempimento dell’istituto era stato oggetto di espresso accertamento da parte del giudice di primo grado, con statuizione non impugnata e quindi passata in giudicato; lamentano che entrambi i giudici di merito – per una errata valutazione delle produzioni documentali (in particolare con riferimento a due processi verbali in contraddittorio) – non hanno ritenuto provato il nesso causale tra l’inadempimento contestato ed il danno patito; in particolare fanno presente che la contestazione dell’erario non era attinente alla omessa fatturazione, ma alla mancata riconciliazione degli incassi con le fatture emesse (nel senso che l’importo degli incassi a mezzo assegni, che risultavano dagli estratti conto, a causa della omessa produzione degli assegni, non erano riconducibili alla fatturazione effettuata, non essendo confrontabili il traente del titolo con il fruitore della prestazione sanitaria, nei cui confronti la fattura era stata emessa); in definitiva, secondo i ricorrenti, Unicredit, una volta accertatone l’inadempimento, avrebbe dovuto rispondere di ogni pagamento che la società non aveva potuto riferire alle fatture emesse negli anni in contestazione ed entrambi i giudici di merito hanno errato nella disamina complessiva della vicenda tributaria;

-con il secondo motivo (pp. 19-22), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: si deduce l’omesso esame di istanze istruttorie e violazione dell’art. 115 c.p.c.. Al riguardo, lamentano che la Corte territoriale “con motivazione antigiuridica” ha negato le istanze istruttorie formulate, già nel giudizio di primo grado e ribadite in quello di appello (e, in particolare, la prova testimoniale, diretta a dimostrare la prassi che l’Agenzia delle Entrate segue nell’effettuazione dei controlli similari a quello effettuato nei confronti di Odontolife, nonchè la consulenza tecnica d’ufficio, diretta alla verifica tecnica dei rilievi svolti dal consulente di parte ed indicati nella relazione allegata agli atti);

– con il terzo motivo (pp. 22-24), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione degli artt. 1218,1223 e 1227 c.c.. Al riguardo, ribadiscono che era stato impossibile per Odontolife approntare le dovute difese a causa della tardiva (di oltre un anno) consegna da parte di Unicredit della copia degli assegni necessari per contraddire avverso l’illegittima pretesa erariale;.4f, lamentano che la Corte territoriale, da un lato, ha affermato che non vi era prova che la mancata possibilità di difesa, accertata sin dal primo grado di giudizio, sia stata causa esclusiva del danno, e, dall’altro, ha richiamato contraddittoriamente l’art. 1227, comma 1, che prevede la diminuzione del risarcimento del danno per un fatto colposo del creditore; rilevano che il richiamo a detta norma avrebbe dovuto imporre l’ammissione alla consulenza tecnica richiesta, l’accertamento del danno patito da Odontolife, l’accertamento dell’incidenza della condotta colposa del creditore sulla causazione del danno quantificato e la conseguente riduzione del risarcimento; deducono violazione dell’art. 1218 c.c. unica norma che avrebbe dovuto disciplinare il caso di specie, in quanto l’inadempimento dell’obbligo previsto dal citato art. 119, comma 4 attiene ad un contratto.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Inammissibili sono i primi due motivi di ricorso che, in quanto strettamente connessi, sono qui trattati unitariamente.

2.1.1. Si premette che la Corte territoriale nella sentenza impugnata (pp. 6-9):

-ha rilevato che nel corso degli accertamenti dell’agenzia delle entrate gli odierni ricorrenti si erano trovati nella difficoltà di dare riscontro delle movimentazioni bancarie, soprattutto in entrata, e della loro corrispondenza con le scritture ed i documenti contabili; non erano stati in grado di fornire risposte adeguate in ordine ad operazioni anche di versamento sul conto di somme di denaro, complessivamente importanti;

– ha dato atto che l’Agenzia delle Entrate era quindi pervenuta ad accertare un reddito di impresa ed un valore della produzione imponibile ai fini IRAP diversi e maggiori rispetto a quelli dichiarati per gli anni 2006-2007 ed aveva quindi imposto il pagamento delle somme evase;

