Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25392 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25392 Anno 2013
Presidente: MAISANO GIULIO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 20350-2011 proposto da:
SARTI ROBERTO SRTRRT59E04B249C, domiciliato in ROMA,
VIA NIZZA 59,o studio dell’avvocato ANDREONI AMOS,
rappresentato e difeso dall’avvocato PICCININI
ALBERTO, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2068

contro

CATERPILLAR PRODOTTI STRADALI S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,
presso lo studio (LABLAW), STUDIO LEGALE FAILLA,

Data pubblicazione: 12/11/2013

ROTONDI & PARTNERS, rappresentata e difesa dagli
avvocati PETRACCA NICOLA DOMENICO e PIERGIOVANNI
MANDRUZZATO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 512/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l’Avvocato ANDREONI AMOS;
udito l’Avvocato MANDRUZZATO PIERGIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di BOLOGNA, depositata il 04/08/2010, r.g.n. 4/2008;

r.g. n. 20350/11
udienza del 11.6.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Roberto Sarti ha impugnato il licenziamento intimatogli dalla società Caterpillar Prodotti Stradali
srl in data 13.11.2006 per non aver indossato gli occhiali di protezione, il cui uso era stato prescritto
dall’azienda nello svolgimento della prestazione lavorativa. Ha evidenziato in particolare che l’uso
degli occhiali di protezione doveva ritenersi necessario, secondo il parere espresso dalla AUSL,
solo durante le lavorazioni che esponevano il lavoratore a rischio, e specificamente nel caso in cui
egli fosse stato addetto a mansioni che comportavano l’uso di aria compressa, ovvero nel caso in cui
questa fosse utilizzata da altri dipendenti nelle immediate vicinanze.
Il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte
d’appello della stessa città, che, respingendo l’appello dei lavoratori, ha ritenuto che la normativa
sulla sicurezza in materia di lavoro pone anzitutto a carico del datore di lavoro un dovere di
valutazione dei rischi, non delegabile, con l’obbligo di esplicitarne la valutazione in un apposito
documento, che deve contenere una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute
dei lavoratori e l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di
protezione individuale, conseguente alla valutazione effettuata. Nella specie, era stato elaborato,
previo coinvolgimento del medico competente e del rappresentante per la sicurezza, un documento
dal quale emergeva che il rischio non era necessariamente collegato all’esecuzione di particolari
operazioni (richiedenti, ad es., l’uso di strumenti ad aria compressa), ma ad una serie di operazioni
non circoscritte a determinate lavorazioni o postazioni di lavoro e distribuite lungo l’intero arco di
durata della prestazione lavorativa, sicché, a fronte della legittimità della prescrizione datoriale,
doveva ritenersi illegittimo il comportamento dei lavoratori che a tale prescrizione non avevano
ottemperato.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Roberto Sarti affidandosi a sei motivi di ricorso cui
resiste con controricorso la Caterpillar Prodotti Stradali srl, che ha eccepito, in primo luogo,
l’inammissibilità del gravame perché proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per decorso del
termine di cui all’art. 327 c.p.c., sollevata dalla società resistente sul duplice rilievo che la notifica
del ricorso sarebbe stata effettuata, presso il procuratore costituito, più di un anno dopo la data della
pubblicazione della sentenza (4.8.2010), e che non varrebbe sostenere, in contrario, che il ricorrente
aveva effettuato un primo tentativo di notifica in data 3.8.2011, poiché tale tentativo era stato
effettuato presso un indirizzo che non corrispondeva più all’effettivo domicilio del difensore, così
come risultava dalla comunicazione tempestivamente effettuata dallo stesso difensore all’Ordine

L’eccezione deve ritenersi infondata, giacché, è sì vero che, alla luce dell’orientamento
giurisprudenziale di cui alla sentenza delle sezioni unite n. 3818/2009 (seguita, tra le altre, da Cass.
n. 10212/2010), nel caso di difensore svolgente le sue funzioni nello stesso circondario del tribunale
a cui egli sia professionalmente assegnato, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica
accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo
domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata
l’indicazione, nella richiesta di notificazione, di un indirizzo diverso (ancorché eventualmente
corrispondente a quello indicato dal medesimo difensore nel giudizio svoltosi davanti al giudice a
quo); e tuttavia, nel caso di specie, pur risultando effettuata in data 11.5.2010 all’Ordine degli
avvocati la comunicazione della variazione di domicilio del difensore, ma non essendo noto quando
detta variazione sia stata effettivamente annotata nell’albo professionale (e non essendo stata la
variazione comunicata in altro modo al difensore della controparte), non può ritenersi ingiustificata
la richiesta di notificazione effettuata (in data 3.8.2011) ad un indirizzo diverso da quello effettivo,
sì che il procedimento notificatorio, tempestivamente riattivato dal ricorrente in data 16.8.2011, e
ritualmente perfezionato il successivo 17.8.2011, deve ritenersi positivamente concluso con effetto
dalla data iniziale di attivazione del procedimento medesimo (cfr. al riguardo Cass. n. 3818/2009
cit., nonché, fra le altre, Cass. n. 21154/2010).
2.- Con i primi due motivi si denuncia violazione dell’art. 23 del d.lgs. n. 626/94, nonché vizio di
motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se nella predisposizione e nell’interpretazione del
documento di valutazione dei rischi il datore di lavoro è soggetto o meno alla vigilanza e alle
direttive del servizio di protezione prevenzione costituito presso le ASL o altre strutture pubbliche

