Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25392 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 12/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 12/12/2016), n.25392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9405/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati ENZO

MORRICO, ROBERTO ROMEI e FRANCO RAIMONDO BOCCIA, giusto mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7596/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato Gaetano Gianni (delega verbale Avvocato Arturo

Maresca), per la ricorrente, che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Enrico Luberto, per la controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, letta la memoria depositata dalla parte intimata.

2. La Corte di Appello di Roma, per quanto in questa sede rileva, accoglieva il gravame svolto dall’attuale parte intimata e, per l’effetto, dichiarata l’inefficacia della cessione di ramo, dichiarava la persistenza del rapporto di lavoro con TELECOM ITALIA S.p.a., con ordine di ripristino della funzionalità del rapporto.

3. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi.

4. Resiste l’intimata con controricorso.

5. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

6. Con il primo motivo la parte ricorrente, denunciando plurime violazioni di legge, censura la ritenuta ininfluenza del tempo trascorso tra la cessione e le intraprese iniziative giudiziarie della lavoratrice.

7. Questa Corte di legittimità ha già statuito che affinchè possa configurarsi un’acquiescenza tacita ad un provvedimento datoriale, è necessario un atto o un comportamento del lavoratore dal quale sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici di quel provvedimento e cioè un comportamento assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi dei rimedi concessi dall’ordinamento (cfr. Cass. n. 26957/2013, in fattispecie, simile alla vicenda all’esame, in cui il lavoratore aveva manifestato in forma espressa il dissenso alla cessione e, a seguito della cessione, prestato attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria).

8. Peraltro la Corte territoriale ha dato atto dell’esplicito dissenso formulato dalla lavoratrice e la società ricorrente non ha introdotto alcuna argomentazione idonea ad invalidarne la ratio decidendi.

9. Il secondo motivo è incentrato su un’asserita transazione intercorsa con la cessionaria, alla stregua della quale si assume l’accettazione degli effetti dell’avvenuta modifica soggettiva.

10. Il motivo è qualificabile come inammissibile tenuto conto del precedente specifico reso da questa Corte, con sentenza n. 19985/2014.

11. “Questa Corte ha affermato che “la pronuncia di cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, il venir meno dell’interesse ad agire ed a contraddire e della conseguente necessità di una pronuncia del giudice sull’oggetto della controversia; sicchè, con riguardo alla posizione di chi ha agito in giudizio, è necessario che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla pronuncia di merito (cfr. Cass. 20.3.2009 n. 6909)” e che “l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda si configura in ragione della sussistenza di un’esigenza di tutela connessa al generale divieto di esternalizzazione “come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore”, divieto funzionale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una “preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento” (in tale senso, cfr. Cass. 6.4.2006 n. 8017 e Cass. 30.12.2003 n. 19842).

12. Quanto alla transazione… il ricorso difetta di autosufficienza non essendo riportato il contenuto della transazione al fine di valutare i termini dell’accordo ed in particolare se detta transazione abbia riguardato il presente giudizio ed il mantenimento del rapporto con la Telecom e della richiesta di riammissione nell’originario posto di lavoro occupato presso la cedente” (così Cass. 19985/2014 cit.).

13. L’ultimo motivo denuncia esclusivamente la violazione di legge (art. 2112 c.c.).

14. Come già ritenuto da questa Corte con riferimento alle vicende traslative che hanno interessato rami d’azienda (come nella specie, la struttura Facility Management e il servizio Document Management) da Telecom Italia S.p.A. ad altre società ex multis, Cass. n. 16262/2015), “ai sensi dell’art. 2112 c.c. (sia nel testo previgente, sia in quello modificato, in applicazione della direttiva n. 50/98/CE, dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) deve intendersi come ramo autonomo d’azienda, in quanto tale suscettibile di trasferimento riconducibile alla disciplina della norma citata, ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento medesimo, conservi la propria identità.

15. Ciò presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito (v. Cass. n. 8017/06; Cass. n. 2489/08 nonchè, in controversie sempre relative a cessione di rami Telecom, Cass. n. 21711/12; Cass. n. 20095/13; Cass. n. 22627/13; Cass. n. 22742/13; Cass. n. 9949/14).

16. Ne discende che si applica l’art. 2117 c.c., anche in caso di cessione di parte dello specifico settore aziendale, purchè si tratti di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento (e, dunque, non solo teorica o potenziale).

17. Ciò è confermato da Corte di giustizia UE 6.3.14 n. C-458/12, dalla quale risulta che: a) non si ha trasferimento di ramo d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione; b) in tal caso spetta all’Ordinamento nazionale il compito di garantire il lavoratore.

18. In presenza dei presupposti sopra indicati, si considerano facenti parte del ramo d’azienda anche i dipendenti adibitivi, sicchè ex art. 2112 c.c., i rispettivi rapporti vengono trasferiti senza necessità di un loro consenso.

19. Resta fermo, tuttavia, che il lavoratore può far valere in giudizio la non configurabilità del trasferimento di un ramo d’azienda ove manchino i presupposti previsti dalla legge e grava su Telecom Italia l’obbligo di dimostrare che i lavoratori ricorrenti in primo grado appartenessero al ramo d’azienda ceduto già prima del suo trasferimento” (v., in tal senso, Cass. n. 16262/2015 cit.).

20. Nella specie deve affermarsi che la Corte del merito si è attenuta al principio di diritto sopra richiamato.

21. La cessione infatti, secondo la Corte del merito, non ha riguardato una unità autonoma, dotata di autosufficienza produttiva che esaurisse in sè una fase del ciclo produttivo, bensì solo un segmento di attività, privo di obiettiva individualità tecnico-produttiva, ancor più considerato che anche dopo la cessione continuò ad operare in Telecom una struttura che, a sua volta, svolgeva da raccordo tra richieste interne e SIP Facility; inoltre, neanche poteva, nella specie, valorizzarsi l’elemento materiale (per ritenere realizzata una cessione con il trasferimento della sola manodopera) difettando, perchè nè dedotto nè provato, peculiari capacità operative nei dipendenti trasferiti.

22. Di conseguenza, fondandosi l’impianto argomentativo della Corte del merito sul principio secondo cui per l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., occorre che la struttura ceduta sia dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni e servizi, accertata come non sussistente nelle specie, devesi ritenere l’impugnata sentenza corretta in diritto in quanto conforme all’interpretazione fornita da questa Corte dell’art. 2112 c.c..

23. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

24. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

25. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

26. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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