Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25390 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 11/11/2020), n.25390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24832-2016 proposto da:

A.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA MASSIMO PIGNONE DEL

CARRETTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BENITO BENETTI;

– ricorrente principale –

A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO

MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI

CASTELVETERE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DOMENICANTONIO SILIPO;

– controricorrente – ricorrente incidentale —

avverso la sentenza n. 205/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 30/05/2016 r.g.n. 268/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Dedotta una pluriennale comunione familiare tra A.P. ed il padre O., il primo, dopo il decesso del padre ((OMISSIS)), chiese agli altri coeredi (il fratello T., gli eredi di A.E. e gli eredi di A.M.G.) il pagamento di quanto a lui spettante per il lavoro svolto nella suddetta impresa familiare, che raggiunse rilevanti profitti.

Il Tribunale di Modena accoglieva la domanda.

La pronuncia veniva appellata dagli altri eredi.

Con sentenza depositata il 30.5.16, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia impugnata, accertava la costituzione tra A.O. e A.P. di un’impresa familiare a far tempo dal 1966, impresa scioltasi il 31/7/91, a seguito della morte di A.O., e condannava A.T. per un terzo, i consorti Az.Za.Ra., Is., An.Si. e Lo., quali eredi di A.E. – in proporzione delle rispettive quote ereditarie – per un terzo e i consorti Az.Za.Ra., Is., An.Si. e C.W., quali eredi di A.M.G., in proporzione delle rispettive quote ereditarie, per il restante terzo, a pagare ad A.P. una somma rideterminata secondo i criteri adottati dal c.t.u. nominato in primo grado, parametrati all’incremento del patrimonio dell’impresa di A.O. dalla data sopra indicata e fino al 31.7.1991, rivalutato, respingendo, nel resto, i proposti appelli principali e incidentali, con compensazione delle spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso A.T., affidato ad unico motivo, cui resiste con controricorso A.P. che a sua volta propone ricorso incidentale affidato a tre motivi. Gli altri eredi sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.-Il ricorrente A.T. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730 c.c., comma 1 e art. 2733 c.c., comma 1 e 2, deducendo che l’impresa familiare riconosciuta tra P. ed il padre O. dal 1966 non poteva sussistere essendo stato l’istituto introdotto nel 1975 e che in sede del compiuto beneficio di inventario ((OMISSIS)) sia lui che il fratello P. dichiararono di non conoscere l’esistenza di altri oggetti da comprendere nell’inventario, riservandosi comunque di addivenire alla riapertura dello stesso nel caso in cui fossero venuti a conoscenza di qualche cespite o passività omessì, concretando così, a carico del fratello P., una confessione facente piena prova dell’insussistenza di qualsivoglia credito del fratello P..

Il motivo, oltre ad essere inammissibile per la mancata produzione e deposito del detto verbale (di beneficio di inventario), art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, risulta giuridicamente viziato dalla dedotta circostanza per cui la dichiarazione confessoria, in tesi effettuata dai fratelli T. e P., varrebbe solo nei confronti di quest’ultimo e non del primo ed essendo comunque subordinata all’accertamento di altri cespiti.

2.- Col proprio ricorso incidentale A.P. lamenta: il mancato riconoscimento della sua attività prestata dal 1960 al 1966 e conseguentemente la quota del suo apporto (5%) che andava per tale circostanza rideterminata in supero, come richiesto senza che il giudice di appello si pronunciasse in proposito.

Il ricorso incidentale è inammissibile in quanto essenzialmente basato su di una testimonianza ( F.) che indirettamente (e senza alcuna possibilità di riscontro in questa sede) avrebbe confermato la collaborazione di esso P. con il padre dopo il diploma di scuola media superiore del primo (in tesi (OMISSIS)).

E’ evidente che tale censura, contestando apprezzamenti in fatto del giudice di merito, è inammissibile alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nuovo n. 5.

3.- I ricorsi debbono dunque essere entrambi rigettati, con compensazione delle spese tra le parti costituite. Nessuna statuizione al riguardo quanto alle parti rimaste intimate.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra i ricorrenti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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