Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25392 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/10/2017, (ud. 18/07/2017, dep.25/10/2017),  n. 25392

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D�ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4860/2014 R.G. proposto da:

COMUNE di TRODENA, – c.f. (OMISSIS) – in persona del sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, alla via F.

Confalonieri, n. 5, presso lo studio dell’avvocato Loretta Deluca

che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Luigi Manzi lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via G. B. Vico, n. 1, presso lo studio dell’avvocato Stefano

Prosperi Mangili che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato

Dionigi Biancardi lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in data 27.10.2014;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 569 del 28.6.2013 del tribunale di Bolzano;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 luglio

2017 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al giudice di Pace di Egna A.S. proponeva opposizione avverso il verbale n. 3288/2008 elevato dalla polizia municipale di (OMISSIS), con cui gli era stato contestato di aver in data 23.3.2008 percorso con la sua autovettura la strada statale n. 48, all’altezza del km. 16,110, alla velocità di 83 kmh in violazione del limite massimo consentito, pari a 50 kmh.

Deduceva che la postazione di controllo elettronico della velocità non era visibile, giacchè collocata dopo un filare di alberi, e che la segnaletica non era stata posizionata con congruo anticipo.

Chiedeva l’annullamento del verbale.

Si costituiva il Comune di Trodena.

Instava per il rigetto dell’opposizione.

Assunto il formale interrogatorio del sindaco di Trodena, assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 108/2010 il giudice adito rigettava l’opposizione. Interponeva appello A.S..

Resisteva il Comune di Trodena.

Con sentenza n. 569 del 28.6.2013 il tribunale di Bolzano accoglieva il gravame, annullava il verbale n. 3288/2008 e condannava il Comune appellato alle spese, che liquidava in Euro 490,00 a titolo di rimborso delle spese vive ed in Euro 3.800,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso forfetario nella misura del 12,5% ed agli accessori di legge.

Evidenziava il tribunale che, indipendentemente dalla percezione delle distanze da parte del sindaco del Comune di Trodena – “le cui dichiarazioni hanno comunque natura confessoria” (così sentenza d’appello, pag. 3) – la descrizione dello stato dei luoghi ove era stato collocato l’autovelox, ossia la sua collocazione “al termine di una fila di alberi, in particolare tra gli ultimi due” (così sentenza d’appello, pag. 3), rendeva palese la violazione del combinato disposto dell’art. 142 C.d.S. e art. 79 reg. esec. C.d.S..

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Comune di Trodena; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

A.S. ha depositato procura speciale in data 27.10.2014 con sottoscrizione autenticata dall’avvocato Dionigi Biancardi. Altresì ha depositato memoria datata 10.7.2017.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza.

Deduce che la motivazione dell’impugnato dictum è solo apparente, “essendo priva di qualsiasi riferimento fattuale oggettivo allo stato dei luoghi” (così ricorso, pag. 7); che si è avuto riscontro di “elementi tali da poter far anche escludere, nel caso concreto, una minore visibilità dell’autovelox” (così ricorso, pag. 7); che il teste R. ha riferito che l’autovelox era visibile dalla distanza di almeno m. 50; che è incomprensibile l’affermazione del secondo giudice secondo cui “la dichiarazione del sindaco di natura confessoria dirimente, confermerebbe la non buona visibilità dell’autovelox” (così ricorso, pag. 8).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2730 e 2733 c.c., in relazione agli artt. 230 e 231 c.p.c..

Deduce che il riscontro della distanza metrica necessaria onde percepire la presenza di un autovelox, “è una valutazione palesemente soggettiva (…) per cui non può (…) valere come una confessione giudiziale” (così ricorso, pag. 9).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, comma 6 bis e D.P.R. n. 495 del 1992, art. 79, comma 3.

Deduce che, “ferma la norma che fissa una distanza minima per il segnale che informi della presenza dell’autovelox, (…) l’avvistamento dell’autovelox, regolarmente presegnalato, deve semplicemente essere ben visibile in rapporto allo stato dei luoghi ed alla velocità locale predominante: nel caso 50kmh” (così ricorso, pag. 10).