ex art. 34 d.lgs. n. 626/94.
3.- Con il terzo e il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 17, 19 e 20 del d.lgs. n. 626/94,
nonché vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se l’indicazione di misure di
protezione possa avvenire da parte del datore di lavoro in difformità dal documento di valutazione
dei rischi, senza il preventivo assenso del medico competente e seguendo unicamente l’indicazione
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degli avvocati di Bologna.

di altri professionisti, sempre in difformità di quanto previsto dal documento di valutazione dei
rischi, tenendo conto che l’interpretazione data dalla Corte d’appello al documento di valutazione
dei rischi, coincidente con quella del datore di lavoro, è solo una delle possibili interpretazioni di
tale documento (diversa e opposta sarebbe, infatti, l’interpretazione datane dal servizio di
prevenzione AUSL).
4.- Con il quinto e il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 1460 c.c., nonché vizio di

che l’eccezione di inadempimento sarebbe possibile solo per la tutela di “immediate esigenze
vitali”, non avrebbe considerato che l’insubordinazione è configurabile solo in relazione ad un
comportamento che può essere legittimamente preteso e, nel caso all’esame, doveva invece essere
esclusa per il solo fatto che il ricorrente si era adeguato alle prescrizioni del servizio di medicina
preventiva della competente AUSL.
5.- Le censure formulate da parte ricorrente – articolate in diversi motivi che, per la loro stretta
connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondate.
Il ricorrente è stato licenziato per avere reiteratamente rifiutato di indossare gli occhiali di
protezione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa all’interno del reparto produttivo,
così come previsto dal documento di valutazione dei rischi e da specifica disposizione aziendale.
La Corte territoriale, ricordato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui una parte può rendersi
inadempiente ed invocare l’art. 1460 c.c., soltanto se è totalmente inadempiente l’altra parte e non,
invece, se l’asserito inadempimento sia fatto dipendere da una non condivisa scelta organizzativa
aziendale – che, come tale, non può essere sindacata dal lavoratore ove non incida sulle sue
immediate esigenze vitali -, ha richiamato le disposizioni di cui all’art. 4 del d.lgs n. 626 del 1994,
applicabile alla fattispecie, secondo cui il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi per la
sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a
rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze od ei preparati
chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro.
A norma delle suddette disposizioni, il datore di lavoro ha l’obbligo di predispone un documento
contenente una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro,
nel quale debbono essere individuati i criteri adottati per la valutazione stessa e le misure di
sicurezza e di protezione individuale conseguenti alla valutazione di cui sopra. Ha inoltre l’obbligo
di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e di richiedere l’osservanza da parte dei
singoli lavoratori delle norme e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del

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motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale, affermando

lavoro, nonché l’uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali
messi a loro disposizione.
Alla valutazione dei rischi il datore di lavoro deve provvedere “in collaborazione con il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente nei casi in cui sia
obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza”.
6.- La Corte territoriale ha inoltre osservato che, nel caso di specie, non era contestato che il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante per la sicurezza e il medico

partecipato alle riunioni periodiche sulla prevenzione protezione e fossero stati informati delle
decisioni adottate in materia di sicurezza e salute, ed ha rimarcato che, oltre ad essere stato oggetto
di “presa d’atto” nel verbale del 15.7.2004, l’obbligo di indossare gli occhiali di protezione in tutte
le aree di produzione era stato specificamente previsto nel documento di valutazione dei rischi in
ragione della costante presenza di un “rischio di proiezione di corpi estranei negli occhi”, rischio
correlato all’impiego di aria compressa nell’esecuzione di una serie di operazioni (di pulizia della
zona di lavoro delle macchine) non circoscritte a determinate lavorazioni o postazioni di lavoro e
distribuite lungo l’intero arco di durata della prestazione lavorativa, oltre che all’impiego di altri
utensili o ad altre cause di dispersione dei residui di lavorazione nell’ambiente di lavoro.
7.- Sulla scorta di tali considerazioni, i giudici di merito – tenuto conto che il datore di lavoro è
chiamato a rispondere non solo per l’omissione di misure di sicurezza espressamente e
specificamente definite dalla legge, ma anche per l’omissione di quelle che siano suggerite da
conoscenze sperimentali e tecniche e che in concreto si rendano necessarie per la tutela della
sicurezza del lavoro (art. 2087 c.c.), e che il datore di lavoro è altresì responsabile non solo quando
ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di vigilare che di tali misura
sia fatto effettivamente uso – hanno ritenuto che fosse legittima la prescrizione datoriale relativa
all’obbligo di adoperare gli occhiali di protezione in tutte le aree di produzione e che,
correlativamente, fossero inadempienti i lavoratori che, come il ricorrente, si erano rifiutati
reiteratamente di osservare quell’obbligo.
8.- Il ricorrente ha censurato la decisione della Corte territoriale osservando, tra l’altro, che i
giudici di merito non avrebbero tenuto conto che nella predisposizione del documento di
valutazione dei rischi il datore di lavoro è soggetto alla vigilanza del servizio di protezione
prevenzione della ASL e che l’indicazione delle misure di protezione non può essere fatta dal datore
di lavoro in difformità dal documento di valutazione dei rischi, senza il preventivo assenso del
medico di fabbrica e seguendo unicamente le indicazioni di altri professionisti.