– l’Istituto era sicuramente tenuto ex art. 119 TUB a fornire la documentazione bancaria richiesta, ma l’assunto attoreo (secondo il quale era necessario al fine di fornire all’ente accertatore le spiegazioni richieste nel corso dell’accertamento la documentazione bancaria inerente le singole operazioni bancarie poste in essere dall’impresa e dai singoli soci con Unicredit) non era condivisibile: sia perchè non era provato il nesso causale fra il comportamento colposo della banca (conseguente all’inosservanza della richiamata disposizione) ed il danno lamentato (e cioè le conseguenze degli accertamenti dell’agenzia); sia perchè gli esiti dell’accertamento dell’agenzia era fondati sulla non coincidenza fra il fatturato della società e quanto dalla stessa incassato, per cui la concreta disponibilità degli assegni in questione non avrebbe comunque potuto scongiurare gli esiti dell’accertamento stesso;

– al fine di confutare l’assunto dell’ente accertatore sarebbe stato necessario dimostrare che i versamenti complessivamente effettuati corrispondevano (ma non superavano) a quanto versato in acconto ed all’atto dell’emissione della fattura (a prestazione eseguita);

– il consulente di parte aveva confermato che l’agenzia aveva ripreso a tassazione tutti gli accrediti non giustificati, circostanza questa dalla quale era scaturito un reddito imponibile accertato di gran lunga superiore a quanto effettivamente dichiarato; e, osserva la Corte, detto divario non poteva essere colmato con la documentazione richiesta all’istituto;

– gli odierni ricorrenti non si erano fatti carico di confutare nello specifico la verifica operata, sia pure a campione, dal giudice di primo grado sulla non corrispondenza tra le somme oggetto dei pagamenti eseguiti mediante i titoli di credito messi a disposizione da Unicredit e prodotti in giudizio, da un lato, e, dall’altro, le fatture allegate a giustificazione di detti pagamenti;

– i menzionati esiti dell’accertamento erano direttamente collegati (non con la tempistica di emissione delle fatture da parte della società, ma) con gli importi complessivamente esposti nelle fatture (che non coincidevano, per difetto, con i versamenti, in contanti o in assegni, effettuati sui conto correnti dalla società);

– la dedotta esistenza di una prassi accertativa da parte dell’agenzia tollerante rispetto all’omessa immediata fatturazione degli incassi percepiti, in sè inverosimile, non era suscettibile di essere provata mediante i capitoli articolati dagli odierni ricorrenti.

2.1.2. A fronte di tale articolato iter motivazionale, i ricorrenti, nel tentativo di rimettere in discussione il merito della decisione del giudice di secondo grado, evocano la violazione di norme, ma in concreto non deducono alcuna specifica violazione normativa. Occorre al riguardo ricordare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione. (Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 – 01).

Per quanto attiene la violazione dell’art. 115 c.p.c., il motivo è inammissibile in quanto la violazione di tale norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Quanto poi all’eccepito omesso esame di fatti controversi e rilevanti, ribadito che in via generale la sentenza non deve dar conto di tutte le risultanze probatorie, si rileva che i fatti illustrati dai ricorrenti non sono propriamente fatti ai sensi dell’art. 360, n. 5 (e cioè fatti intesi nella loro accezione storico-fenomenica), quanto piuttosto elementi che sono stati esaminati ed esclusi (espressamente o implicitamente) dalla Corte di merito. Peraltro, per quanto concerne le richieste di prova, la Corte ha motivato il rigetto argomentando sull’inconferenza dei capitoli rispetto alla circostanza da dimostrare. E, quanto alla ctu (che era stata richiesta, si noti, per la sola quantificazione del danno), in disparte ogni altra considerazione, la stessa è stata correttamente ritenuta superflua per mancanza del nesso di causalità.

Infine, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integra giudizio dì merito, come tale sottratto al sindacato di legittimità ogniqualvolta, come per l’appunto nel caso di specie, il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico.

2.2. Inammissibile è anche il terzo motivo.

Invero, il ricorrente:

– denuncia la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1227, ma non indica quali siano le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, che si pongono in contrasto con tali norme;

– formula la sua denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, ma, nell’illustrazione del motivo, si lamenta anche di “grave errore motivazionale” e dell'”illogicità della motivazione”, così dimenticando che il ricorso in cassazione è uno strumento di impugnazione a critica vincolata;

– denuncia la violazione delle norme relative al risarcimento del danno nell’ambito della responsabilità contrattuale, ma non indica dove e quando la relativa questione sia stata posta nei giudizi di merito.

3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 7.200, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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