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.M. n. 140 del 2012, in particolare degli artt. 5 e 11, in rapporto all’art. 91 c.p.c..

Deduce che il valore della causa è pari all’importo della sanzione amministrativa ovvero ad Euro 250,00; che il tribunale ha liquidato le spese del giudizio di appello in misura patentemente abnorme.

Deduce in particolare che è esorbitante la liquidazione – in Euro 490,00 – delle spese vive, che non è dovuto il rimborso forfetario delle spese generali alla stregua del D.M. n. 140 del 2012, che il superamento dei massimi tariffari per una causa di natura bagatellare è del tutto ingiustificato, che in ossequio al principio di proporzionalità gli onorari sarebbero stati da liquidare secondo i minimi tariffari e comunque in misura non superiore ai medi.

Si premette che ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, “la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente (…)”.

Non è sufficiente dunque che A.S. abbia depositato procura speciale in data 27.10.2014 con sottoscrizione autenticata dall’avvocato Dionigi Biancardi nè che abbia successivamente depositato memoria in data 10.7.2017.

Si tenga conto che il giudizio di prime cure ha avuto inizio nell’anno 2008, antecedentemente al 4.7.2009, dì di entrata in vigore delle novità “calate” nel corpo dell’art. 83 c.p.c., comma 3, dalla L. n. 69 del 2009 (cfr. Cass. sez. un. 12.3.2003, n. 3602, secondo cui la parte alla quale il ricorso per cassazione è diretto, se intende contraddire deve farlo mediante controricorso da notificare al ricorrente nelle forme e nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1; in mancanza, la detta parte non può presentare memorie ma solamente partecipare alla discussione orale; a tal fine il difensore deve essere munito di procura speciale che, in assenza di controricorso, non può essere apposta validamente a margine di una “memoria conclusiva” depositata in prossimità dell’udienza, trattandosi di atto che esula dalla previsione normativa di cui dell’art. 83 c.p.c., comma 3, ed estraneo al sistema processuale disegnato dal legislatore per il giudizio di cassazione; cfr. Cass. sez. un. 12.6.2006, n. 13537, secondo cui nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità d� atti diversi da quelli suindicati; perciò, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2, dello stesso articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata).

Si premette ancora che è circostanza riferita sic et simpliciter dal Comune ricorrente quella per cui il controricorrente ha provveduto al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta.

Evidentemente, in difetto di ulteriore necessario adeguato riscontro, la stessa circostanza non può sortire alcun effetto.

Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi.

Se ne giustifica pertanto la disamina congiunta.

I medesimi motivi in ogni caso non meritano seguito.

Si rappresenta innanzitutto, specificamente in relazione al secondo motivo di ricorso ed a taluni passaggi del punto 2 del primo motivo, che il riferimento alla dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale dal sindaco del Comune di Trodena ed all’efficacia confessoria della stessa dichiarazione è stato dal secondo giudice indiscutibilmente operato ad abundantiam, siccome rende palese l’avverbio “indipendentemente”.

Del resto è il riscontro operato, nei passaggi motivazionali immediatamente successivi, sulla base della descrizione dello stato dei luoghi, che sostanzia la ratio decidendi.

In tal guisa deve reputarsi che la censura che il secondo mezzo di impugnazione e taluni dei passaggi di cui al punto 2 del primo mezzo veicolano, è sostanzialmente inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass. sez. lav. 22.10.2014, n. 22380).

Si rappresenta altresì, con precipuo riferimento al terzo motivo di ricorso, che il tribunale, nel segno del parametro di cui dell’art. 142 C.d.S., comma 6 bis, alla cui stregua “le postazioni di controllo (…) per il rilevamento della velocità devono essere (…) ben visibili”, ha provveduto ad una valutazione in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congrua ed esaustiva.