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competente fossero stati coinvolti nel processo di valutazione e gestione dei rischi, avessero

Tali censure non possono tuttavia trovare ingresso in questa sede di legittimità, atteso che le stesse
si risolvono in una critica della valutazione di merito, che presuppone un accertamento del fatto
diverso da quello operato dalla Corte territoriale ed una interpretazione, parimenti diversa, dei
documenti già esaminati dai giudici di merito.
9.- La Corte d’appello, come già sopra accennato, ha infatti accertato che tutti gli organi
competenti erano stati coinvolti nel processo di valutazione di gestione dei rischi e che l’obbligo di
servirsi degli occhiali di protezione in tutta l’area di produzione – già oggetto di “presa d’atto” in

protezione, sia il rappresentante per la sicurezza che il medico competente – era stato fatto oggetto
di specifica previsione nel documento di valutazione dei rischi. E ne ha correttamente ricavato la
legittimità della prescrizione datoriale e l’esistenza dell’inadempimento da parte del lavoratore, che
non aveva osservato tale prescrizione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, devono ritenersi insussistenti le violazioni di legge
denunciate dal ricorrente, per quanto riguarda, in particolare, la legittimità delle disposizioni
impartite dal datore di lavoro circa l’impiego degli occhiali di protezione e la partecipazione di tutti
gli organi competenti alle valutazioni aziendali in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori.
Quanto all’interpretazione del documento di valutazione dei rischi, va rilevato che anche questa si
risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in
cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche,
sicché non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà
negoziale, operata dallo stesso giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione
di una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati (cfr. ex plurimis Cass. n.
27168/2006). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, non è necessario che quella data dal
giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di un atto o di
una clausola di un atto siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che
aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne
sia stata privilegiata un’altra (cfr. ex plurimis Cass. n. 10232/2009, Cass. n. 2560/2007, Cass. n.
18377/2006, Cass. n. 10131/2006). E tutto ciò a prescindere dalla pur di per sé assorbente
considerazione che, in virtù del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione,
la parte che denuncia l’erronea interpretazione di un atto di autonomia privata deve riportarlo
integralmente, perché non è consentito ai giudici di legittimità di procedere alla ricerca e all’esame
del contenuto dei fascicoli di parte, al di fuori dell’ipotesi di denuncia di error in procedendo, e che
sulla parte che denuncia la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale grava anche l’onere,
al di là dell’indicazione degli articoli di legge in materia, di fornire specifica dimostrazione del

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una riunione alla quale avevano partecipato sia il responsabile del servizio di prevenzione e

modo in cui il ragionamento del giudice di merito abbia deviato dalle regole stesse (cfr. ex plurimis
Cass. n. 10753/2009, Cass. n. 4178/2007), oneri, questi, tutti disattesi dal ricorrente.
10.- Alla stregua delle considerazioni espresse, e tenendo conto, in particolare, da un lato, della
ritenuta legittimità della prescrizione datoriale e, dall’altro, della reiterazione del comportamento
inadempiente del lavoratore, devono respingersi anche le censure svolte con il quinto ed il sesto
motivo; dovendo rimarcarsi, al riguardo, che la decisione della Corte di merito risulta pienamente
conforme ai principi enunciati da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 19689/2003) secondo cui,

prestazione lavorativa nei modi e nei termini precisati dal datore di lavoro in forza del suo potere
direttivo (in quel caso, a causa di una ritenuta dequalificazione delle mansioni), quando il datore di
lavoro da parte sua adempia a tutti gli obblighi derivantigli dal contratto (pagamento della
retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.), essendo giustificato il rifiuto di
adempiere alla propria prestazione, ex art. 1460 c.c., solo se l’altra parte sia totalmente
inadempiente, e non se via sia una potenziale controversia su una non condivisa scelta organizzativa
aziendale, che non può essere sindacata dal lavoratore, ovvero sull’adempimento di una sola
obbligazione, soprattutto ove essa non incida (come avviene per il pagamento della retribuzione)
sulle sue immediate esigenze vitali.
11.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da
dispositivo, facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella
A ivi allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
liquidate in € 50,00 oltre € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 giugno 2013.

all’interno del rapporto di lavoro subordinato, non è legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la

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