Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25390 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 12/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 12/12/2016), n.25390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 619/2015 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO BOLOGNESI, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. e P.IVA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI giusto mandato

in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5769/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato Riccardo Bolognesi, per il ricorrente, che chiede

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Gaetano Gianni (delega verbale Avvocato Arturo

Maresca), per la controricorrente, che si riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., letta la memoria depositata dal ricorrente.

2. Il Tribunale di Roma dichiarava improcedibili le opposizioni proposte da Telecom Italia S.p.A. avverso i decreti ingiuntivi con i quali le era stato è rimasto intimato il pagamento di somme, in favore dell’attuale ricorrente, a titolo di retribuzioni maturate e non corrisposte in conseguenza della nullità della cessione del ramo d’azienda.

3. Con sentenza del 23 giugno 2014 la Corte di Appello di Roma, riformava integralmente la decisione del primo giudice e, in accoglimento del gravame svolto dalla società, revocava i decreti ingiuntivi opposti e rigettava le domande proposte.

4. Ha proposto ricorso soltanto G.M., affidato a due motivi con i quali deduce la nullità della sentenza e del procedimento, per improcedibilità del ricorso introduttivo, e violazione di legge in ordine all’individuazione di un diritto al risarcimento in luogo del diritto alla retribuzione.

5. La Corte territoriale, rilevato che la parte opponente non aveva avuto comunicazione dell’avvenuto deposito dei decreti di fissazione delle udienze di discussione nei procedimenti successivamente riuniti, ha ritenuto correttamente effettuata la notificazione per la nuova udienza del 28 marzo 2012, a seguito della comunicazione del rinvio disposto ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c..

6. Il primo mezzo d’impugnazione – incentrato, come assume lo stesso ricorrente, “sulla mancata disposizione da parte del giudice di un nuovo termine per la notificazione di nuova udienza per la costituzione in giudizio di parte opposta” (così a pag. 9 del ricorso) – non ha validamente scalfito la ratio decidendi della sentenza impugnata che, premesse le considerazioni generali, ha ritenuto, nel caso di specie: “non risulta che la società opponente abbia avuto comunicazione dell’avvenuto deposito dei decreti, con i quali erano state fissate le udienze di discussione nei procedimenti successivamente riuniti, sicchè correttamente la notificazione è stata effettuata per la udienza del 28 marzo 2012, a seguito della comunicazione del rinvio disposto ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c.”.

7. Ne consegue l’inammissibilità del motivo.

8. Il secondo motivo è qualificabile come manifestamente infondato, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda delle cessioni ritenute illegittime di rami d’azienda da parte della Telecom (v., fra le altre, Cass. 8514/2015, la cui motivazione si richiama integralmente).

9. “La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l’obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum.

10. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell’elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l’erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un’eccezione, che deve essere oggetto di un’espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale (art. 2108 c.c.) e delle ferie annuali (art. 2109 c.c.).

11. In difetto di un’espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa dà luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico (che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto) e sinallagma funzionale (che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte) che esclude il diritto alla retribuzione corrispettivo e determina, a carico del datore di lavoro che ne è responsabile, l’obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni.

12. Proprio perchè si tratta di un risarcimento del danno – ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare – soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev’essere detratto l’aliunde perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa.

13. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l’apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima (Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009), la dichiarazione di nullità del licenziamento orale (Cass. Sez. U, n. 508 del 27/07/1999), la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso (Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009), l’accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l’automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro (Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758de1 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 del 2000).

14. La qualificazione in termini risarcitoci delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell’obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata, in maniera decisiva, dalle modifiche introdotte dalla L. n. 108 del 1990, art. 1, alla L. n. 300 del 1970, art. 18, che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell’obbligo risarcitorio (così Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 16037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006),con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum”.

15. Tale principio di diritto è stato ribadito con specifico riferimento a fattispecie identiche a quella oggi in esame (nel caso di cessione di ramo d’azienda da parte della Telecom ritenuto inefficace, ma con pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario) in numerosi precedenti di questa Corte (cfr. Cass. nn. 19490, 16095, 19228 del 2014 e numerosissime altre).

16. A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l’attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l’onere (che non risulta essere stato assolto) di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l’inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente” (così Cass. 8514/2015).

17. Risulta, pertanto, immune da censure la sentenza impugnata che si è conformata ai principi esposti, peraltro pur di recente ribaditi da Cass., sez. sesta-L nn. 7, 8, 9, 10, 68 del 2016 e numerose successive conformi).

18. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

19. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

20. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

21. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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