Si rappresenta inoltre, con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso, che, a dispetto della “rubrica” del mezzo di impugnazione de quo agitur, l’ente pubblico censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui il tribunale ha atteso (è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499) ed in questi termini si duole per l’erronea valutazione delle risultanze di causa ovvero per l’omessa valutazione di talune delle risultanze di causa (“nella fattispecie, vi erano elementi tali da poter far anche escludere (…) una minore visibilità dell’autovelox, in ragione dell’andamento rettilineo della strada, dell’ora diurna, dei tronchi degli alberi privi ancora di foglie e di diametro modesto (…). C’erano, poi, elementi di giudizio desumibili dall’interrogatorio del sindaco e dalla deposizione testimoniale del R.”: così ricorso, pag. 7).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Il quarto motivo di ricorso è in minima parte fondato e meritevole di accoglimento.

Si rappresenta in primo luogo che, in dipendenza dell’integrale accoglimento dell’appello e dunque dell’iniziale opposizione, il tribunale ha evidentemente ed ineccepibilmente atteso alla regolamentazione delle spese del doppio grado e quindi ha condannato l’ente appellato a rimborsare a controparte le spese e di prime di cure e di seconde cure (cfr. Cass. sez. lav. 1.6.2016, n. 11423, secondo cui il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione).

Si rappresenta in secondo luogo, con precipuo riferimento alla liquidazione delle spese non imponibili in Euro 490,00, che la censura in parte qua non è sufficientemente puntuale.

Infatti questa Corte spiega che la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima (cfr. Cass. 7.8.2009, n. 18086).

Su tale scorta non appare sufficiente il mero riferimento alle sole voci “contributo unificato”, “marca per spese forfetarie di cancelleria”, “spese di notifica” che si rinviene nel paragrafo intitolato “spese vive” di cui al quarto motivo di ricorso.

Si rappresenta in terzo luogo che, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (cfr. Cass. 9.10.2015, n. 20289; Cass. 4.7.2011, n. 14542, secondo cui la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini).

In quest’ottica si evidenzia che l’operata liquidazione non è superiore ai massimi di cui alla tabella “A” allegata al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, nè con riferimento allo scaglione fino ad Euro 5.000,00 per il giudizio di primo grado innanzi al giudice di pace (i massimi sono pari ad Euro 1.975,00) nè con riferimento allo scaglione fino ad Euro 25.000,00 per il giudizio di secondo grado innanzi al tribunale (i massimi sono pari ad Euro 3.805,00).

Si rappresenta in quarto luogo che senz’altro erronea è la regolamentazione delle spese operata dal tribunale limitatamente al riconoscimento del rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 12,5%.

Invero il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, non contempla siffatto rimborso.

In ogni caso, giacchè non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, nulla osta a che questa Corte, con statuizione “nel merito” ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., espunga dall’impugnata sentenza del tribunale di Bolzano la condanna al pagamento del rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 12,5%.

In dipendenza dell’accoglimento solo in minima parte del ricorso a questa Corte,vi è ampio margine perchè si dichiari che il Comune ricorrente non ha diritto a ripetere le spese del presente giudizio di legittimità.

In dipendenza dell’accoglimento seppur in minima parte del ricorso non sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del Comune di Trodena di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis (tanto a prescindere all’insegnamento a sezioni unite di questa Corte n. 9938 dell’8.5.2014, ove in motivazione si precisa che è “principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre Amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso con la conseguenza che l’obbligazione non sorge”).

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, il secondo motivo ed il terzo motivo del ricorso; accoglie in parte il quarto motivo del ricorso, cassa la sentenza n. 569 del 28.6.2013 del tribunale di Bolzano nella parte in cui condanna il Comune di Trodena a pagare a A.S. il rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 12,5% e, decidendo nel merito, espunge dalla medesima sentenza la condanna del Comune di Trodena al pagamento del rimborso forfetario anzidetto;

dichiara irripetibili le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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